di Pompeo Maritati
Nel cuore del Golfo Saronico, a breve distanza dalla costa dell’Attica e dalla capitale Atene, si erge Aegina (Αίγινα), isola carica di suggestioni mitologiche, di memorie storiche e di testimonianze artistiche che si snodano lungo un arco cronologico che abbraccia l’intera vicenda del mondo ellenico. Egina è ben più che una semplice meta turistica: è un crocevia culturale e spirituale, un luogo che ha vissuto l’epopea delle poleis arcaiche, il dominio dei grandi imperi mediterranei, la dominazione ottomana e infine il riscatto nazionale greco, al punto da divenire, seppur per breve tempo, capitale provvisoria del neonato Stato ellenico. Per comprenderne la profondità, occorre partire dalle nebbie del mito e attraversare con passo fermo i secoli, osservando con occhio critico e contemplativo ciò che quest’isola ha da offrire.

Le origini mitologiche: da Aegina a Eaco
Il nome stesso dell’isola affonda le sue radici nella mitologia greca. Secondo la leggenda, Egina prende il nome da Aigina, una ninfa figlia del dio fluviale Asopo. Zeus, innamoratosi della giovane, la rapì portandola su quest’isola deserta, che in suo onore assunse il nome di Aigina. Dall’unione nacque Eaco, figura centrale nella genealogia mitologica greca e nella spiritualità ellenica: egli divenne il primo re dell’isola e, per la sua rettitudine, fu designato dopo la morte come uno dei giudici degli Inferi, accanto a Minosse e Radamanto. La tradizione attribuisce a Eaco anche il merito di aver costruito le mura di Troia e quelle di Micene con l’aiuto dei suoi figli, Peleo (padre di Achille) e Telamone (padre di Aiace).
Questa genealogia pone Egina in un punto cruciale della mitopoiesi greca: l’isola non è periferica, ma centrale nella costruzione dell’identità eroica e divina dell’Ellade. La discendenza da Eaco funge da legame simbolico tra Egina e le grandi narrazioni epiche di Omero, conferendo all’isola un’aura di sacralità e prestigio arcaico che anticipa la sua futura importanza politica ed economica.
L’ascesa economica e la rivalità con Atene
Nel corso del VII e VI secolo a.C., Egina divenne una delle più prospere poleis greche. Grazie alla sua posizione strategica nel Golfo del Saronico e a una flotta mercantile tra le più avanzate dell’epoca, l’isola sviluppò una vivace economia commerciale e marittima. Fu una delle prime comunità del mondo greco a battere moneta: i famosi “stateri di Egina”, con il simbolo della tartaruga marina sul dritto, sono tra le più antiche monete in argento del Mediterraneo e testimoniano la precoce sofisticazione economica dell’isola.
La sua prosperità destò ben presto l’invidia e l’ostilità della vicina Atene, che vedeva nella floridezza di Egina un ostacolo alla sua egemonia commerciale nell’Egeo. Le tensioni culminarono in diversi scontri navali e conflitti politici. L’episodio più significativo avvenne durante le Guerre Persiane: mentre Atene cercava di unificare le poleis sotto la sua guida per contrastare l’invasione persiana, Egina fu accusata di simpatizzare con l’invasore. Nonostante la successiva partecipazione alla battaglia di Salamina, le tensioni con Atene non si placarono, e nel 431 a.C., allo scoppio della Guerra del Peloponneso, l’isola fu occupata dai suoi eterni rivali attici, perdendo progressivamente la sua autonomia.

Il Tempio di Aphaia: arte, religione e simbolo identitario
Tra le testimonianze più straordinarie dell’antica Aegina spicca il Tempio di Aphaia, situato su un’altura coperta di pini nella parte nord-orientale dell’isola, con vista panoramica sul mare e sulle coste dell’Attica e del Peloponneso. Questo tempio dorico, databile agli inizi del V secolo a.C. (circa 500 a.C.), sorge su un luogo di culto ancora più antico, le cui rovine testimoniano la presenza di una struttura arcaica distrutta da un incendio, forse tra l’VIII e il VII secolo a.C. Il nuovo edificio venne eretto in sostituzione dell’antico santuario, e mostra caratteristiche architettoniche di transizione tra l’arte arcaica e quella classica.
Il culto di Aphaia, divinità legata alla fertilità e alla natura, è una peculiarità eginetica e presenta elementi sincretici. Aphaia fu probabilmente una divinità autoctona preellenica, successivamente assimilata con Atene, Artemide ed Ecate. La sua presenza su un punto elevato dell’isola richiama la funzione apotropaica e il legame con i cicli vitali del territorio. Il tempio, realizzato in calcare locale e stuccato per simulare il marmo, presenta proporzioni armoniose e colonne slanciate, con un fregio scolpito che raccontava le gesta degli eroi eginetici nella guerra di Troia.
Le straordinarie sculture frontonali, oggi conservate alla Gliptoteca di Monaco di Baviera, rappresentano combattimenti tra Greci e Troiani, con una straordinaria attenzione al dettaglio anatomico e al pathos. Esse costituiscono uno dei momenti più alti della scultura tardo-arcaica greca, segnando il passaggio dalla stilizzazione geometrica alla rappresentazione dinamica e realistica dell’azione umana. Il Tempio di Aphaia, in definitiva, non è solo un monumento architettonico, ma un simbolo della civiltà eginetica, un centro spirituale e artistico che ancora oggi domina il paesaggio e l’immaginario dell’isola.
Aegina romana, bizantina, veneziana e ottomana
Con la perdita dell’indipendenza politica, Aegina entrò a far parte, come molte altre città greche, dell’orbita macedone e in seguito dell’Impero Romano. In epoca romana, pur non essendo più un centro di primo piano, l’isola mantenne una certa vitalità agricola e commerciale. La diffusione del cristianesimo e la successiva integrazione nell’Impero Bizantino ne cambiarono in parte il volto culturale e urbanistico.
Durante il periodo bizantino, Aegina venne più volte attaccata da pirati saraceni e normanni, fenomeni che contribuirono allo spopolamento di alcune aree costiere e all’abbandono di centri antichi. Tuttavia, furono anche costruiti monasteri e chiese, come la splendida Panagia Chrysoleontissa, situata in una zona collinare e dotata di caratteristiche architettoniche difensive, a testimonianza dell’instabilità di quel tempo.
Dopo il saccheggio di Costantinopoli durante la Quarta Crociata (1204), Aegina passò sotto il controllo della Repubblica di Venezia, entrando così in una nuova fase della sua storia. I veneziani fortificarono l’isola e la utilizzarono come base commerciale e militare. Le tracce della presenza veneziana sono ancora visibili in alcune architetture civili e nei toponimi. Ma il dominio fu alternato a periodi di controllo ottomano, specialmente a partire dal XVI secolo, quando l’Impero Ottomano stabilì definitivamente il proprio potere sulla Grecia continentale e insulare.

La rivoluzione greca e la capitale dimenticata
Il XIX secolo rappresenta il momento della rinascita nazionale greca. Dopo secoli di dominazione straniera, culminati con la pressione ottomana, nel 1821 scoppiò la guerra d’indipendenza greca, un evento che coinvolse gran parte del mondo filoeuropeo, animato dagli ideali romantici di libertà e dalla riscoperta della civiltà classica. Aegina giocò un ruolo cruciale in questa fase: la sua posizione strategica, la vicinanza con Atene e la sua popolazione patriottica ne fecero un importante centro di appoggio per la lotta indipendentista.
Nel 1828, Ioannis Kapodistrias, primo governatore della Grecia libera, scelse Aegina come sede provvisoria del governo. Per un breve ma intenso periodo, l’isola divenne il cuore amministrativo e politico del nuovo Stato greco. Furono fondati uffici pubblici, scuole, una stamperia nazionale e istituzioni culturali. Kapodistrias promosse l’alfabetizzazione e la ricostruzione sociale dopo anni di guerra. Benché la capitale venne presto spostata a Nauplia e infine ad Atene, Aegina conserva ancora oggi testimonianze di quel breve sogno di rinascita, testimoniato anche da edifici neoclassici e dalla memoria popolare.
Aegina oggi: identità, cultura e paesaggio
Oggi Egina si presenta come una sintesi perfetta di storia, cultura e natura. I suoi villaggi tradizionali, le cappelle bizantine nascoste tra gli ulivi, le spiagge sabbiose e le acque cristalline ne fanno una meta di grande fascino, amata sia dai turisti che dai greci stessi. Ma Aegina non è solo una cartolina mediterranea: continua a essere un’isola profondamente viva, con una forte identità locale.
L’isola è nota per la produzione di pistacchi di altissima qualità, che rappresentano un marchio identitario e una risorsa economica. La “festa del pistacchio” che si tiene ogni settembre è un’occasione per celebrare la cultura agricola locale, ma anche per valorizzare l’artigianato, la musica e la cucina tipica.
Il centro principale, la città di Aegina, conserva un impianto urbanistico sette-ottocentesco con edifici neoclassici, mercati vivaci e caffè che si affacciano sul porto. L’atmosfera è quella di un luogo che ha saputo unire il passato glorioso con la vivibilità del presente. Il museo archeologico locale ospita importanti reperti del Tempio di Aphaia, ceramiche antiche e oggetti della vita quotidiana di epoca classica e romana.
Conclusione: Egina come simbolo dell’anima greca
La storia di Egina non è lineare, ma fatta di luci e ombre, di apogei e declini, di mito e realtà. È un microcosmo perfetto della storia greca: dalla mitologia alla polis, dalla dominazione straniera alla rinascita nazionale, fino alla modernità. L’isola ha saputo conservare la propria identità e il proprio spirito, rinnovandosi senza mai dimenticare le proprie radici. Il Tempio di Aphaia continua a vegliare dall’alto, custode silenziosa di una memoria che si confonde con il vento del golfo e con le onde che lambiscono le sue coste.
In un tempo in cui l’identità culturale è spesso minacciata dalla globalizzazione, Aegina rappresenta una risposta silenziosa ma potente: un’isola che ha saputo sopravvivere e trasformarsi, ma che non ha mai rinunciato alla propria anima.
A conclusione del percorso che ci ha condotto tra le meraviglie dell’isola di Aegina e il sublime equilibrio architettonico e spirituale del Tempio di Aphaia, non possiamo tacere una riflessione che da tempo grava sulla coscienza culturale europea e internazionale. Una ferita aperta, che non riguarda solo la Grecia, ma la dignità della storia stessa.
I capolavori scultorei che un tempo ornavano il Tempio di Aphaia, così come quelli che impreziosivano il Partenone di Atene sono oggi sparsi, smembrati, strappati alla loro origine e ospitati in musei di Londra, Monaco di Baviera, Parigi. I frontoni del tempio eginetico, sublimi testimonianze della transizione dall’arte arcaica a quella classica, giacciono nella Gliptoteca di Monaco; i marmi del Partenone, che narravano in pietra l’anima e la religione dell’antica Atene, sono inglobati nel British Museum sotto il nome freddo e burocratico di “Elgin Marbles”. Questi capolavori furono trafugati in un’epoca in cui le potenze europee si arrogavano il diritto di saccheggiare le culture altrui in nome di una presunta superiorità coloniale, culturale, persino estetica. Ma ciò che fu compiuto, al di là delle giustificazioni storiche, resta un furto. Non tanto di oggetti, quanto di identità, di integrità storica, di continuità simbolica.
È tempo di dire con forza che l’arte, e ancor più i reperti che raccontano un luogo, devono tornare a respirare l’aria che li ha visti nascere. Un tempio privato delle sue sculture è come un poema privato dei suoi versi più belli, un corpo senza anima, una memoria mutilata. La pretesa che questi capolavori siano “più al sicuro” nei musei occidentali non regge più di fronte alla consapevolezza moderna dei diritti culturali dei popoli. Non si tratta di una questione di nazionalismo, ma di verità storica e giustizia etica.
Restituire i marmi del Partenone alla loro Atene, restituire i frontoni di Aphaia al silenzio sacro dell’altura che domina Aegina, significherebbe restituire dignità al pensiero che ha generato la democrazia, la filosofia, la bellezza classica. Sarebbe un atto di civiltà, non solo verso il popolo greco, ma verso l’intera umanità, che in quei templi, in quelle forme scolpite, ritrova una parte fondante della propria coscienza.
Perché ciò che oggi viene trattenuto con ottuso egoismo da musei stranieri, non è soltanto patrimonio greco. È patrimonio dell’umanità intera, e l’umanità ha il diritto di vedere quei capolavori restituiti alla luce, al contesto, alla sacralità del luogo originario. Non come reliquie da ammirare dietro il vetro, ma come parte viva di un discorso che solo la Grecia, con il suo paesaggio, la sua lingua, la sua storia, la sua luce, può ancora pronunciare nella sua interezza.
Non è solo un gesto riparatorio. È un dovere morale.



