di Marisa Cecchetti
Lo scopriamo in varie parti del mondo Alessandro Agostinelli, e non potrebbe essere diversamente in quanto fondatore del Festival del Viaggio, lo scopriamo perché è solito condividere le sue esperienze con i lettori. Baltico ci porta con lui in Lettonia, in un chiaro mese di maggio dello scorso anno, un poemetto diviso in tre sezioni, Depressione baltica, Effetti collaterali, Dal Venta al mare, con postfazione di Wlodek Goldkorn.
Con una cover bianca e luminosa, in cui si vede al centro, piccola in prospettiva, una figura scura d’uomo raddoppiata dall’ombra, che punta una pistola, Baltico comunica subito il contrasto di luce e ombra che corre nei versi: perché si definisce “un maggio scuro e brillante”? Perché è forzato il sorriso allo specchio sopra al lavandino, e il cammino è immobile a “quasi duemila chilometri da casa”?
Come quando si lascia casa per una vacanza e si prende distanza dai problemi del quotidiano, in Baltico ci si aspetterebbe di essere trasportati serenamente in città silenziose, a girare “per strade, per case antiche […] tra i fiori spontanei che colorano i prati”, o andare in bicicletta risalendo “il pineto e le dune alte di sabbia”, nel piacevole stupore di sentirsi “in mezzo al nulla” mentre “i gabbiani ci volano sopra”.
La bellezza infatti spunta tra i versi e fa tutt’uno col silenzio, ma non basta a rasserenare, il pensiero non trova pace, e il sonno si popola di incubi: la presenza della violenza, delle guerre, accompagna dovunque, in ogni momento della giornata si incunea il pensiero dell’altrove, anche mentre si spinge un carrello al supermercato, e diventa dolore fisico: “anche l’acqua carbonata ti aggroviglia / la pancia, che vorresti vomitare”.
Nei luoghi dove si sente più vicino il pericolo oltre confine, per la guerra di aggressione russa in corso, si sente tutta la Storia addosso: “ti senti come i lettoni in guerra / tirati tra sovietici e nazisti: / sai la tua identità, ma sei esposto, / chiaroveggenza serve […] “in quest’orrida stagione militare / che piega il mondo a colpi di rancore / muovendo solo schiere di rivali”. Ma lo sguardo e l’indice accusatorio si spostano a ben altre latitudini: “non ci sono giustificazioni / a guerre di confine /nel nostro presente siccitoso”; al terrorismo, alla Palestina, agli schieramenti “altezzosi” delle masse, all’Iran, “stato di pasdaran che lapida le donne, /violenti ancora, stuprano a morte /il loro dio mesta nel giusto?”
In quel paradiso a cui non è abituato, nel silenzio in cui gli arriva il canto degli uccelli e “i discorsi gutturali e forti / dei gabbiani”, lo sguardo è lucido, il giudizio oggettivo, consapevole del crollo di ogni certezza e verità, quando sterili domande suonano retoriche: “ma noi chi siamo adesso?”
Dove sono finiti i principi e i valori su cui si è fondata la nostra era? Non è cambiato niente nel corso dei secoli, il cammino dell’uomo è rimasto segnato dalla violenza e dall’interesse economico, immobile: “ieri e oggi si tengono insieme”; l’innocenza ormai non è più recuperabile, troppo male è stato fatto e continua a moltiplicarsi. Ma, pure consapevoli del tramonto che avverrà, il più possibile lontano, abbiamo la fortuna di essere vivi, ed è un privilegio, considerando tante stragi che ci scorrono davanti agli occhi, quindi non va sprecata la vita, perché “c’è il sole e tira un bel vento / suona la sua musica tra i rami”.
Ci deve essere una via d’uscita, o almeno abbiamo il dovere di sognarla, perciò bisogna ritrovare la fede “nei versi cantati /che freschi colano giù dal baltico /fino alle fiamme del mediterraneo”. Nella poesia, che è ricerca della bellezza, si può ritrovare una rinnovata fiducia, insieme alla forza di quietare gli incubi notturni, dove anche il rumore del camion della spazzatura fa arrivare nel sogno la guerra.
Poesia diventa un atto concreto a cui dedicarsi con il “masochistico piacere tutto tuo / di accartocciare il corpo sulla sedia”; poesia ama il silenzio del Baltico, vibra nelle rose che cozzano mosse dal vento oltre la ventana, una voce che non si sente dietro ai vetri chiusi, ma che risuona dentro trasformandosi in versi che contengono il suono e il silenzio, la luce e l’ombra, la bellezza e la sofferenza.
Poesia, unico percorso che permette di sperare ancora nell’uomo: “torneremo a cantare a kabul /balleremo finalmente in iran / […] i ragazzi avranno i loro palloni /tireranno calci ai tiranni. /frizzeranno gli occhi di pianto / ma sapremo cucinare un sorriso / sarà pieno di crema e libertà / la vita delle donne sarà sacra”.
Baltico è tutto questo e tanto altro ancora, da scoprire per viaggiare nelle emozioni.