IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

BOZZE E APPUNTI. NELL’OFFICINA DELLO SCRITTORUCOLO

Paolo Vincenti

Paolo Vincenti

di Paolo Vincenti

In previsione del lungo periodo di pausa che mi prenderò, invio questo articolo composto di tanti
appunti sparsi presi sul mio pc in attesa di essere sviluppati in scritti più organici ma che, essendo
ora “bruciati” con questa pubblicazione, non lo saranno più.
1- La verità (o il Veridico) che strappa la lingua alla frode, scultura del 1120-25 nel Duomo di
Modena, mi offre lo spunto per scrivere di quale nefanda congerie rappresenti la categoria dei
bugiardi, ossia di coloro che mentono per professione, sistematicamente, ai quali vorrei vedere
applicato il supplizio descritto dal cosiddetto Maestro del Veridico. Sono stato recentemente molto
offeso da un conoscente che ritenevo una persona seria e invece si è rivelato un contafrottole, un
mentitore seriale; spero che il suo castello di menzogne possa presto rovinare sulla sua testa.

2 -Rileggendo il Decamerone di Boccaccio e ridendo, nella seconda novella della Ottava giornata,
degli strafalcioni di Bentivegna del Mazzo, contadino di Varlungo alle prese con la terminologia
giuridica 1 , mi è venuta la voglia di pubblicare una raccolta di lapsus, date le sgrammaticature varie
che ogni giorno colgo sul posto di lavoro, in televisione e sui media, poiché davvero tanti sono gli
sciarpelloni come chiama Franco Sacchetti nella frottola La lingua nova gli strafalcioni, che non
sono solo dei contadini, gli abitanti del contado, dice, ma anche dei cittadini, cioè gli abitanti della
città 2 . Ma poi me ne sono astenuto perché di scemenzari, florilegi di asinerie, anche riferite ai
linguaggi tecnici (medico, burocratico, giuridico, ecc.), ne sono stati pubblicati molti negli anni,
anche se questi libri riscuotono sempre un discreto successo.
3- Quando a gennaio si cambiano i calendari, mi accorgo che fra i tantissimi che girano in casa mia,
quello a cui sono più affezionato è il calendario di Barbanera. Si tratta del più antico calendario
d’Italia. “Dal 1762 il più celebre almanacco d’Italia”, scrive orgogliosamente il calendario
sull’ultima pagina. “Il primo Barbanera uscì a Foligno nel 1762. Lo apriva il famoso Discorso
Generale, summa di previsioni e consigli per l’anno a venire. Nel 1793 il Lunario in foglio divenne
un libretto. Fu così che nell’Italia a cavallo tra ‘700 e ‘800 Barbanera cominciò ad essere
un’istituzione, una sorta di vangelo dei ceti rurali”. È infatti ricco di notizie meteorologiche e
agricole e di consigli pratici per chi lavora la terra. Io lo colleziono dal 2001. È, tecnicamente, un
lunario, ossia un calendario basato sui cicli della luna. All’inizio il calendario si chiamava
Effemeridi, ossia notizie astronomiche, eventi religiosi e notizie storiche dell’anno in corso. Proprio
con questo termine io ho intitolato uno dei miei ultimi libri. Le edizioni Barbanera producono ogni
anno molti libri di astrologia e oniromanzia e soprattutto almanacchi su molteplici temi del vivere
quotidiano. La sede della Editoriale Campi srl che edita il calendario si trova a Spello, in Umbria,
dove è la Fondazione Barbanera 1762, in una struttura del 1700, con un orto giardino e una ricca
Biblioteca dove sono conservati gli almanacchi e i calendari (ma la collezione è oggi digitalizzata e
si può trovare in rete).
Stupendo è anche il calendario di Frate Indovino, vero pezzo da collezione, fondato nel 1945
da padre Mariangelo da Cerqueto, al secolo Mario Budelli, che ne è stato il direttore fino alla morte
nel 2002. Si tratta del calendario dei Cappuccini umbri, che ha avuto negli anni grandissimo
1 Ma ci sono anche altri spassosissimi esempi nel Decamerone, come il Ferondo della novella ottava della
Terza giornata. Si veda una qualsiasi edizione moderna del Decamerone di Giovanni Boccaccio.
2 In verità, ho scritto diversi articoletti negli anni su questo tema.

successo. Sotto lo pseudonimo di Frate Indovino si celava appunto Padre Mariangelo da Cerqueto.
Come il calendario di Barbanera, anche questo è un calendario agricolo e dispensa utili consigli per
i contadini, gli ammalati e le massaie con ricette di tutti i tipi, consigli di medicina popolare e
proverbi e modi di dire. Quello che cattura sono i suoi bellissimi colori. E anche oggi, dopo la morte
del fondatore, anche se con gli anni ha perso un po’ di smalto perché ripete sé stesso, il calendario
continua ad essere stampato dalla redazione umbra.
Tanti calendari già a partire da dicembre entrano in casa mia, dai calendari delle banche e degli
istituti finanziari a quelli delle svariate attività commerciali presenti sul territorio, ma Barbanera per
me è insostituibile. Mi piace molto anche il calendario de L’Erbolario, con le sue stupende
illustrazioni, e il Calendario storico dell’arma dei Carabinieri, di cui mia moglie è fedele
collezionista.
E a proposito di Gennaio, il primo mese dell’anno è anche il mese più freddo, quando arde nei
nostri camini un bel fuoco prodotto dalla legna di ulivo. La ulia è beneditta, arde verde e sicca, dice
un adagio popolare. E più che mai abbiamo avuto modo di provarlo in questi ultimi anni perché la
legna di ulivo è stata quella che maggiormente abbiamo usato data la sua grande abbondanza
riveniente dalle massicce campagne di eradicazione degli alberi a seguito della xylella.
Comunque sia, dei calendari non scriverò.

4- Con riferimento al mio articolo La rava e la fava nel libro Gran Varietà 3 , nella sua Prefazione
Antonio Romano scrive che «una fruttuosa ricerca bibliografica gli [all’Autore] ha permesso anche di
sviluppare una dotta comparazione tra diverse ipotesi etimologiche. Personalmente invece, sebbene lo
studio del significato e dell’origine del modo di dire siano sviluppati con una buona documentazione,
non mi sarei avventurato sul tema de “la rava e la fava”. In questo caso l’espressione si estende infatti
provenendo da ben altri orizzonti linguistici, ignoti a noi salentini, per i quali, ai dotti riferimenti
individuati dall’Autore, andrebbe associata la percezione del parlante nativo (che in questi due termini
vedrebbe velatamente anche una – forse rimotivata – allusione agli organi sessuali)» 4 .
In effetti nella medicina popolare salentina la fava è ritenuta afrodisiaca. Avevo preso un appunto su
un articolo del naturalista Martino Marinosci circa le proprietà della fava di sciogliere i
spermatoceli ma non riesco più a trovare nella mia libreria l’opera in cui se ne parlava
(probabilmente La flora salentina, Lecce, Tip. Ed. Salentina,1870). Il detto popolare “pigghiate lu
maritu miu ca s’è nfavatu”, oltre a riferirsi al potere calorico delle fave che giovava ai contadini
dando loro più energia per lavorare nei campi, probabilmente si riferiva anche al potere afrodisiaco 5 .
Davvero un tema interessante da approfondire, cosa che non farò.
5- Con il collega Francesco Frisullo, abbiamo iniziato almeno un paio di anni fa un saggio, che non
abbiamo mai terminato, su un personaggio salentino vissuto fra Ottocento e Novecento. Si tratta di
Padre Leonardo Mascello (nato a Castrignano dei Greci nel 1877 e morto a Rio de Janeiro nel
1952), un dotto prelato, anche Parroco di Ruffano, il quale trasferitosi in Brasile, prima a Olinda e
Recife e poi a Rio de Janeiro, fece una brillante carriera letteraria. Vi sono molte fonti quasi
esclusivamente portoghesi su di lui ma scarsissime notizie in italiano. Giunto in Brasile, Mascello si
fece subito apprezzare per la vasta cultura e le sue competenze in materia letteraria. In terra
brasiliana, insegnò lingua e letteratura italiana nelle scuole superiori e tenne svariate conferenze e
3 Paolo Vincenti, Gran Varietà, Tuglie, Agave Edizioni, 2025, pp. 21-27.
4 Antonio Romano, Vertendō discēs. Spigolature in tono simulatamente scherzoso, in Paolo Vincenti, Gran
Varietà, cit., p. 5.
5 La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Calendario 2004 di Puglia e Basilicata, Gennaio 2004, Galatina, Congedo
Editore, 2004.

lezioni universitarie. Poeta e critico letterario, compose opere di teologia e filosofia morale. Prima o
poi ci metteremo di buzzo buono a completare questo saggio bio-bibliografico.

6- In verità, non mi va di scrivere proprio nulla. In questo periodo mi sento particolarmente
svogliato e demotivato. Camasciu si dice in dialetto salentino di un uomo pigro, e così mi chiamava
spesso da piccolo mio nonno Arturo quando mi vedeva poltrire soprattutto durante l’estate. “Che
camasciu…azzate t’a seggia e veni cu me iuti culle scarpe!” (mio nonno, inizialmente ciabattino,
lavorava in seguito nella fabbrica di mio padre, fra il reparto del taglio e quello dell’orlatura, e si
portava il lavoro a casa dove continuava indefesso fino a tarda notte). Camasciu è aggettivo di
camascìa o calasc’a (calascione è più usato nel barese), ovvero quella inerzia che sottentra nella
gente del sud, dovuta soprattutto allo scirocco caldo e disfacente che infesta le regioni meridionali.
Lo scirocco è caratteristica precipua e identitaria del Salento. A queste latitudini o si impara a
convivere con il favonio o si emigra. Per uscire dalla camascìa e tornare a scrivere ci vorrebbe uno
sprone come per i cavalli o un motivatore come mio nonno Arturo, ma credo proprio che per il
momento non se ne parli.
PAOLO VINCENTI

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