Capire l’Intelligenza 5/8 – I rischi dell’IA: tra sorveglianza, disinformazione e perdita di lavoro

Pompeo Maritati
Per ogni nuova tecnologia potente esistono due facce: quella delle opportunità e quella delle minacce. L’intelligenza artificiale non fa eccezione. Se da un lato offre strumenti straordinari per migliorare la vita, dall’altro può amplificare disuguaglianze, pregiudizi, abusi e dipendenze, specie quando viene usata senza regole, senza trasparenza, o per fini non etici. Capire questi rischi è il primo passo per affrontarli in modo consapevole e costruire un futuro più giusto.
Lavori sostituiti, nuove professioni: quali settori sono più a rischio?
Il timore più diffuso riguarda il lavoro. Alcuni mestieri stanno già scomparendo o trasformandosi radicalmente sotto la spinta dell’automazione intelligente. Le professioni più esposte sono quelle ripetitive, standardizzate, basate su schemi prevedibili: catene di montaggio, data entry, call center, gestione documentale, traduzioni semplici, contabilità base.
Ma il rischio tocca anche professioni qualificate: radiologi, avvocati, analisti, progettisti. Non si tratta sempre di sostituzione, ma spesso di trasformazione profonda, che richiede riqualificazione, aggiornamento continuo, adattabilità. Allo stesso tempo, nascono nuovi mestieri: sviluppatori di IA, eticisti digitali, supervisori di algoritmi, specialisti di dati. Tuttavia, il passaggio da vecchi a nuovi lavori non è immediato, e può creare disoccupazione e disuguaglianze se non viene governato con politiche pubbliche adeguate.
IA e privacy: i dati personali diventano “merce”
L’IA si nutre di dati, e più sono, meglio funziona. Ma questi dati – cronologia web, conversazioni, immagini, abitudini, preferenze – sono spesso personali. Le piattaforme digitali raccolgono enormi quantità di informazioni che vengono elaborate da algoritmi per prevedere comportamenti, influenzare scelte, vendere pubblicità.
Il rischio è che la nostra vita digitale diventi completamente trasparente, profilata, tracciata, esposta a chi ha il potere di gestire quei dati. In molti casi, non sappiamo nemmeno cosa cediamo quando clicchiamo “Accetta” su un sito. La privacy, se non tutelata, diventa merce di scambio in un’economia dove l’attenzione e i dati sono la valuta più preziosa.
Sorveglianza di massa e controllo sociale
Alcuni governi e aziende stanno già usando l’intelligenza artificiale per monitorare in tempo reale il comportamento delle persone, tramite telecamere, riconoscimento facciale, analisi dei movimenti, delle espressioni, delle interazioni.
In Cina, ad esempio, è attivo un sistema di “credito sociale” che premia o penalizza i cittadini in base ai loro comportamenti pubblici e digitali, tracciati con sistemi di IA. Questo crea un modello di controllo sociale e disciplinamento che mina le libertà individuali. La stessa tecnologia, se esportata o adottata altrove senza garanzie, potrebbe minacciare i diritti fondamentali, diventando uno strumento di sorveglianza anziché di protezione.
Fake news, deepfake e manipolazione dell’informazione
Uno dei pericoli più attuali è l’uso dell’IA per generare contenuti falsi ma credibili. Le reti neurali possono creare testi, immagini, video, audio indistinguibili da quelli reali. I cosiddetti “deepfake” possono far dire o fare a una persona qualcosa che non ha mai detto o fatto, con effetti devastanti sulla reputazione e sull’informazione.
I modelli linguistici, come ChatGPT, se non usati correttamente, possono essere manipolati per diffondere bufale, distorcere i fatti, amplificare la propaganda. In un’epoca di sovraccarico informativo, dove le fonti si moltiplicano e la verifica è difficile, l’IA può diventare uno strumento di disinformazione potente e pervasivo, capace di influenzare elezioni, opinioni, conflitti.
Quando l’IA discrimina: problemi nei dati e nei modelli
L’intelligenza artificiale è “intelligente” solo quanto i dati con cui viene addestrata. Se questi dati contengono pregiudizi sociali, razziali, di genere o culturali, il modello li apprenderà e li riprodurrà. Esistono già casi documentati di IA che penalizzano donne, minoranze, poveri: ad esempio, algoritmi di selezione del personale che scartano CV femminili, sistemi di credito che negano prestiti a categorie sociali svantaggiate, software predittivi che indicano come “più pericolosi” individui di colore.
Questo non accade per “malizia” dell’IA, ma per cattiva progettazione, mancanza di diversità nei dati e nei team di sviluppo, e per una falsa idea che la tecnologia sia “neutrale”.
L’illusione della neutralità tecnologica
“È solo un algoritmo, non ha ideologie” – si sente dire spesso. Ma ogni tecnologia riflette le scelte, i valori e le priorità di chi la costruisce. Anche decidere quali dati raccogliere, quali variabili considerare, quali risultati ottimizzare è una scelta politica e culturale.
L’IA non è neutra: è uno specchio potenziato della nostra società. Se la società è ingiusta, l’IA può amplificare l’ingiustizia. Se è discriminatoria, l’IA può codificare la discriminazione. Per questo, non possiamo affidare le decisioni all’algoritmo senza controllo umano, senza regole, senza trasparenza.
I rischi dell’intelligenza artificiale non vanno demonizzati, ma compresi e affrontati con serietà. Per ogni strumento potente serve un’etica altrettanto forte. L’IA può sbagliare, e il prossimo articolo lo dimostrerà con esempi concreti: perché anche le macchine più intelligenti portano con sé errori, limiti e responsabilità.