Capire l’Intelligenza Artificiale 6/8 – L’IA può sbagliare? Bias, errori e conseguenze

di Pompeo Maritati
L’intelligenza artificiale è spesso percepita come superiore, neutrale, oggettiva. Eppure, come ogni creazione umana, può sbagliare. Non solo per difetti tecnici, ma per errori più sottili e pericolosi: quelli legati ai pregiudizi nascosti nei dati, alla mancanza di trasparenza e all’illusione dell’infallibilità. L’IA non è perfetta, e capire come e perché può sbagliare è essenziale per usarla con consapevolezza e responsabilità.
Cos’è un bias algoritmico: pregiudizi nascosti nei dati
Un “bias” è un pregiudizio sistematico che altera i risultati di un processo. Nell’IA, il bias nasce non perché l’algoritmo è “cattivo”, ma perché è stato addestrato su dati che riflettono le disuguaglianze del mondo reale. Se i dati contengono più esempi di uomini che di donne in ruoli di leadership, l’IA “imparerà” che il leader è maschio. Se il dataset di volti è dominato da persone bianche, l’IA sarà meno accurata nel riconoscere altri gruppi etnici.
Il bias algoritmico è spesso invisibile, perché si annida nel modo in cui i dati sono raccolti, selezionati, etichettati. Anche le scelte apparentemente neutre, come i criteri di valutazione o i punteggi di rischio, possono perpetuare discriminazioni inconsapevoli.
Esempi concreti di errori: IA razzista, sessista, iniqua
Negli ultimi anni, sono emersi numerosi esempi che mostrano quanto l’intelligenza artificiale possa replicare e amplificare stereotipi sociali. Alcuni casi noti:
- Amazon ha dovuto ritirare un sistema di selezione automatica del personale perché penalizzava i candidati donne. L’IA era stata addestrata su CV storici, in cui predominavano uomini, e aveva “dedotto” che il sesso maschile fosse preferibile.
- Sistemi di riconoscimento facciale come Face++ o Rekognition hanno dimostrato tassi di errore molto più alti nel riconoscere volti neri rispetto a quelli bianchi. Questo ha portato a arresti ingiustificati, come nel caso di Robert Julian-Borchak Williams, identificato erroneamente da un algoritmo.
- Un algoritmo usato negli USA per determinare il rischio di recidiva dei detenuti attribuiva punteggi più alti, e quindi pene più severe, alle persone afroamericane, sulla base di dati storici distorti.
- Sistemi di valutazione del credito hanno penalizzato minoranze e persone a basso reddito, anche in assenza di evidenze oggettive.
Questi esempi non sono eccezioni: sono campanelli d’allarme su un problema strutturale.
L’imprevedibilità dei modelli complessi
Man mano che i modelli diventano più complessi – reti neurali profonde, grandi modelli linguistici – diventa difficile perfino per gli sviluppatori capire esattamente come l’IA prende una decisione. Questo fenomeno è noto come black box: l’algoritmo elabora, ma non spiega.
Quando il funzionamento di un sistema non è interpretabile, è impossibile controllarlo davvero. L’IA può “funzionare” in media, ma generare risposte sbagliate o dannose in singoli casi, senza che nessuno se ne accorga. Questo pone problemi enormi in settori delicati come la sanità, la giustizia, il credito o l’istruzione.
Quando l’IA prende decisioni senza responsabilità umana
Un ulteriore rischio è quello dell’automazione delle decisioni senza supervisione. Se lasciamo che sia un algoritmo a decidere chi assumere, chi ammettere a scuola, chi curare prima, chi è “a rischio”, senza la possibilità di intervento umano, si crea un vuoto di responsabilità.
Chi risponde di un errore dell’IA? L’azienda che l’ha sviluppata? Chi la usa? Nessuno? La delega cieca agli algoritmi mina i principi della responsabilità etica e giuridica. Non basta che “l’IA abbia deciso”: le decisioni devono essere trasparenti, verificabili e contestabili.
Il ruolo degli sviluppatori e la trasparenza degli algoritmi
Gli sviluppatori non sono semplici tecnici: sono coautori delle decisioni che l’IA prenderà. Hanno quindi una responsabilità etica enorme, che va oltre la scrittura del codice. Devono porsi domande sulle conseguenze delle scelte progettuali, coinvolgere esperti multidisciplinari, testare l’equità e l’impatto sociale dei sistemi che costruiscono.
La trasparenza degli algoritmi è un’esigenza fondamentale. Anche se non sempre è possibile rendere pubblico il codice, bisogna spiegare in modo comprensibile come funziona il sistema, su quali dati si basa, quali logiche segue. Solo così si può costruire fiducia, responsabilità, controllo democratico.
Come ridurre gli errori: test, audit, inclusione
Ridurre i rischi non è semplice, ma è possibile. Servono:
- Test approfonditi, che verifichino il comportamento dell’IA in contesti diversi, con categorie diverse di utenti.
- Audit indipendenti, cioè controlli esterni e trasparenti su come funziona davvero l’algoritmo.
- Dataset bilanciati e inclusivi, costruiti con attenzione alla diversità.
- Team multidisciplinari e rappresentativi, in cui ci siano persone di etnie, generi, culture diverse.
- Linee guida etiche e regolamentazione, per garantire che l’IA non danneggi i più deboli.
L’errore non è mai solo tecnico: è spesso una mancanza di ascolto, di visione, di umanità nel processo di progettazione.
L’intelligenza artificiale può sbagliare, e lo fa più spesso di quanto si creda. Non dobbiamo per questo rinunciarvi, ma renderla più giusta, più trasparente, più inclusiva. Serve una cultura tecnologica che non si limiti alla meraviglia, ma che chieda conto, che interroghi, che pretenda spiegazioni. Nel prossimo articolo vedremo cosa si sta facendo per regolare l’IA a livello globale e quali sfide attendono l’umanità nell’era delle macchine intelligenti.