Capire l’Intelligenza Artificiale 7/8 – Le grandi domande etiche dell’intelligenza artificiale

di Pompeo Maritati
Quando parliamo di intelligenza artificiale non possiamo limitarci ai suoi usi pratici, ai vantaggi o ai rischi tecnici. Dobbiamo affrontare le domande etiche che essa solleva. Domande profonde, che toccano il cuore della nostra umanità: chi decide, chi controlla, chi è responsabile, chi resta escluso. L’IA non è solo una tecnologia: è un fatto culturale, sociale, politico. E l’urgenza di riflettere sulle sue implicazioni morali è oggi più viva che mai.
Può una macchina “decidere” sulla vita umana? (armi autonome, medicina)
La prima, drammatica domanda riguarda la possibilità che una macchina prenda decisioni di vita o di morte. È già realtà nei sistemi d’arma autonomi, detti anche “killer robots”: droni e robot in grado di identificare un bersaglio e colpirlo senza l’intervento umano diretto. Diversi paesi stanno sviluppando (o già usando) queste tecnologie. L’ONU ha chiesto una moratoria, ma la corsa militare all’IA è in atto.
Anche in medicina l’IA è sempre più usata per diagnosi, priorità di intervento, scelte terapeutiche. Ma può un algoritmo decidere chi curare prima? Chi ha diritto a un trapianto? Chi “merita” di vivere più a lungo? Senza una guida etica chiara, la delega all’IA in ambiti così delicati rischia di spersonalizzare la cura, riducendo la persona a un punteggio statistico.
IA e libero arbitrio: fino a che punto ci influenza?
L’IA sa cosa ci piace, ci suggerisce cosa guardare, leggere, comprare. Gli algoritmi di raccomandazione – sui social, nei motori di ricerca, nei servizi streaming – non si limitano a riflettere le nostre preferenze: le modellano. Più usiamo certe piattaforme, più diventiamo prevedibili, e meno spazio resta alla sorpresa, al caso, alla scoperta.
Questo solleva interrogativi sul libero arbitrio. Siamo davvero liberi di scegliere, se un algoritmo ci mostra solo quello che conferma le nostre opinioni? Se una pubblicità è costruita su misura per manipolare le nostre emozioni? L’IA, senza regole, può diventare uno strumento di condizionamento di massa, silenzioso ma potentissimo.
Chi è responsabile degli errori di un’IA?
Quando l’IA sbaglia, chi ne risponde? Il produttore? Il programmatore? L’utente finale? La mancanza di trasparenza nei sistemi complessi e la difficoltà di attribuire una causa unica a un errore rendono sfuggente la responsabilità.
Eppure, l’etica richiede accountability, cioè che qualcuno sia responsabile di ciò che accade. Non possiamo accettare che si dica “non è colpa di nessuno”. Serve una filiera della responsabilità, in cui ogni attore (sviluppatore, fornitore, utilizzatore) abbia doveri chiari, e in cui l’essere umano non sparisca dietro l’automatismo.
Può una IA avere “diritti” o “doveri”?
Un tema provocatorio ma sempre più discusso è quello della personalità giuridica dell’IA. Se una macchina prende decisioni, apprende, “dialoga”, dovrebbe avere dei diritti? Oppure dei doveri? Alcuni sostengono che le IA avanzate debbano avere uno status giuridico, come le imprese o le istituzioni.
Ma questa idea apre scenari controversi. Riconoscere diritti a un’IA può confondere i piani tra umano e artificiale, riducendo l’uomo a una macchina e la macchina a un essere senziente. Altri propongono modelli di “responsabilità elettronica”, ma la domanda resta aperta: dove finisce la tecnica, e dove comincia la coscienza?
Uguaglianza, accesso, proprietà dei dati e disuguaglianze globali
L’IA non nasce nel vuoto: è figlia di un mondo segnato da diseguaglianze economiche e tecnologiche. Oggi solo pochi paesi – USA, Cina, alcune nazioni europee – detengono le risorse per sviluppare IA avanzate. I dati, carburante di questi sistemi, sono raccolti quasi sempre da grandi piattaforme private, che controllano ciò che sappiamo, vediamo, viviamo online.
Chi possiede i dati? Chi decide come usarli? Chi resta escluso? Le tecnologie rischiano di amplificare le disuguaglianze: tra Nord e Sud del mondo, tra cittadini digitali e analfabeti informatici, tra chi controlla le reti e chi le subisce.
Un uso etico dell’IA richiede giustizia nell’accesso, trasparenza nella proprietà, inclusività nella progettazione. Serve una tecnologia che non sia di pochi, ma che sia bene comune.
Verso una governance etica dell’intelligenza artificiale
Serve una governance globale, un insieme condiviso di principi e regole per garantire che l’IA sia al servizio dell’umanità. Non bastano linee guida aziendali o codici di condotta interni. Occorrono norme vincolanti, trasversali, ispirate ai diritti umani, come quelle che l’Unione Europea sta cercando di introdurre con l’AI Act.
Ma oltre alle leggi, serve una cultura dell’etica tecnologica, in cui i valori (libertà, uguaglianza, dignità) vengano messi al centro della progettazione, della formazione, dell’uso quotidiano dell’IA. L’intelligenza artificiale non è “buona” o “cattiva” in sé: dipende da come la costruiamo, da chi la controlla, da cosa scegliamo di farne.
L’IA ci costringe a confrontarci con questioni che ci accompagnano da sempre: il potere, la responsabilità, il senso della vita umana. Le risposte non possono venire solo da ingegneri e informatici, ma da filosofi, giuristi, educatori, cittadini. Solo con una riflessione collettiva, aperta, inclusiva potremo davvero governare questa tecnologia senza esserne governati.
Nel prossimo e ultimo articolo vedremo come affrontare il futuro dell’intelligenza artificiale: come prepararci, cosa insegnare alle nuove generazioni, quali competenze coltivare per restare umani in un mondo intelligente.