Carlo Lapucci, Stretta la foglia e larga la via. Storie dei regni sotterranei d’Orchi di castelli celesti di Fate e di grotte magiche di tesori, Sarnus 2024, pag. 224
di Marisa Cecchetti
Quando ero bambina e trascorrevo periodi di vacanza estiva dai nonni materni, in una casa appoggiata al grande giardino di una villa pieno di statue, di laghetti e di misteri, e per arrivare al giardino dovevo attraversare corridoi e stanze sconosciute, la sera il nonno riuniva in cortile tutti i ragazzini del vicinato, che arrivavano con le loro sedioline basse ad ascoltare le sue fiabe. Ci teneva agganciati, ci portava su e giù con lo stupore, la meraviglia, la paura, e quando il climax era giunto al massimo e ci aspettavamo lo scioglimento della storia che calmasse la nostra tensione, lui diceva ora basta, si continua domani, lasciando il finale ai nostri sogni.
Con la stessa curiosità di allora, nell’andare ciclico in cui la vita si ripresenta, ho letto la raccolta di Carlo Lapucci (Vicchio di Mugello 1940), fiabe che hanno echi della parlata toscana del nonno, certamente ne ripropone contenuti che ho dimenticato ma che fanno parte di me, in cui ritrovo espressioni che appartenevano alla quotidianità contadina del tempo. Sul retro di copertina si legge: Da 5 a 100 anni. E a buona ragione, infatti “l’autore completa la più vasta ricognizione nel campo della narrativa popolare toscana”, offrendo a grandi e piccini materia di stupore, divertimento, riflessione.
Ci sono trentuno funzioni che il russo Valdimir Propp (1895- 1970) ha individuato come ossatura che ritorna in ogni fiaba: in genere qualcuno si allontana da casa per le ragioni più varie, ha un divieto, non lo rispetta, incontra ostacoli, si scontra e lotta con l’antagonista, supera le difficoltà talora con l’aiuto di un elemento magico, poi finisce tutto bene, con il ritorno a casa o un matrimonio. Secondo Bruno Bettelheim (1903-1990) le fiabe inviano al bambino questo messaggio: “una lotta contro le difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell’esistenza umana, e soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutivamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso […] Il bambino ha bisogno soprattutto di ricevere suggerimenti in forma simbolica circa il modo in cui poter affrontare questi problemi e arrivare senza danni alla maturità”.
Le fiabe toscane della raccolta di Lapucci si snodano assai libere da schemi, non sempre hanno un lieto fine, vanno anche contro le regole della giustizia, del rispetto, dell’onestà, strappano un sorriso complice sia davanti alla furbizia, all’intelligenza, sia di fronte alla dabbenaggine dei sempliciotti. Torna l’incipit tipico che ci porta fuori del tempo: C’era una volta, a Firenze un ciabattino…, ma talora si entra subito in argomento, col fare concreto dei toscani: “Il lupo e la volpe abitavano nello stesso bosco ma, facendo lo stesso mestiere, si davano fastidio”. Si incontrano orchi, re, fate, principi e principesse, monaci, giovani donne, figli un po’ tonti, gente furba, gente violenta senza scrupoli, animali che ovviamente parlano, povertà, semplicità, ignoranza, ma che un’abbondanza inimmaginabile di ricchezze, e poi castelli immensi, sotterranei che nascondono cadaveri, insomma tutto ciò che la fantasia può creare in modo liberatorio.
Dietro le storie, tante, diverse e intriganti, si coglie il significato simbolico che riporta ai cicli della vita – le nozze come simbolo di fecondità e rinnovamento – e alla morte – l’Orco ne è sempre la raffigurazione -, al bene e al male in lotta tra loro, ai valori morali rispettati o calpestati. Comunque vi resta sempre qualcosa di sovrumano: “nelle fiabe le montagne si aprono, si spostano davvero, le distanze si annullano, i poteri sono immensi, la bellezza è sfolgorante, la malvagità infinita e senza redenzione… la vita senza fine”. Basta questo perché ne rimaniamo ammaliati e torniamo anche a sperare grazie ai finalini che alludono a una eterna felicità: “Se ne stettero e se ne godettero”. Per quanto tempo? Sempre, vero?Ma, tanto per non fare sconti alle ingiustizie della vita e a non lasciarci troppe illusioni: “a me nulla mi dettero /quando chiesi d’aver qualcosa anch’io / non l’ebbi in culo per amor di Dio”.
Le fiabe toscane del nonno si chiudevano con una canzoncina relativamente consolatoria; “… a me nulla mi dettero / ma mi dettero un confettino / lo misi in un buchino / e ora non c’è più”.