IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

C’è chiasso in città? Una conversazione-intervista sul tema dello spazio pubblico e dell’arte  contemporanea. Prima Parte

Concattedrale Taranto-

Concattedrale Taranto-

di Enrico Conte

Concattedrale di taranto

Con:

Lucia Krasovec, architetto, Presidente IN/Arch Triveneto

Daniela Cavallo, architetto, Territory Coach, prof.ssa a contratto di marketing territoriale. Università Verona  .

Serena Rossi, artista, Milano

Antonella Buttazzo, insegnante di storia dell’arte, collabora con Enti locali Salento

Fabrizio Manco, Guida turistica, Marsala

Linda Roncaglia, architetto, funzionaria Comune di Trieste

Elena Cantori, Galleria EContemporary Art Trieste,

Federica Luser, Galleria Trart ,Trieste, 

La chiacchierata che segue si svolge tra figure professionali di diversa estrazione e provenienza.

Sarebbe sbagliato considerare le opinioni riportate quali espressione di un campione statisticamente rilevante. Tuttavia, in un modo o nell’altro, esprimono punti di vista che raccontano percezioni individuali sullo spazio pubblico e sull’arte contemporanea. Argomenti questi che richiederebbero attenzione e discussione pubblica, in quantità e qualità molto superiore a quella che agli stessi viene riservata. Si sconta, lo vedremo, la difficoltà di un contesto che si misura con categorie non sempre condivise, con definizioni che, piuttosto, vacillano, come accade per la stessa nozione di arte contemporanea.

E con spazi pubblici che, proprio perché tali, sembrano luoghi di nessuno, destinati ad un pubblico distratto perché poco educato alla loro considerazione e fruizione.

Nel mentre si confezionava questo scritto i militanti di Ultima Generazione irrompevano sulla scena pubblica imbrattando, con vernice lavabile, le facciate del Parlamento per sensibilizzare sulle iniziative da adottare per fronteggiare il cambiamento climatico, e realizzando  quindi, in uno spazio pubblico, una performance artistica di stampo dadaista.

Una iniziativa che, come ha notato recentemente Luigi Manconi, restituisce un senso di impotenza e  l’idea di provenire da  una generazione, forse l’ultima, ancora in grado di fare qualcosa per salvare il pianeta( ci ha provato prima della pandemia  Greta Thunberg).

A seguire, dopo questa conversazione è previsto, auspicabilmente, un confronto con alcuni amministratori locali ai quali verranno poste inizialmente tre  domande:

–  Che fine hanno fatto le percentuali ( 2%) dei quadri economici di spesa delle opere pubbliche che dovrebbero essere destinate  alla realizzazione di opere d’arte?

– Perché la pratica dei concorsi di idee e di progettazione non viene stabilmente utilizzata per promuovere la qualità delle opere d’arte da realizzare nelle piazze e negli edifici pubblici  o per architettura di qualità?

– Perché non vengono promosse residenze di artista per attirare e per trattenere sul territorio giovani talenti con progetti duraturi?

1)Tra i tanti educatori diffusi, per lo più inconsapevoli, compaiono le forme architettoniche o, più semplicemente, le forme di uno spazio urbano: architettura come “terzo educatore”. Chi vive un luogo, antropizzato o naturale che sia, ne percepisce, anche senza accorgersene anzi, soprattutto senza accorgersene, le qualità o le brutture, gli inestetismi o, più diffusamente, le mediocrità: si pensi a certa edilizia anni ’70, che ha reso anonime e grigie le città…… Poche chiacchere e benessere diffuso dirà Andrea Bajani nel suo Il libro delle case”….ledilizia come resurrezione di un paese nel mattone, palazzine, balconi tutti uguali, tende per il sole”…… Questo, tuttavia, non è tema che interessi solo l’estetica comunemente intesa, ma è materia che attiene alla cultura di un territorio e di una comunità, allo sguardo del singolo, al sentirsi parte di un qualcosa, all’essere vigili mettendosi in ascolto e in relazione con un contesto. Si parla, in questi anni, giustamente, di povertà economica, ma forse non si parla a sufficienza della povertà dello sguardo……….

Antonella Buttazzo: Arte e ambiente sono sempre stati due elementi fortemente correlati. Basti citare la Land Art di Christo, Smithson e Long.

Nel campo urbano si fa fatica a contestualizzare l’arte. Essa è infatti sostituita, completamente, dalla matrice architettonica, la si accosta a una disciplina più scientifica, al pari dell’ingegneria. Ma, a  mio parere, non vi è nulla di più sbagliato.

La povertà dello sguardo deriva da questo errore che tende a razionalizzare troppo una figlia dell’arte a una misura equilibrata e soprattutto numerica. Una sorta di sottrazione emozionale totalmente sovvertita dal senso logico della legge della perfezione cui l’uomo è vittima inconsapevole.

Lucia Krasovec: lo spazio che viviamo necessita di sguardi che possano coltivare sentimenti, ma ciò presuppone avere a disposizione una notevole quantità di cose (di qualità) capaci di innescare forme di affezione e coinvolgimento.

Guardare, dirigere gli occhi su qualcosa o qualcuno non coincide automaticamente con l’atto del vedere, non significa aver osservato e compreso. Lo sguardo è un esercizio di consapevolezza che comporta uno stato d’animo, quindi un fatto di cultura, il risultato di un processo evolutivo che si configura mediante la conoscenza delle cose che ci circondano. Si tratta, nei fatti, di un percorso personale che non può prescindere nè eludere quello collettivo: la conoscenza incide sulla comprensione delle cose intesa non solo come attenzione agli oggetti in sé ma piuttosto come facoltà di intelligere la verità delle relazioni che essi intessono o meno.

Citando Antonio Pascale, la città potrebbe definirsi oggi come luogo in cui viene generata un’enorme produzione di sguardi non richiesti, ovvero di situazioni che ci respingono e non sollecitano desiderio di interesse e interazione.

Una delle soluzioni migliori sta nel ridare funzione sociale all’architettura che ha indubbiamente un ruolo maieutico sulla qualità di vita della collettività, che la deve pretendere da chi amministra e da chi progetta.

È questa una via privilegiata per coltivare la biodiversità urbana, che è anche e soprattutto umana e non può che fare riferimento all’architettura. Con i suoi oggetti e spazi da abitare, l’architettura costruisce una rete di presidi di benessere che possono cauterizzare la fragilità, la criticità, la sfiducia e l’indifferenza, poiché i luoghi si avvalgono di composizioni equilibrate e armoniche, complesse e sottese, fatte da percorsi, sentimenti e reti che solo le architetture umane, il cui sguardo è capace di curare, possono attivare.

Daniela Cavallo_ Lo spazio pubblico come evoluzione dello spazio privato, così dovrebbe essere, per rendere visibile a tutti il senso dell’abitare di un luogo, le sue relazioni, i suoi legami, i fili del tessuto urbano, la stoffa dei cittadini: ’habite ma vie, è l’incipit di una poesia di Marc Chagall che traduciamo in “vivo la mia vita”, quest’idea di unire il verbo abitare con il verbo vivere quando indossiamo una comunità… come l’arbre la foret, continua Chagall, sottolineando il senso ed il valore del concetto di comunità: il luogo dove abbiamo degli obblighi, dove avviene lo scambio, quella relazione che è alla base della città, con effetti, nel bene o nel male, di reciprocità, dove l’arte è necessaria, la creatività è azione di antifragilità.

Così, la qualità dell’architettura, in un disegno che sia relazione: con l’ambiente (ovvero il luogo da vivere), con le persone. Il disegno come segno di una continuità leggibile ed eleggibile, anche nella sua necessaria trasformazione del territorio che è sistema vivente. Un’architettura che sia parole scritte di un’unica narrazione, filo rosso da affidare al futuro perché venga colto e continuato nella sua tela di ragno.

In questo modo la cultura è un processo non un prodotto da manipolare, ma evoluzione ed innovazione da attivare sempre costantemente, là dove cultura fa rima con coltura, coltivare, dunque avere cura, del territorio, della città, degli abitanti, da coloro che indossano lo spazio pubblico e privato, se ne vestono dandone carattere, stile, identità, qualità.

Una qualità che non è estetica, ovvero canoni, regole dettate dall’alto, come un’architettura da Archistar, ma bellezza, ovvero uno stato d’animo di benessere, di gioia.

Come lo è (dovrebbe essere)l’arte, quando si mette in relazione con lo spazio pubblico e con le sue all’architetture.

Elena Cantori: una domanda complessa, inizio dalla fine, la povertà dello sguardo è alimentata anche dal fatto che non siamo più abituati a soffermarci sulle cose, siamo abituati ad acquisire informazioni in modo sempre più veloce e superficiale e questo non aiuta né la cultura, né la cura agli aspetti di inserimento in una comunità fatta di persone, di cose e ovviamente anche nell’architettura che ci circonda. Ritengo che la percezione delle forme dello spazio urbano abbia in tutte le epoche dei lati apprezzabili e altre di dubbio gusto. Ma quella architettura che a volte incriminiamo per bruttezza o inadeguatezza di inserimento, può avere un suo valore. Prendo, per esempio, il complesso di Rozzol Melara, un quadrilatero anni ‘70, una colata gigante di cemento dallo stile brutalista, realizzato nella periferia di Trieste che, negli anni, pur nel suo degrado, è stato oggetto di studio da un punto di vista architettonico e sociale ed è stato centro di evoluzione per interessanti progetti culturali di coinvolgimento sociale, luogo di interesse cinematografico. Un complesso che, pur rimanendo avulso dal contesto urbano cittadino, allo stesso tempo ne fa parte.

Fabrizio Manco: Se da un lato durante il dopoguerra, negli anni a cavallo tra il ‘50 e il ‘60 l’economia e la tecnica hanno permesso un netto miglioramento della vita in ogni suo aspetto, non è stato così per l’arte e per l’architettura, che ha diminuito nel corso degli anni la sua bellezza e la sua importanza artistica.

Possiamo parlare di una vera e propria entropia dell’arte e della cultura in ogni ambito: letterario, cinematografico, artistico e architettonico. Un degrado che purtroppo si respira ogni giorno. Nei secoli passati il Barocco, il Rococò,lo stile liberty, hanno fatto intendere che l’arte e la cultura possono creare dei luoghi e delle città.

Pensiamo per esempio all’arte dell’antica greca e o quella romana, quella era un tipo di arte che era in simbiosi con il mondo attorno a lei e il mondo urbano era edificato di conseguenza.

Oggi le città sono adattate alle automobili e ai mezzi di trasporto…viviamo, da ottanta anni a questa parte, in non luoghi, per usare il termine dell’antropologo Marc Augè. Stiamo assistendo alla proliferazione di strutture che di architettura e di arte non hanno nulla, ma sono solo contenitori antropici, l’architettura non è più al servizio della bellezza ma delle industrie e delle catene di distribuzione.

Come fare: per creare uno spazio artistico in città? Bisognerebbe avere più consapevolezza e utilizzare l’interiorità anzichè la mente, la principale causa di queste strutture aride e gelide.

Linda Roncaglia: se di povertà si può parlare non è solo dello sguardo, ma più in generale culturale. E che probabilmente deriva dal progressivo impoverimento della qualità dell’istruzione di base e dalla mancata formazione nel campo artistico, estetico, architettonico.

Se poi la pensiamo riferita alla classe dirigente, ormai gravemente deficitaria, soprattutto nel campo della storia, dell’estetica, dell’arte, dei metodi per la loro valorizzazione economica, sia a destra che a sinistra. Ripenso, con una certa nostalgia  da romana, a Sindaci come Luigi Petroselli o, in tempi più recenti, ad Assessori come Renato Nicolini.

Serena Rossi: Milano è piena di palazzi orrendi anni ‘70 che sono parte costitutiva della città, penso che vadano apprezzati nell’insieme, non li cambierei, anche se certamente trovo più gradevoli allo sguardo i grattacieli dell’area Fiera, o le torri del Gallaratese, che rappresentano la memoria storica della città che va accettata, come le nuove forme di comunicazione tramite murales.

2. Un ripensamento dei luoghi pubblici e privati, era iniziato nella fase acuta della pandemia quando, nel 2020, si moltiplicavano interviste e interventi per ripensare le città troppo affollate, il paesaggio urbano e rurale, i luoghi dellabitare e lavorare. E’ stato allora che a Parigi ha iniziato ri-diffondersi l’ idea della città in 15 minuti. ..Le strade sono strade e sono vuote, gli edifici sono spazio solidificato, il silenzio è in cemento armato, tranne il vento che spunta agli angoli alle case, appena sibilando( Andrea Bajani)..Adesso, nonostante l’ambiente sia entrato dal 2021 tra i principi fondamentali della Carta costituzionale, integrando la sua tutela con i valori della salute e con quelli  del paesaggio e dei beni culturali, di questi argomenti si discute pubblicamente assai poco………

Antonella Buttazzo: L’importanza dell’ambiente che ci circonda credo sia una delle rivoluzioni che bisognerebbe compiere nelle nostre vite. Quanti posti non conosciamo e che ci stupirebbero per la loro bellezza! E dai quali dovremmo prendere esempio.

Daniela Cavallo: Come l’ammalato che confessa i suoi peccati e si pente poco prima di aver paura di morire: il Covid- 9 nella sua drammaticità, ci ha costretto a dover ripensare il nostro stile di vita, ma anche a un nuovo sguardo  rivolto al Turismo che, per almeno un po’ di tempo, è stato di prossimità. Ci auguravamo fosse un’occasione per ripensare allo  sviluppo turistico, considerando come prioritario l’interesse pubblico del luogo, non quello del turista (il più delle volte un turista “fast”) perché gli interventi sulle strutture e sui servizi non dovrebbero andare a vantaggio solo di una parte della collettività, ma dell’intero sistema abitanti-territorio. La speranza era che, a emergenza finita, la promozione di un turismo sostenibile e responsabile costituisse la base di una ripresa duratura, capace di una migliore redistribuzione dei benefici e in grado di minimizzare l’impatto negativo di alcuni tipi di turismo sul territorio e sulle fasce più deboli della popolazione. E invece, dalle amministrazioni ad alcune categorie di abitanti o di mprese l’auspicio è ancora oggi di sfruttare quanto e più le città, soprattutto i centri storici che rischiano la gentrificazione, lo spopolamento, la snaturalizzazione, la perdita di identità e di attrattività, quella così tanto agognata per i Turisti, ovvero centri storici sempre più parchi a tema e sempre meno città.

Elena Cantori: In questi anni è esplosa da parte degli artisti che frequentano le gallerie, la necessità di approfondire il tema ambiente e natura. Temi che possono diventare un ottimo medium per veicolare un messaggio alla società.

Porto un esempio: uno degli artisti che promuovo da anni, Roberto Ghezzi, lavora a stretto contatto con la natura attraverso il suo progetto naturagrafie in cui uomo e natura entrano in stretta connessione per la realizzazione delle opere d’arte. Dal 2021 Ghezzi collabora con il CNR e con ricercatori che analizzano con strumentazione scientifica alcuni campioni delle sue tele per studiarne le caratteristiche naturalistiche e in particolare come l’ecosistema del vari ambienti toccati dall’artista reagiscono con i vari tipi di tessuto da lui usati. Le naturografie possono infatti essere percepite dal punto di vista dei ricercatori come matrici di raccolta di dati e potenziali fonti di informazioni sulle caratteristiche degli ambienti che li hanno create.

Fabrizio Manco: parlare di spazio culturale nella nostra epoca caratterizzata dalla proliferazione di non luoghi, penso sia inutile….Si potrebbero creare spazi rurali archeologici, in quelle aree del territorio che ancora non sono state fagocitate dalla tecnica e dell’industrializzazione.

Linda Roncaglia: sotto il profilo del paesaggio l’Italia sconta, a differenza di altri paesi europei, l’assenza di figure autorevoli nel campo del paesaggio. Materia-non materia  che fatica ad entrare realmente come argomento  di studio nelle Facoltà di architettura.

 E che quando ci entra è intesa come materia poetica letteraria, come topos, oppure in maniera pìù tecnica,  come ambientalismo ingegneristico, ma raramente assume i caratteri di materia progettuale con specificità.

Forse, la nuova classe docente formatasi all’estero, Francia, Portogallo, Olanda, anche grazie al programma Erasmus saprà dare una nuova direzione formando veri professionisti del paesaggio

3…….”L’arte educativa, l’arte che tocca la coscienza, insieme alla cultura che struttura valori, ed esclude i meccanismi di sopraffazione, l’insegnamento, l’esempio”……(Maria Francesca Mariano, giudice penale e scrittrice) e l’arte – cosi  Delphine  Arnault, vice direttrice generale di Louis Vuitton –   che non può restare confinata nei musei ed è un bene che entri nel mondo esterno, così come è positivo che il mondo esterno entri nei musei”.

In che modo l’ arte ci potrebbe aiutare a salvare  dalla deriva di questi nostri tempi?

Antonella Buttazzo: Pur avendo scelto l’arte come lavoro, mi sono sempre chiesta cosa servisse per studiarla.

Credo che ognuno di noi possegga una chiave,  le materie di studio che scorrono nel corso dei  primi anni scolastici  penso che siano come porte capaci di farci capire chi siamo e chi vogliamo diventare. Ecco allora, che da bambini, nascono le aspirazioni che da adulti ci sembrano stravaganti. Poi solo una porta, fra le tante, farà al caso nostro.

È così che l’arte non pretende di renderci artisti ma artisti della nostra vita, questo sì, ce lo impone.

Ai miei alunni ricordo che crescerà in loro la capacità di confrontare e trovare relazioni fra le infinite avventure della vita……vi circonderete di ricordi, di luoghi e di persone. Senza regole, né nozioni, ma attraverso l’espressione che migra tra il materiale e l’immaginario…….Davanti a voi, una tela di una certa grandezza libera da confini. Allontanatevi dai concetti di tecnica e di bordo. E, credetemi, quando vi dico che arriverà quell’istante in cui comincerete ad accennare con segni leggeri qualcosa, quello che voi riconoscerete come elementi principali…..

Poi, verranno i primi cenni di colore: ad acquarello o a penna e non ci sarà precisione.

Fregatevene della precisione, della perfezione. Sono concetti talmente personali che sarete voi a capire quando le avrete riconosciute tra milioni di pennellate o segni. Lasciate stare anche la gomma, non vi servirà. Non è mai servito a niente cancellare qualcosa. E‘ parte di noi. Il segreto è la paziente lentezza dell’attesa.

Basta tenere la mano leggera e non pretendere al primo tocco l’effetto giusto. E se qualcosa riesce male, non conviene star lì a insistere, cancellare, ricalcare, sfondare la tela. È davvero sbagliando che si impara. È solo così, attraversando l’insieme e i particolari, gli elementi più scuri e luminosi o quelli più incerti e scuri, che il lavoro procederà per il meglio. Quand’è che saremo soddisfatti? Quando l’idea che abbiamo in testa e nel cuore coinciderà con tutto lo sforzo che abbiamo impiegato per esprimerla. Così facendo impareremo a conoscere le nostre forze e le nostre capacità.

Ci sarà chi partirà in volata e chi cadrà prima del traguardo; c’è chi si muoverà a forza di segnettini incerti come se avesse timore di far soffrire la tela e chi invece, divorerà quella stessa tela con pennellate fluorescenti. Ognuno col suo passo, ognuno col suo tempo, colore e supporto. Ecco cosa significa, per me, ‘‘educare alla bellezza‘‘.  

Daniela Cavallo: Abbiamo bisogno di Arte come Aria. Deve rientrare nelle case, necessaria come l’acqua o l’energia elettrica, e non parlo degli oggetti di design, ma di quadri, sculture, libri, tanti libri. Non necessariamente opere costose, battute all’asta, ma frutti del fare dell’uomo del suo pensiero del suo sentire, lì in quel momento. L’arte contemporanea  si è indirizzata sempre più verso la “performance” come grido disperato per essere vista, ascoltata, ma c’è un mondo di artisti contemporanei che realizzano opere che cercano luoghi, case per essere accolte e mettersi in relazione, ricevere e donare sogni, speranze. Un’arte che magari usa oggetti riciclati che diventano altro da se in un nuovo ready made, in un costante ri-ri-rinascimento che le persone non riescono più a fare bloccate dalla paura di non essere accettati.

L’arte educa al bello inteso come forza di essere se stessi, di essere capaci di esprimersi, anche nella diversità, che è la ricchezza dell’innovazione del progredire.

C’è un lavoro immane da fare sui Musei, la parola e la cosa sono vecchie, verrebbe da dire, già la nuova definizione fatta da ICOM induce ad un’apertura, a fare uscire i musei da se stessi a rinnovarsi in nome di relazioni con il contesto, con il futuro, con le persone, con gli abitanti, con l’impresa che andrebbe a costruire un nuovo modello di città.

Cominciamo a educare come si “incontra” un Museo, poco alla volta, visitandolo più volte, magari andando per vedere una sola opera alla volta gustandola fino in fondo come fosse una pietanza, un profumo, facendo uscire quell’opera dal museo per cercarla nel luogo in cui si trova, nella città, tra gli abitanti.

Elena Cantori: l’artista  Salvatore Garau afferma che “l’Arte deve pensare a essere arte e muoversi in tutti i territori possibili. visionari, rivoluzionari, politici. L’arte è uno strumento che deve risvegliare le coscienze e aiutarle a godere del bene che ci circonda senza nessun timore di spingersi troppo. Anzi, questo è il suo compito. Deve dare l’esempio e ricordare che l’uomo ha una mente che dovrebbe essere libera da preconcetti e sovrastrutture che la società sempre più sta imponendo

Fabrizio Manco: L’arte come forma educativa è bene che esca dai musei.. per incontrare la vita vera. In fin dei conti la mia attività di guida turistica ha come scopo far conoscere l’arte. E le istituzioni scolastiche e universitarie  dovrebbero aprirsi di più, peraltro in un quadro generale che registra una certa settorialità delle discipline che alimenta un certo degrado culturale.

Linda Roncaglia: lasciando allora nostri spazi vuoti( non solo fisicamente ma di senso, di vitalità, nelle mani dell’ arte di strada( writers, giocolieri,artisti) che sta da decenni valorizzando le città europee contribuendo nello stesso tempo a reintrodurre nella società molti soggetti che per diversi motivi ne erano stati respinti. Penso, per esempio, al clown francese Miloud Oukiche nei primi anni 90 arrivato a Bucarest decide di fondare “parada”, una associazione che salva ragazzi dalla strada e dalla colla(da sniffare), insegnando loro l’arte circense, dai trampoli alla giocoleria O anche al Museo de Arte de San Paulo, realizzato nel 1968 da Lina Bo Bardi, che riserva all’interno dell’edificio numerosi spazi per campi da basket,  da far usare agli indigenti delle favelas della metropoli brasiliana.

Serena Rossi: L’arte contemporanea deve toccare temi sociali e ambientali, deve poter scuotere l’opinione pubblica. Si deve occupare ad esempio di come difendere i diritti delle donne in Iran, o Afghanistan, di essere contro le guerre del mondo, di salvaguardare l’ambiente.

Ingresso del Maxxi

La seconda parte sarà online il 15 gennaio.

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