COME NACQUE IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI LECCE, OGGI MUSEO “SIGISMONDO CASTROMEDIANO”

SIGISMONDO CASTROMEDIANO
di Maurizio Nocera
Premessa// Sigismondo CASTROMEDIANO di Lymburgh (20 gennaio 1811 – 26 agosto 1895). Il cognome Castromediano si riferisce al comune di Castelmezzano (Potenza). Al tempo della parlata latina era Castrum Medianuum, mentre Lymburgh si riferisce alla famiglia originaria, vissuta all’inizio del II secolo del II millennio nella Franconia (oggi Germania). Queste poche notizie le traggo dagli studi e dalle ricerche del prof. Francesco Sammati, di Castromediano (frazione di Cavallino), che, con me, ha scritto I Lymbutgh Castromediano nel gioco della storia (Grifo Edizioni, Lecce 2023; seconda edizione 2024 con aggiunte e correzioni), il quale ha ripreso l’introvabile libro di Angelo Fusco (Cronologia Nobilissime Familiae de Catromediano de Lymburgh in Regno et Illustrimenae Civitatis Neapoliab anno 1156, Lycii, MDCLX) e da questo libro ne ha tratto un più esaustivo profilo della Casata; alcuni riferimenti li ho tratti anche dalla Lettera al Dr. Daniel Bullinger, Sindaco di Schwabisch Hall (Germania), scritta da Francesco Sammati e Rosemarie Miska. La dr.sa Miska (di origine tedesca ma che da anni vive a Lecce) si è recata personalmente in Germania per consegnare al Sindaco tale lettera.
Il Museo Archeologico Provinciale, oggi Museo Archeologico “Sigismondo Castromediano”, è il più antico della Puglia. Fu fondato nel 1868 da Sigismondo Castromediano di Lymburgh (Cavallino, 20 gennaio 1811 – 26 agosto 1895). Furono in molti ad afferire libri e oggetti all’allora Deputazione Archeologica della Provincia di Terra d’Otranto – presieduta dal Duca Sigismondo Castromediano – per la messa in essere del Museo, fiore all’occhiello nell’allora Meridione d’Italia. Tra questi afferenti si distinse, per apporto di libri e oggetti, Emanuele Barba (Gallipoli, 11 agosto 1819 – 7 dicembre 1887), patriota, medico e letterato gallipolino.
Dei due illustri personaggi, do qui un breve profilo.
Sigismondo CASTROMEDIANO di Lymburgh. Il cognome Castromediano si riferisce al comune di Castelmezzano (Potenza). Al tempo della parlata latina era Castrum Medianum, mentre Lymburgh si riferisce alla famiglia originaria, vissuta all’inizio dell’anno 1000 nella Franconia (oggi Germania). La famiglia dei Lymburgh (capostipite Kiliano) era una delle quattro libere signorie di Germania che, nel 1156, ebbe in dono da Guglielmo I di Sicilia, cosiddetto il Malo (Palermo, 1120-1166), alcune terre lucane: Castrum Medianum (oggi Castelmezzano), Petra Pertosa e Castel Bellotto. La famiglia Lymburgh, col nome di Castromediano, si trasferì in Salento al tempo di Ruggero III da Castromediano di Lymburgh, figlio di Arando con una baronia comprendente Cerceto, Morciano e Cavallino. Secondo Angelo Fusco (Cronologia Nobilissime Familiae de Catromediano de Lymburgh in Regno et Illustrimenae Civitatis Neapoliab anno 1156, Lycii, MDCLX; successivamente in Sammati – Nocera, I Lymbutgh Castromediano nel gioco della storia, Grifo Edizioni, Lecce 2023, pp. 89-140; e seconda edizione 2024 con aggiunte e correzioni), che ricostruì il primo profilo del Casato della famiglia (il secondo è quello del prof. Francesco Sammati), il privilegio di detta baronia fu concesso dalla regina Giovanna I di Napoli per il tramite della contessa leccese Maria d’Enghen. Nel 1325 Ruggero III che, con Filippo Caracciolo, aveva avuto in concessione l’incarico della raccolta del sale nelle province di Otranto e Basilicata, l’8 agosto 1365 sposò Dianora, figlia di Guglielmo di Prato e di Camilla Guarino, nobili della città di Lecce. Da questi coniugi nacque Aloisio I. Costui, col nome di Aloisio I da Castromediano di Lymburgh (il da sta a indicare la provenienza della famiglia, cioè Castelmezzano), acquisì la Baronia prestando la sua opera a Raimondo del Balzo, principe di Taranto e conte di Lecce. Aloisio I sposò Aloisia, figlia di Goffredo di Noha (signore di Cavallino) e di Maria, figlia di Toma del Giudice, nobile napoletano. Dal loro matrimonio nacque Giovanni Antonio I. Aloisio I morì a Cavallino il 3 agosto 1439 e le sue spoglie sono sepolte nell’allora Chiesa Maggiore della città in una sua Cappella denominata “degli Angeli e di San Benedetto”. Quindi è da prima dall’anno 1365 e sicuramente dal 1439 che la Casata Castromediano risulta essere presente in Terra d’Otranto. Ultimo dei Castromediano (dopo di lui la Casata si estingue) è stato Sigismondo, la cui storia personale riempie molte pagine della storia dell’antica Terra d’Otranto (Lecce, Brindisi, Taranto e parte dell’allora Basilicata).
Sigismondo fu patriota unitario e letterato umanista. Nel 1842 si iscrisse all’associazione repubblicana “Giovine Italia” quand’ancora aveva ventuno anni. Però non rimase a lungo affascinato dall’ideologia repubblicana del Mazzini. Il suo fare politico si concretizzò nell’ambito dell’ideologia monarchica. Egli era e rimase sempre un aristocratico salentino col titolo nobiliare di Duca di Cavallino.
Al suo tempo fu chiamato il “Duchino Bianco” per via dei capelli imbiancati sin da giovane. Assieme a pochi altri [Luigi Maggiulli (1828-1914) di Muro Leccese; Emanuele Barba (1819-1887) di Gallipoli; Francesco Casotti (1817-1899) di Lecce; Cosimo De Giorgi (1842-1922) di Lizzanello; Salvatore e Leonardo Stampacchia di Lecce, Luigi G. De Simone (1835-1902), detto anche Ermanno Aar, anch’egli di Lecce, più qualche altro] gettò le fondamenta di quella che sarebbe divenuta una delle meraviglie del Salento e della Puglia.
Nella vita Sigismondo Castromediano fu poeta, scrittore, storico, archeologo, glottologo, erudito ed appassionato di umane lettere, scienziato, politico, parlamentare a Torino (a quel tempo capitale dell’Italia appena unita) per il collegio di Campi Salentina, fondatore e presidente a vita della Commissione di Storia Patria di Terra d’Otranto e successivamente della Commissione Conservatrice dei Monumenti storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto. Fu umanista e patriota risorgimentale fin dalla prima ora.
La sua idea di Italia unita andava oltre la divisione della penisola in Stati e staterelli, castelli e castelletti, per cui capì subito che per unirla occorreva lottare contro chi in quel momento si opponeva a quell’obiettivo. Fu così che, pure essendo egli un nobile di antico lignaggio, si ritrovò accanto al popolo e ai lavoratori di Terra d’Otranto nel combattere la monarchia dei Borbone, anche loro componenti della sua stessa classe sociale e regnanti da secoli il Regno di Napoli. All’interno del processo risorgimentale, ci furono pure le mene di alcune potenze straniere, Francia e Gran Bretagna in particolare, ma in noi deve rimanere chiara e radicata la convinzione che l’Unità del Paese fu obiettivo unanime dell’intero popolo italiano, sia del Nord sia del Sud, indipendentemente dalle cospirazioni straniere.

Oggi, con il senno di poi, si potranno scrivere fiumi di inchiostro per dire che l’unità poteva essere fatta così o colà, dall’alto o dal basso, oppure che a guidare il processo unitario sarebbero potuti essere gli stessi Borbone piuttosto che i Sabaudi. Dal 1861 la penisola italica, nel bene o nel male, è rimasta unita fino ad oggi. Molti furono i patrioti risorgimentali salentini che, nel lottare, si ispirarono ai moti rivoluzionari del 1799 (rivoluzione partenopea), ai moti del 1821, del 1848, del 1859. Tra questi, il nostro pensiero va alla gallipolina Antonietta De Pace (1818-1893), al gallipolino Bonaventura Mazzarella (1818-1882, che fu presidente del Circolo Patriottico Provinciale), all’otrantino Gaetano Brunetti (1829-1900), al galatinese Raffaele Albanese (1800-1887), al magliese Oronzio De Donno junior (1819-1886), al manduriano Nicola Schiavoni, al tarantino Nicola Mignogna, al leccese Giuseppe Libertini (1823-1874), all’altro leccese Achille Dell’Antoglietta, e a tanti altri, fino ad arrivare alla gemma del Risorgimento di Terra d’Otranto, appunto il Duca Sigismondo Castromediano, fulgida figura di patriota unitario costituzionalista di fede monarchico. Sì, è vero, egli fu uomo della Destra moderata della nuova Italia, ma detto e precisato ciò, nulla toglie alla sua grandezza spirituale e alla sua onestà intellettuale.
Egli fu indubitabilmente un rivoluzionario, sia pure d’indole moderata, si ritrovò così a partecipare ai moti insorti a Lecce il 29 giugno 1848 e, allo stesso tempo, a partecipare attivamente alle attività del Circolo Patriottico Provinciale, presieduto dal magistrato Mazzarella. Col ruolo di segretario del Circolo, Castromediano rappresentò il circondario di San Cesario di Lecce. Lo storico Pier Fausto Palumbo, per anni battagliero intellettuale delle memorie salentine, ha scritto:
«La figura di Sigismondo Castromediano riassume in sé due momenti – i più alti – della moderna storia di Terra d’Otranto: l’appassionata, fino al sacrificio, difesa degli Statuti e della libertà, espressi nel moto quarantottesco, e la consacrazione che di questa libertà si ebbe nei processi e nelle prigioni; e il risorgere degli studi, dopo che l’Unità fu raggiunta e, nelle inevitabili delusioni dell’ora, gli spiriti più sensibili si ritrassero nel passato, quasi a cercarvi ispirazione e conforto per un migliore presente» (v. P. F. Palumbo, Sigismondo Castromediano, in Patrioti, storici, eruditi salentini e pugliesi; Milella, Lecce 1980, p. 3).
Con lo spirito evocato dal Palumbo, il Castromediano fu sincero difensore della nuova Costituzione che, sull’onda delle conquiste della Rivoluzione francese del 1789 (Libertà, Uguaglianza, Fraternità), il re napoletano Ferdinando II era stato costretto ad emanare il 2 febbraio 1848. In seguito al tradimento della stessa, abrogata subito dopo dallo stesso re, a Lecce e in tutta Terra d’Otranto scoppiarono tumulti e scontri violentissimi. La repressione delle guardie regie borboniche fu tremenda e il Castromediano, il 30 giugno 1848, con l’accusa di cospirazione politica, fu arrestato una prima volta e subito liberato, quindi una seconda volta (1 novembre 1848) assieme a molti altri, fra cui Nicola Schiavoni, Michelangelo Verri, Domenico Buia, il Donadio e il leggendario Epaminonda Valentini, mazziniano della prima ora, cognato (aveva sposato la sorella Rosa) di Antonietta De Pace, e colui che introdusse nel Salento le nuove idee mazziniane e repubblicane.
Nel suo libro (pp. 71-72), Carceri e galere politiche. Memorie (R. Tipografia Editrice Salentina/ Proprietari Fratelli Spacciante, Lecce, 1895), per tanti versi paragonato al libro di Silvio Pellico, Le mie prigioni (Memorie di Silvio Pellico. Scritte dalle Addizioni di Piero Maroncelli, Proemio e Note di Cesare Spellanzon, Rizzoli & C., Milano, 1944), il Duca Bianco scrive un toccante ricordo del patriota napoletano-gallipolino, morto nel carcere di san Francesco a Lecce.
Una volta arrestato, Castromediano, assieme allo Schiavoni, fu trasferito (4 giugno 1849) dal carcere di Lecce al carcere cosiddetto del “Carmine” di Napoli, e da qui, quasi subito dopo, il 22 giugno, in quello di Procida, da dove fu nuovamente trasferito (1852) nel durissimo carcere di Montefusco (Avellino), dove rimase rinchiuso per 7 anni assieme ad altri patrioti, fra cui Cesare Braico di Brindisi, N. Nisco, Michele Pironti, V. Dono e soprattutto il nobile conte Carlo Poerio (Napoli, 1803-1867), col quale il Castromediano strinse una duratura amicizia. [Di questa esperienza carceraria, il regista Mario Martone ha tratto il film Noi credevamo (2010), il cui ruolo del Duca Bianco è stato interpretato dal regista salentino Edoardo Winspeare]. Dopo i durissimi 7 anni di Montefusco (con le catene ai piedi e incatenati due a due) egli fu nuovamente trasferito (28 maggio 1855) nel carcere di Montesarchio (Benevento), dove rimase rinchiuso altri 3 anni. Quindi fu trasferito a Nisida e a Ischia, fino a che la sua condanna (undici e passa anni ormai scontati, a partire dal 1848), il 27 dicembre 1858, la sua pena fu commutata in esilio, che significò per lui l’Inghilterra.
Nel leggendario viaggio sulla nave statunitense “Stewart” conobbe e fece amicizia con Luigi Settembrini (1813-1876), Silvio Spaventa (1822-1893) e Francesco Agresti, anche loro provenienti dalle prigioni borboniche.
Sigismondo Castromediano morì il 26 agosto 1895 a 84 anni nella sua Cavallino, che mai lo dimenticò. Oggi, nella sua città, che egli continuò sempre a chiamarla Caballino, a ricordarlo, vi sono alcune testimonianze monumentali, tra cui il suo palazzo marchesale a le sue statue bronzee e il monumento funebre nel cimitero della città; mentre a Lecce, oltre al Museo provinciale che porta il suo nome, tra Santa Croce, la Chiesa del Buon Consiglio e Palazzo Carafa (sede del Municipio) c’è piazzetta “Sigismondo Castromediano” con al centro la sua statua bronzea, scolpita dall’esperta mano di Antonio Bortone. Ma interessante è pure Palazzo Castromediano, appartenuto alla nobile Casata, sito affianco a Palazzo Vernazza e nel Vicolo Boemondo, dove Sigismondo soggiornò (ca. 1865-1890) nel periodo dei lavori della Deputazione di Storia Patria e Archeologica.
Emanuele BARBA (medico cerusico) dedicò l’intera vita all’attività culturale ed umanitaria. Fu uomo della Sinistra, nel senso che alle elezioni politiche sostenne sempre i deputati di quello schieramento. Tuttavia, davanti ad eventi importanti, anche politici, non si tirò mai indietro. Ad esempio, quando il socialista Eugenio Rossi fondò a Gallipoli il rivoluzionario giornale «Spartaco», egli fu uno degli organizzatori. Ma la sua opera più importante, ancora oggi esistente nel Centro storico della città ionica, è il Museo Comunale (oggi detto Museo Naturalistico), da lui istituito nel 1873 sotto il nome di “Gabinetto Zoologico e mineralogico”. Da quell’anno e fino alla fine dei suoi giorni (dicembre 1887) egli diresse con cura e con competenza scientifica il Museo, tanto da essere pubblicamente elogiato da Cosimo De Giorgi. Barba nacque a Gallipoli l’11 agosto 1819, al numero civico 4 dell’isolato d’Ospina, da Ernesto Barba e da Giuseppina Manno. Il padre veniva da una famiglia che da più generazioni si tramandava l’arte del produrre la mussola (il filamento che lega la cozza penna alla roccia); la madre che, sul libro dei nati, è registrata come «offesa di un occhio», era anche lei ricamatrice di centrini di mussola. Giovanissimo, si traferì a Napoli su consiglio di alcuni zii: Gaetano Brundesini, zio materno, magistrato presso la Suprema Corte di Giustizia, e l’altro zio paterno, Tommaso Barba, Presidente della Gran Corte. Emanuele frequentò la Neapolitana Studiorum Universitas, in quanto vincitore di un pubblico concorso, e si addottorò il 10 settembre 1842 in “Medicina e Chirurgia”. Successivamente si laureò anche in “Belle lettere e Filosofia”.

La sua prima tesina (pubblicata su una rivista napoletana) ha il titolo di Osservazioni critiche sui mezzi per evitare i falsi ragionamenti in medicina, che gli valse un incarico di medico a Napoli. A Gallipoli invece fu conosciuto come il «medico dei poveri». Egli era stipendiato dal Comune, per cui non aveva bisogno di farsi pagare dai pescatori e dalla povera gente. Con costoro egli praticò lo statuto del baratto: in cambio di una terapia si faceva donare quel che i pescatori traevano nelle loro reti dal mare. Ed è così che nacque il suo Museo Naturalistico, ma non solo, perché molti libri, esistenti oggi nella Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” di Lecce, provengono appunto da sue donazioni o vendite. Così pure vale per non pochi oggetti museali, donati o venduti dal Barba a Sigismondo Castromediano per il Museo Archeologico di Lecce.

Barba fu anche esperto di lingua francese (amico di Victor Hugo. Nella casa degli eredi di Gallipoli si conserva un grande ritratto fotografico con la dedica dello scrittore francese), lingua straniera che nel 1866 egli poté insegnare per anni nelle scuole tecniche pareggiate di Gallipoli.
Nel maggio 1848, Gallipoli insorse, ed egli partecipò ai moti insurrezionali contro i Borbone. Fu sodale di tutti i patrioti risorgimentali salentini e fu soprattutto amico di Garibaldi (v. M. Nocera, Garibaldi e il Salento. Ricordi garibaldini di Emanuele Barba. Celebrazioni Garibaldini 1882-1982, Estratto da «Il Corriere Nuovo», Galatina, 1982). Per l’Eroe dei due mondi scrisse due poesie: Garibaldi sulla tomba di U. Foscolo (1873) e Un sospiro di Garíbaldi (1875). Per essere stato rivoluzionario del 1848, fu perseguitato e più volte arrestato. Nel febbraio 1860 fondò il Circolo Patriottico Gallipolino, mentre, nel 1862, fondò il Comitato per Roma e Venezia, raccogliendo somme di denaro e adesioni al Comitato nazionale. Nello stesso anno fondò e diresse, col nome di Filodemo Alpimare (amico del popolo italiano dalle Alpi al Nord e dal Mare al Sud), «Il Gallo» (stemma della città), giornale popolare che ebbe un discreto successo. Nel 1865 fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso gallipolina. Per avere donato libri e oggetti, e per avere curato per anni il catalogo della Biblioteca Comunale, il Consiglio della città lo nominò vice bibliotecario. E, in questa sua veste, non mancò di scrivere poesie, racconti, storie, relazioni scientifiche (famosa quella sul tifo petecchiale e sul colera da lui curato su un piroscafo alla fonda) e di carattere umanitario, tra cui Scrittori ed uomini insigni di Gallipoli (Postumo, Tipografia Gallipolina, 1893, pp. 108. Pubblicato dal figlio primogenito Ernesto Barba, che nel frattempo era divenuto direttore della Biblioteca). Contiene le biografie di Nicola Maria Cataldi, Giuseppe Castiglione, Pasquale Cataldi, Bartolomeo Ravenna, Antonio de Pace, Giambattista De Tomasi, Tommaso Barba, Sofia Stevens e i suoi Canti, I fratelli Patitari (Salvatore e Francesco), I fratelli Patitari salvano Gallipoli. In fondo all’indice di questo volume c’è un Avviso, in cui si dice che «Il secondo volume di quest’opera conterrà le seguenti biografie: Bonaventura Mazzarella, Epaminonda e Francesco Valentini, Emanuele Barba, Appendice dell’Avv. Ernesto Barba». Purtroppo, questo volume non vide mai la luce perché Ernesto Barba morì il 1902. Tuttavia proprio quello stesso anno – 1902 – Ernesto Barba fece in tempo a pubblicare postumo anche il libro Proverbi e Motti del dialetto gallipolino, riproposto recentemente dal Centro Studi “Sigismondo Castromediano e Gino Rizzo” di Cavallino e pubblicato dall’editore Mario Congedo Galatina nel 2010 con Avvertenza di Mario Emanuele Barba e Presentazione di Alessandro Laporta.
Ancora oggi, in Gallipoli, il nome di Emanuele Barba è vivo più che mai non fosse altro che per quel magnifico ritratto ad olio del grande pittore gallipolino Giuseppe Forcignanò che campeggia davanti all’ingresso del Museo Naturalistico.
CORRISPONDENZA DA SIGISMONDO CATSROMEDIANO A EMANUELE BARBA (1872-1877) (trascrizione del manoscritto originale dell’autore del saggio e di Ada Donno)
1872
Lettera (listata a nero)
Lecce, 9 agosto 1873
Egregio amico
I suoi doni a questo nostro Museo non sono i modestissimi quali vorrebbe che si dicessero, ma se anche lo fossero diverrebbero generosi poiché il suo cuore è sempre generoso. Nell’attendere quindi gli altri che aggiunge ai primi, anticipatamente la ringrazio, anche a nome della mia Commissione, e preveggo che fra le cose naturali specialmente, ve ne siano delle riguardevoli, accennando ella ai fossili di codeste contrade. Non è stato mio pensiero soltanto d’iniziare una raccolta d’antichità, ma mi sono adoperato in modo d’averne un’altra di Storia naturale e, se leggerà gli atti del Consiglio Provinciale, vedrà il come. Il Sig. Paoli che lo saluta se ne occupa.
Anche il Sig. De Giorgi la saluta, egli si riserba di scriverle direttamente, e son certo non essere ancora il suo lavoro tanto compiuto e perfezionato da essere messo in istampa.
Attendo pure le opere dei Briganti, del Coppola ed il diploma istoriato, e quali siano i prezzi da Lei offerti, suppongo giusti e convenienti. Con ciò mi abbia sempre pieno di stima.
Devotissimo
Duca Sigismondo Castromediano
1873
Lettera (listata a nero)
Lecce, 5 novembre 1873
Egregio Amico
Ho ricevuto sue lettere alle quali non ho risposto con sollecitudine, per essere stato in questi giorni molto occupato, e più del solito, atteso il Consiglio Provinciale. Frattanto non so in qual maniera ringraziarla della sua cortesia, tanto a riguardo delle notizie biografiche intorno ai suoi concittadini Castiglione e Patitari, quanto alle ricerche di cui si occupa onde arricchire sempre più questo nostro Museo. In quanto alle prime il suo nome non sarà dimenticato nel pubblicarlo nel Dizionario Biografico, e con gratitudine; ed è perciò che la prego di nuovo a raccogliermi le altre [notizie] intorno a Nicolò Cataldi, Antonio De Pace, Vincenzo de Cataldi e Bartolomeo Ravenna.
In quanto ai libri, i manoscritti e le altre cose accennate nelle due lettere, e nel note buck io le accetto ben volentieri a quello stesso prezzo da lei indicato di lire 97.60. Però, siccome la biblioteca del Museo possiede: 1°, Sannazzaro colla vita del Crispo; 2°, Malinconico Il Magnetismo; 3°, Palmieri: Sulla Pubblica Economia; 4°, Idem, Sulla Pubblica Felicità; 5°, D’Elia e Fiorito, Onori funebri a Vincenzo Tafuri; 6°, Cataldi: Alezio Illustrata; 7°, Lala, Patria di Q. Ennio; 8°, Cicala, Opere; 9°, Iurleo, Delle Origini di Ostuni; 10°, Pignatelli, Una vittima del dispotismo feudale; 11°, Foresio, L’alba e 12° D’Amelio, Biografia di Vincenzo M[ari]a Stasi; però, dicono, se queste 12 opere non fossero già pattuite avrà la bontà di diminuire in corrispondenza la cifra sopra segnata, ma se le avrà pattuite le rimetto pur tutta, che le riceverò volentieri. Venga pure acquistata per lire 30, se non v’è altro risparmio, la tabacchiera del Presta. Si figuri se posso lasciarmela scappare.
Attendo suo riscontro, ed anche notizie del denaro voluto con altra sua, dietro la quale potrò prontamente inviarlo. Come sempre la stimo e l’amo con rispetto.
N. B. Scusi la dicitura: ho scritto di gran fretta, e intendevo dire che per le opere segnate possono non acquistarsi più, lo faccia pure, altrimenti non contraddico.
Devotissimo
Duca Sigismondo Castromediano
1873
Lettera
Lecce, 8 dicembre 1873
Gentilissimo Amico
Contro il mio volere ho mancato alla promessa. L’occasione d’avere dovuto comperare oggetti nuovi al Museo da un forestiero, mi fecero spendere quanto aveva in mia mano depositato. Ora appena la Deputazione Provinciale mi fornirà di nuova moneta spedirò a voi le lire 105, e spero che sia non più tardi della ventura settimana.
Fra tanto avrei a dirvi le seguenti preghiere, cioè dirmi se Eugenio Vetromile, il dotto gesuita in America, sia vivo o morto, e darmi notizie biografiche di Tommaso Barba, di Vito Scorrano di Galatone, e di Francesco di Gallipoli. Attendo le altre che mi prometteste. Ho letto in Liborio Franza che in Gallipoli vi sia stata fabbrica di stoviglie stabilita da un tale Venneri. Si potrebbe avere qualche terraglia di quella, che fosse autentica onde fornire la sezione delle nostre antiche industrie, già incominciata in questo tempo.
Gradite i miei soliti sensi di stima coi quali mi ripeto
Devotissimo
Duca Sigismondo Castromediano
D. D. Amerei con premura d’aver anche le Poesie per una accademia di Brindisi del Conte G. B. de Tomasi.
1873
Lettera
Lecce, 14 dicembre 1873
Carissimo Amico
Vi acchiudo un vaglia postale di lire 105 prezzo dei libri e degli altri oggetti da noi acquistati per questo Museo. Perdonate il ritardo non cagionato tutto dalla mia volontà. Vi prego di nuovo a darmi nel più breve tempo possibile le notizie biografiche richieste, avendo proceduto ben oltre il lavoro del Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto [il manoscritto di questo Dizionario è stato da me donato al Comune di Cavallino nel 2022], e che mi troviate le poesie, opuscolo del De Tomasi; quello intendo in cui si trovano le iscrizioni messapiche da lui pubblicate. Oggi son breve perché ho molto da fare: comandatemi intanto, e mi ripeto
Devotissimo
Duca Sigismondo Castromediano
1873
Lettera
Lecce, 24 dicembre 1873
Gentilissimo Amico,
Non guari giorni vi ho spedito vaglia postale di lire 105 prezzo dei libri ed altro da voi acquistate per questo Museo. Non so se l’abbiate ricevute, e se sì, compiacetevi di annunziarmelo per mia tranquillità.
Prendo questa occasione di augurarvi le felicità sincere e col cuore per questi giorni del natale e del capo d’anno, e vi prego d’istruirmi bene non solo delle biografie che vi ho chiesto, ma pure dei dubbi seguenti.
Trovo due pittori collo stesso cognome Giovanni Andrea Coppola, e questi è di Gallipoli, l’altro di nome Carlo Coppola: è di Gallipoli anche questi? Delucidatemi. E delucidatemi del pari se Andrea Malinconico, Carlo Malinconico e Nicolò ed Oronzio Malinconico, figli entrambi di Andrea, siano pure essi di Gallipoli. Vi prego di nuovo a togliermi da tali dubbi, altrimenti non saprei come decidermi, e forse a trascurare i nomi di questi pittori. Ditemi alcun che del vostro Lenzi. Quali son le opere dei Malinconico?
Vi abbraccio e vi saluto
Devotissimo
Duca Sigismondo Castromediano
1875
Lettera (listata a nero)
Caballino, 28 novembre 1875
Gentilissimo Amico,
Vi son debitore d’un ringraziamento per l’articolo del «Gallo» e delle parole ivi scrittevi a mio riguardo. Lo fo adesso con tutta l’anima, ed aggiungo che detto articolo è degno di voi, perché informato nello spirito di verità, di giustizia e di patriottismo. Quante calunnie sul Vittorio Emanuele di Lecce [si riferisce al monumento di Antonio Bortone di piazzetta Santa Chiara]. Tutte ordite dal partito clericale e retrivo, e con tal arte saputo spanderle che anche i buoni dettero credito.
Vi rispondo tardi per le troppe sventure che mi stanno sulle spalle. Una malattia che quasi mi rende inabile, e per la quale vi contenterete di queste poche linee, la morte di una mia parente, venuta in questi giorni a riabbracciarmi dopo nove anni che più non c’eravamo visti. Morì dopo sette giorni giusto 60 ore d’infermità.
Addio, mio caro amico, scrivetemi, vi abbraccio
Dev.
Duca Sigismondo Castromediano
1877
Lettera (listata a neo)
Lecce, 6 agosto 1877
Gentilissimo Amico
Dopo la perdita d’un altro mio nipote, pochi giorni dietro avvenuta, e la malattia che regna in questa casa, mi perdonerete se sarò breve, tanto più che anch’io mi sento stanco e poco bene.
Siete il mio amico ed avete detto, a ragione, stimandovi pure io per tale, ma non il modestissimo corrispondente della Commissione, anzi l’intelligente ed ottimo, poiché tra i pochi che vi occupate ad accrescere il nostro Museo e disinteressatamente.
Vi ringrazio delle notizie rimessemi per l’ultimo scoprimento archeologico in Alezio. Il Sig. Passaby me ne aveva fatto parola, e ne attendeva i particolari, ne farò l’uso che si dovrà: cioè li trasmetterò col vostro nome al Ministero dell’Istruzione Pubblica, a ciò fossero pubblicate dall’Accademia dei Lincei di Roma, e sempre a nome vostro ed anche del Sig. Passaby, ripeto. Intanto attendo l’epigrafe messapica originale, come attendo quanto altro mi prometteste. Solo vi prego che se ciò non farete nello spazio di una settimana, io mi troverò a Caballino, ove andrò a sollevarmi un poco con quell’aria buona, e della vostra venuta, o della vostra spedizione, dovrei essere avvisato, acciò in quel giorno potessi trovarmi a Lecce. Ditemi se le 17 lire anticipate da voi in mance per avere i summenzionati oggetti, debbo spedirveli costì, o darveli quando verrete. Ad ogni modo ve li spedirò non appena la Deputazione Provinciale mi provvederà d’un po’ di moneta, la quale non tarderà a farlo perché domani la chiederò.
In quanto alla confidenza di cui mi onorate, oh quanto dovrei aggiungere! Tale è mondo, ma siamo uomini, ma viviamo in tempi in cui l’onoratezza e l’amor di patria sono maschere, la fiducia e la buona fede sparite. È la prudenza che mi fa andare avanti, ed è con la prudenza che tutte rinascono… Oh gli amici quanto dovranno piangermi quando sarò morto! Ad ogni modo, quando verrete troverete il mio figlio prediletto assai cresciuto e da non più riconoscerlo: cresciuto in forza della mia volontà e delle mie cure, checché altri possa dire e vantare; cresciuto in forza di un certo riguardo che si ha verso di me, il quale riguardo temo non gioverà più all’opera quando più non sarò. Eccovi ricambiato con un’altra confidenza che mai mi è uscita dalla bocca, e che a voi solo ho fatta, a voi solo. Quindi prudenza, poiché colla prudenza tutto si vince. Addio. Vi abbraccio e mi ripeto
Vostro aff.
Duca Sigismondo Castromediano