“Sciatra matra cutra”!
Il probabile significato letterale di questa espressione, quasi certamente di origine araba, è: “Madre, salvami dal coltello!” Restò una invocazione di aiuto, molto popolare, fino a quando le armi offensive furono i coltelli, prima della lupara e del più moderno tritolo.
Quando qualcuno voleva spiegare ad un forestiero non siciliano come fosse nata questa espressione, raccontava la storia di don Cintu, sicuro che gli si sarebbe ficcata in testa per sempre.
Don Cintu possedeva a qualche chilometro dalla città una piccola casa, una stalla e un forno. Attorno c’era anche un piccolo appezzamento di terreno con un’aia naturale scavata nella roccia e una “mannira” per le pecore.
A tutti diceva che la sua era la più bella e ricca masseria del paese. Invitava ora questo ora quello a venire a visitarla. La moglie naturalmente se ne risentiva alquanto, perché un bicchiere di vino, un pezzo di cacio, qualche oliva, un po’ di lardo, non mancavano mai dalla tavola dell’ospite di turno.
Negli ultimi tempi don Cintu aveva preso l’abitudine di far venire alla sua masseria tutte le domeniche, dopo la messa, il prete.
E’ vero che la moglie di don Cintu era devota e andava spesso in chiesa facendo ogni tanto qualche elemosina, ma quelle visite domenicali erano diventate davvero troppo dispendiose.
Finalmente le venne in mente un’idea. Convinse il marito ad appendere al soffitto del dammusu un sacco pieno di foglie secche di granturco per averne sempre pronte ogni volta che il materasso ne avesse bisogno.
Accanto al sacco fece mettere due belle provole fresche perché si asciugassero meglio.
La domenica seguente il prete va. La moglie lo fa accomodare e comincia a lamentarsi: “Padre benedetto, non so quello che gli sta capitando, ma da qualche giorno mio marito è proprio pazzo. Vedete là – e così dicendo indicava il soffitto- quella è sua madre, l’ha ammazzata e l’ha appesa. Poi è venuto un paesano, un amico. Ma che amico? Ho sentito alzare la voce, degli urli. Non ci ha pensato due volte, il pazzo! Ha preso il coltellaccio del maiale e gli ha tagliato le “cose” che nostro Signore diede solo ad Adamo – e nel dire così, si fece il segno della croce -Le vedete? Ora stanno lì appese!”
Il prete era rimasto allibito, giallo per la paura, non gli usciva una parola dalla gola secca.
La donna aveva capito di aver colto nel segno e ora voleva renderlo ridicolo: “Quante ne combina! Ma voi non preoccupatevi, ora certamente si sarà calmato. E’ andato a prendere due galline per cucinarvele”.
Così dicendo, la donna finge di andare nell’altra stanza.
Il prete, che non ne poteva più, raduna a stento le sue forze e scappa.
In quel momento don Cintu tornava con le galline sgozzate in mano. Vedendo il prete fuggire come un disperato cercò di richiamarlo gridandogli dietro: “Padre, almeno una! Almeno una!”
Neanche a dirlo, il prete pensava alle “cose” di Adamo e, non avendo alcuna intenzione di lasciargliene nemmeno una, continuò la sua fuga precipitosa, gridando fino al paese: “Sciatra matra cutra!”
***
Altra espressione molto nota in Sicilia è: “Uorivu e surdu avissi a divintari!”, e cioè : Dovrei diventare cieco e sordo!
Se lo augurava chi, non potendo più sopportare certi fatti sgradevoli ed evidenti come la luce del sole, non trovava altro rimedio che non vedere né sentire.
Non si sa se a torto o a ragione, Caspanazzu accusava la bella e giovane moglie di intendersela con il prete. Sebbene sulla cinquantina, era ancora un forte e buon lavoratore. Dalla mattina alla sera strappava e scalpellava la dura pietra della “pirrera”.
Caspanazzu non aveva alcuna prova, se non le chiacchiere della gente e il fatto che la moglie lo trascurasse.
Quando la sera tornava sfinito dal lavoro, la moglie sembrava più stanca di lui:
“Sai, oggi sono stata tutto il giorno a pulire la casa del Signore e il prete mi ha benedetta -diceva con fare umile- ti ho preparato, però, questo buon piatto di fave!”
Ma le fave erano fredde e non erano diverse da quelle delle sere precedenti.
Il povero uomo protestava, alzava la voce, minacciava, ma alla fine il danno non voleva procurarlo a lei e pronunciava per sé la frase: “Uorivu e surdu avissi a divintari!”
La donna, che voleva conquistare il prete con i suoi servizi, aveva irritato il sagrestano perché non poteva mai chiudere la chiesa quando era l’ora.
Avendo intuito le intenzioni della donna, la teneva d’occhio.
Un giorno, nascosto dietro l’altare, udì la donna che pregava a voce sommessa:
“Signore mio, mi dovete fare questa grazia: uorivu e surdu lo dovete fare diventare mio marito, così come va dicendo tutti i giorni!”
Il sagrestano raccontò tutto al marito
Caspanazzu pensò bene di sfruttare l’occasione che gli si presentava e disse al sagrestano di nascondersi ancora dietro l’altare e di rispondere alla preghiera della moglie come se parlasse il Signore.
Così fece.
Quando la donna ripeté l’abituale preghiera, sentì una voce profonda: “Sarai esaudita se ogni sera preparerai a tuo marito una cena con uova, vino, carne e dolci in abbondanza”.
La sera stessa la donna, diventata molto premurosa, va incontro al marito, lo chiama “povero uomo”, lo fa sedere e lo serve con cura e con piatti appetitosi.
La cosa durava ormai da qualche tempo, quando finalmente una sera il marito comincia a lamentarsi:
-“Sai, oggi mi pare che ci vedo di meno!”-
– Sarà la stanchezza” – risponde distratta la moglie.
Il marito fa finta di non sentire e la moglie gongolante aggiunge:
-“Ah! ma ci senti meno?”-
Tutto filava come aveva promesso il Signore.
Caspanazzu mangiava, mangiava.
Una mattina si mise seduto sul letto e disse alla moglie:
-“Io non ci posso più andare a lavorare!”-
Diceva di essere diventato cieco, stava seduto davanti alla porta e non sentiva nulla.
Ora la moglie poteva intrattenersi liberamente con il prete. Questi entrava e usciva dalla casa e dava appena uno sguardo di compassione al povero Caspanazzu.
Caspanazzu aveva le prove del tradimento della moglie.
Una sera piano piano entrò in casa e mentre il prete diceva messa con la moglie, giù botte con un bastone nodoso finché quello cadde a terra morto.
La moglie gridava e Caspanazzu come trasognato andava dicendo:
-“Ma che cosa è successo? Che cosa è successo?”-
E quando la moglie gli fece capire che aveva ucciso il prete, lui, fingendosi addolorato, la pregò di chiudere la porta.
-“Stanotte al buio lo caricheremo sul carretto e lo butteremo dal ponte”-
Sul carretto Caspanazzu, mentre si appoggiava a lei, cucì la tonaca del prete alla veste della moglie.
Caspanazzu, uorivu e surdu, sentì il tonfo e al fioco chiarore della luna scorse i due corpi precipitati tra i rovi del burrone.