IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Emanuele Barba e lo “Spartaco” di Gallipoli

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Manifesto Emanuele Barba

Manifesto del bicentenario dalla nascita di Emanuele Barba

Ritratto di Emanuele Barba
Emanuele Barba da internet Wikipedia

di Maurizio Nocera

L’occasione di un rinnovato interesse generale per la storia patria dell’Ottocento salentino, e l’occasione anche di essermi cadute tra le mani alcune copie del giornale di lotta «Spartaco»1 di Gallipoli, mi ha fatto ripensare a uno dei personaggi emblematici della rinascita letteraria e scientifica del Salento: Emanuele Barba, patriota, medico, scienziato, filantropo gallipolino, uomo versatile in differenti campi della cultura e delle umane lettere, e sicuramente personaggio di tutto rispetto da annoverare tra i grandi salentini dell’Ottocento (Sigismondo Castromediano, Luigi Maggiulli, Cosimo De Giorgi, Luigi Giuseppe De Simone) che in questi ultimi anni sono stati oggetto di studi e ricerche.

Emanuele Barba morì il 7 dicembre 1887 nella sua Gallipoli, laddove era nato 68 anni prima, l’11 agosto 1819. Quell’infausto evento fu ricordato dal Dr. Antonio Franza sullo stesso giornale, di cui il Barba era stato uno dei fondatori, periodico che rappresentava l’Associazione democratica elettorale della Circoscrizione di Gallipoli. Il Franza così lo ricorda:

«Quantunque preveduta da tempo, non per questo la sparizione di quest’uomo [Emanuele Barba], avvenuta alle ore 7 p. m. del giorno 7 corrente mese, è riuscita men dolorosa a quanti ebbero la fortuna di conoscerlo; a me è stato un vero schianto./ All’annunzio della sua morte, un tumulto di sentimenti e di memoria si affollano turbinose alla mente, la quale non trova la parola adeguata per significare la gravità della perdita che Gallipoli ha [avuto …]

Se, come patriota, medico insigne, disinteressato e caritatevole, uomo di scienze e di lettere, la fama di Emmanuele Barba non varcò gli angusti limiti della Provincia che gli diede i natali, due sole le ragioni del fatto: l’eccessiva sua modestia, e soprattutto l’epoca tristissima che noi attraversiamo, la quale non permette che la virtù vera ed il valore abbiano stima adeguata al merito […]

Non è meraviglia dunque se il Barba, che fu patriota vero, ingegno elettissimo e soprattutto uomo onesto, per stentare la vita dovette accontentarsi dei meschini proventi che ritraeva dal suo lavoro come insegnante e dal modesto ufficio di bibliotecario di Gallipoli […] il compianto che oggi tutto il paese tributa alla memoria del caro estinto è il miglior compenso che il nostro amico poteva sperare. Ed altro compenso ancora egli s’ebbe in vita, quello di non vedere insozzato il suo nome da titoli onorifici, né lordate le sue povere, ma onorate vesti, da ciondoli […]

Ma la viltà di pettegoli nani ambiziosi, ai quali era rampogna l’onestà e l’inflessibilità del Barba, volle anche colpire e colpì l’onorata sua canizie, e lo gettò, siccome egli soleva sovente ripetere ai suoi intimi, sul lastrico! Ora, egli ha chiuso, e per sempre, gli occhi alla luce, e non vedrà più oltre la viltà e le codardie dell’epoca presente…»2.

Copertina del Dizionario biografico dei soci dell'Accademia Pittagorica
Copertina Dizionario biografico dei soci dell’Accademia Pittagorica da Internet libriantichierari

Ancora sullo stesso numero del giornale vi è riportata una breve biografia del Barba, ripresa dal Dizionario biografico dei soci dell’Accademia Pittagorica, che così lo descrive:

«Suoi primi educatori in Napoli, ove fu recato di tenera età, furono i suoi zii Gaetano Brundesini, Consigliere della Suprema Corte di Giustizia, e Tommaso Barba, Presidente di Gran Corte. Studiò lettere e filosofia alla scuola di Basilio Puoti, e per concorso guadagnò la piazza gratuita quinquennale – pel Distretto di Gallipoli – nel R. Collegio Medico Cerusico, ove compì i suoi studi con molto onore.

Nell’Accademia Medico-Cerusica lesse appunto un suo 1° lavoro dal titolo Sui mezzi per evitare i falsi ragionamenti in medicina – il quale gli valse onorevole menzione nel «Giornale Ufficiale delle due Sicilie» (n. 19, anno 1843) ed il posto di Aiutante-preparatore alla cattedra di Anatomia del suddetto R. Collegio. Poscia rimpatriò, ed esercitò la professione di Medico-Chirurgo, nonché il privato insegnamento di Scienze e Lettere con molto plauso dei suoi concittadini.

Nel 1848, infierendo l’epidemia del tifo, fu prescelto a Direttore dell’Ospedale provvisorio di Gallipoli, cui, durante cinque mesi, rischiando la sua vita, per le cure ad oltre 3000 infermi, rese importanti servigi, e se n’ebbe da quel Municipio splendide deliberazioni di lode e di benemerenza. Dallo stesso Municipio, nel 1866, a causa dell’epidemia colerica, egli ebbe solo decretata in quella città una Medaglia d’Oro.

Tre diverse volte fu nominato Medico condotto, ma vi rinunciò, propugnando una benefica riforma a pro dei poveri costretti ad avere bisogno della medica assistenza e che gli valse ben meritate attestazioni di lode dai più illustri cultori delle scienze mediche.

Sono già 20 anni che, con gran lode, è professore nel Ginnasio e nella Scuola tecnica della sua città natale, ove fu pure Soprintendente scolastico, Assessore delegato alla pubblica Istruzione, Insegnante gratuito nelle Scuole tecniche serali del Municipio, e Direttore delle “Scuole serali e festive degli adulti” istituite dal Governo.

I buoni risultati nell’insegnamento gli ottennero dal Consiglio provinciale di Bari la nomina di Professore di Letteratura nel Ginnasio di Trani, ma egli vi rinunziò, per rendersi sempre più utile alla sua Gallipoli. Oltre delle scienze mediche, delle belle lettere e della filosofia, egli è profondo conoscitore della lingua latina, della lingua inglese e della francese: anzi in quest’ultima ha pure un diploma di professione. Come patriota pagò il suo amore per la patria, ch’era delitto all’ombra del Borbone, prima coll’esilio, e poi con tre anni di carcere, per condanna pronunziatane, nel marzo del 1852, dalla Gran Corte speciale di Terra d’Otranto. Fu nel carcere appunto che scrisse un Proclama agli Italiani, il quale, non ostante il servaggio del Borbone, penetrò in tutti i luoghi di pena, stampandosene 4 edizioni.

Nel 1861, smessa la divisa di Sotto-ufficiale della Guardia nazionale, da semplice milite prese parte contro il brigantaggio, che infestava quel Circondario. Nel 1863 fondò e diresse un periodico, «Il Gallo», e poi fondò del pari e fu Segretario perpetuo della prima Società di mutuo soccorso ed istruzione degli operai di Gallipoli. Fu Presidente dei Comitati di provvedimenti per Roma e Venezia, per i Soccorsi ai Veneti, e per le Elezioni amministrative.

Per concorso di titoli vinse il posto, che occupa, di “Bibliotecario a vita” della Comunale di Gallipoli, istituendovi un Bollettino bio-bibliografico, che tuttavia vede la luce, e – nel 1878, a tutte sue spese – un “Museo di Storia naturale e di Archeologia”. Arricchì il Museo della Provincia d’una preziosissima collezione d’oggetti di Storia naturale, geo-mineralogici ed archeologici, frutto d’indefesse e pazienti ricerche da lui pure illustrate.

Tra tante cure, il Dott. Barba si è pur mostrato felice cultore delle muse, e Un sospiro di Garibaldi sono versi ispirati e patriottici, da lui stampati nel 1875. Oltre alle parecchie sue monografie, e vari discorsi, e relazioni, abbiamo: Versione dal francese dell’opuscolo di Victor Hugo Sul pubblico insegnamento, ch’egli stampò, facendolo precedere dal noto Proclama agl’Italiani, ed un grosso volume (in corso di stampa) di Epigrafi italiane. Degli altri suoi lavori inediti notiamo: Cenni statistici e stratigrafici sul territorio di Gallipoli; Canti popolari e proverbi di gallipolitani illustrati; Vocabolario della lingue italiana, francese ed inglese; Ammusements litteraires français.

Moltissimi sodalizi resero omaggio al suo chiaro nome. Tra gli altri, egli appartiene all’Istituto archeologico, alla R. Commissione conservatrice dei Monumenti e di Belle Arti di Terra d’Otranto, all’Istituto filotecnico nazionale, ecc. Il Dott. Barba è uomo dotto e benemerito del suo paese, cui si adoperò di tornare utile, vivendo col frutto delle sue fatiche e nulla mai chiedendo al paternale nostro Governo.

Egli oramai è vecchio d’anni, ma la sua mente è sempre giovane, ed egli lavora, indefessamente lavora, per accrescere lustro e decoro alla città che gli diede i natali, e per meritarsi sempre più la stima degli illustri italiani, che tengono in pregio la sua amicizia»3.

Già da questa breve nota biografica è possibile vedere quali furono gli interessi e gli studi di Emanuele Barba. A me, in particolare, preme sottolineare il suo amore e l’impegno per la povera gente della sua città, per i lavoratori e per tutti quegli strati di cittadini impossibilitati dalle dure condizioni a poter svolgere una vita degna e piena di qualche sia pur piccola soddisfazione. Questo suo amore per la povera gente verrà stigmatizzato dalla lettera che la moglie Addolorata Bono e i figli invieranno allo stesso giornale «Spartaco», quale ringraziamento per le onorificenze ricevute. Tra l’altro così si esprimono la vedova e i figli:

«Agli amici tutti, ai fratelli operai Gallipolini, alle varie Associazioni operaie e politiche dei diversi paesi ed alle autorità, a cui siamo impossibilitati di manifestare direttamente gli intimi sentimenti, giunga questa nostra come modesta ma sincera testimonianza della riconoscenza, che per tutti eternamente serberemo»4.

Manifesto del bicentenario di Emanuele Barba con ritratto al centro tra due colonne di libri
Manifesto del bicentenario dalla nascita di Emanuele Barba

Lo «Spartaco» ritornerà a parlare ancora di Emanuele Barba il 7 dicembre 1888, in occasione del 1° anniversario della morte. E lo farà dedicando ben due pagine del giornale con un’introduzione dello stesso Antonio Franza, che scrive:

«Volge oramai un anno dal giorno della morte dell’amico nostro, e noi compiamo un dovere ricordando ai concittadini, e massimamente alla gioventù che viene su nella vita, questa splendida figura di patriota, di scienziato e di letterato, sicuri di far opera eminentemente civile e patriottica. Ricordare infatti ai contemporanei e a quegli a venire le virtù dei nostri migliori uomini che furono, perché vengono tolte ad esempio da imitarsi, significa spronare i cuori a sollevarsi dall’onda putrida che ci circonda ai puri ideali, formando nel contempo la coscienza di liberi cittadini. E se al presente la fama del nostro amico tace, ciò si deve a non altra causa se non che la celebrità degli uomini dipende come ogni nostra cosa, più da fortuna che da ragione.

Emanuele Barba certo fu uno dei migliori. Quale Egli entrò nella primavera del 1848, pieno il cuore di giovinezza, d’entusiasmo e d’ideali, e tale Egli ne uscì dopo quarant’anni di lotte, di persecuzioni, di dolori e di povertà onorando e serbando infino all’ultimo inconcussa la fede nel trionfo di quelli ideali che furono per lui il pensiero costante di tutta la sua vita. Ebbe, come ognuna sa, ingegno peregrino e versatile tale, che se l’estrema modestia sua e la sua austerità non glielo avessero vietato, avrebbe potuto benissimo coprire le più alte fra le cariche sociali, ed avrebbe potuto ritrarne onori e lucri…!

Ma verace valor benché neglette. Fa di se stesso a sé pregio assai chiaro; ed Egli si tenne pago splendore della sua povertà. Ebbe altresì animo gentile, mite; fu l’amico di tutti, e più degli oppressi, tanto che questa sua virtù appariva talvolta un difetto, perciocché pensoso più d’altrui che di se stesso, sé ed i suoi negligeva, tutto contento a giovare agli altri.

Gallipoli deve essere orgogliosa d’aver dato i natali a Emanuele Barba, e se la negligenza di chi ne avrebbe il dovere non ha saputo esternarne la memoria in alcun segno esterno, la maggiorità del paese e del Popolo, gli operai e la gioventù custodiranno eternamente la sua memoria, avendone di già elevato nel loro cuore un monumento5».

Su questo stesso numero del giornale vennero pubblicate altre testimonianze di affetto e di memoria per l’illustre uomo gallipolino.

Da Napoli, il 2 dicembre 1888, Beniamino Marciano, marito di Antonietta De Pace, scrive al gerente del giornale:

«Caro Coppola, Gallipoli ricorda e commemora il suo Emanuele Barba, e fa il suo dovere, «Spartaco» ne piglia l’iniziativa, e con ragione Emanuele Barba fu gallipolino e amico di servitù! Se in ogni Comune d’Italia ci fosse un Emanuele Barba, certo le sorti sarebbero migliori; perché nulla giova di più quanto il liberalismo vero, intelligente, onesto e modesto; e quello di Barba fu tale. Possa la memoria di lui essere sempre viva tra voi; e possano i figliuoli suoi continuare l’opera del padre. Ecco il ricordo e l’augurio che di lontano vi mandano Antonietta De Pace gallipolina e il vostro B. Marciano».

Foglio del giornale Spartaco con disegno di un libro
Foglio del periodico Spartaco rieditato da Elio Pindinelli

La casaranese poeta Adele Lupo Maggiorelli, alla quale il Barba, nel maggio 1882, aveva dedicata una sua poesia6, titola la sua dedica

VII Dicembre:

Allor che giovin tanto e tanto mesta/ Mi rifugiavo tra le jonie mura/ Come per riposar la stanca testa/ Affranta da domestica sventura,/ Tu vecchio amico caro e confidente/ Rianimavi la vergin fantasia;/ Col foco del tuo dir, con l'alma ardente/ Scuotevi l'avvilita cetra mia./ Or tra codesto mar ricco d'incanti/ E l'azzur perenne del suo cielo/ Non s'ode l'eco de' tuoi dolci canti.../ Ché sul cantor scese di morte il gelo./ Ed è già un anno che tu stai sotterra/ Un anno che di te si parla e scrive,/ Ma intorno intorno alla tua patria terra/ L'eletto spirto tuo aleggia e vive./ E quando rivedrò le amiche sponde/ E la sirena dell'Jonio mare,/ Io chiederò a' tuoi figli, all'aure, all'onde/ Ove ti possa mai più ritrovare./ Ed essi additeranno il camposanto,/ Che ha pur le rimembranze del mio core,/ Ma io Ti troverò nel lungo pianto/ Della tua terra, e più nel mio dolore./ Ti troverò nel fior della memoria,/ Del salentino suol vanto novello,/ Ti troverò nella tua patria istoria,/ Di Gallipoli tua, o Emanuello».

Altre liriche di A. Pepe, di Michele Melgiovanni, mentre l’Associazione Democratica Artigiana delibera di commemorare il suo primo Presidente (Emanuele Barba) con una pubblica assemblea nelle sale del proprio sodalizio. Sarà proprio quest’associazione che lo ricorderà ancora l’anno dopo, in occasione del 2° anniversario della morte. Puntualmente lo «Spartaco» riportò la cronaca dell’iniziativa:

«Le Società Operaie di Gallipoli, dietro iniziativa dell’Associazione Democratica Artigiana, avevano stabilito di commemorare anche quest’anno il 2° anniversario del nostro compianto concittadino Dottor Professor Emanuele Barba nelle sale della Democratica. Ma, avendo i giovani studenti del nostro Ginnasio, esternato agli operai il desiderio di deporre una corona sulla tomba dell’insigne Maestro, gli operai, facendo plauso alla loro nobile e generosa proposta, si unirono a loro e stabilirono di fare quest’anno la commemorazione nel cimitero.

Domenica 8 corrente infatti, alle 10 ant., si adunarono in piazza S. Agata la Società Democratica Artigiana con bandiera; la Società Cooperativa tra i Bottai con bandiera; la Società di Mutuo Soccorso Pensiero e Azione, con bandiera; gli alunni del Ginnasio con bandiera e con una bellissima corona; una rappresentanza della Società Cooperativa di Costruzione e Produzione e un numeroso ed eletto seguito di operai, di amici democratici di Gallipoli e di Alezio, ed i discepoli del compianto Barba recanti tutti una ricca corona di alloro.

Il mesto corteo mosse alle 10 ant. da piazza S. Agata verso il Cimitero. Lì giunti si deposero le corone sulla tomba del compianto Professore, e presero la parola in nome dei lavoratori e del collegio operaio: Attilio Passeri – che con le lacrime agli occhi e con voce commosse disse: “Le ultime parole del nostro Padre e Maestro furono: ‘Ricordo tutto con amore; la vita in comune è amore; ecco la mia bandiera’. Sì, signori, l’amore al suo paese, l’amore alla patria, l’amore al popolo e alla libertà furono il suo programma e il suo modello. Egli morì qual visse. Su questa tomba, che è simbolo di verità, di patriottismo e di alto sapere, chiniamo le nostre fronti riverenti ed imploranti da essa coraggio e vigore per la via dell’avvenire, che sarà men triste per noi se Lui imiteremo.

Signori, Egli morì povero col sorriso sul labbro, perché il suo ideale non dimenticò mai per cedere all’interesse. Sempre là sulla breccia quando vi era una nuova missione da compiere, sempre cogli operai, col popolo. Nato dal popolo amava qual figlio primogenito, ed anche perché ripeteva sempre: ‘Istruite il popolo ed avrete una grande e libera nazione’. Egli oggi ci guarda e ci sorride, col suo fieristico e soave sorriso, perché qui noi lo rammentiamo con affetto e con commozione e alla sua cara memoria dedichiamo una corona….”./

Dopo del Passeri, lesse un saluto il giovane studente Foscarini Romolo: “Salute, o Maestro! O tu, che da bambini ci guidasti per sentiero della verità e dell’istruzione, guidaci anche morto a raggiungere la meta da te additaci, per essere a te cari, per essere sempre liberi figli della patria ed amici indefessi del popolo. Tu sarai sempre il nostro Padre, il nostro esempio finché ci resterà la forza di combattere e il desiderio di apprendere, perché siamo convinti che, seguendo le tue orme diverremo cittadini degni della patria. Ora son due anni che ti perdemmo, e riuniti qui in fraterno pellegrinaggio, deponiamo sulla tua tomba venerata un modesto tributo del nostro indelebile affetto”.

Prende quindi la parola l’egregio amico nostro Tenente Eugenio Rossi, in nome degli amici politici: “Dice lo stolto, dice il cinico pessimista che la virtù non ha valore, che la virtù è una superstizione. Egli mente. Qual è la forza maggiore che qui oggi ha fatto convenire questa eletta parte di popolo? Non è senza dubbio la forza della virtù del nostro Emanuele Barba, che rispecchiandosi nel popolo genera virtù anche in esso? La virtù dunque applicandosi nelle idee e nelle azioni, fila verso la meta ed è produttiva, perché genera virtù. E qui abbiamo il più bello, il più eloquente esempio del nostro Emanuele, nella granitica figura di patriota e di saggio, che le arpie e i gufi della città nostra, invano tentarono di demolire vivo; e, che anche morto, ma sempre invano, tentano di profanare.

Egli nato dal popolo visse e morì per il popolo – e noi popolo lo ricordiamo e lo onoriamo sempre. Disse Cristo: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue non morrà in eterno’. Così dicendo il sommo rivoluzionario dell’antichità non voleva dire certo che i suoi discepoli dovevano divorarlo a guisa di belve; ma insegnava che chi si infervorava del suo ideale e della sua missione umanitaria si rendeva immortale, e il suo nome passava di generazione in generazione.

L’ideale di Cristo fu riprodotto e rivendicato dopo 13 secoli da un altro grande benefattore dell’umanità, da Giuseppe Mazzini. Imperciocché l’ideale di Cristo è quello di Mazzini, con la sola differenza che Cristo in quei tempi di barbarie non poteva predicare che idea e meditazione; mentre Mazzini nei tempi progrediti predicava pensiero e azione.

Dell’ideale di Cristo e di Mazzini s’infervorò Emanuele Barba; e, cavaliere del popolo, lo propugnò per tutta la sua vita, e, battagliero invitto si sacrificò per quell’ideale sino alla morte. Ecco perché il nostro Emanuele è morto da due anni, e il suo nome e la sua memoria restano e resteranno sempre cari e venerati dal popolo. ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue’ non morrà in eterno et ego resuscitabo eum in novissimo die. Sì, nel giorno novissimo, ad ora suonata, quando l’opera stupenda della redenzione dell’umanità sarà un fatto convinto […] dei nostri migliori sorgeranno dal sepolcro, sfolgoranti di gloria, e quel giorno sarà per loro, sarà per il popolo che soffre e lavora la vera pasqua di resurrezione.

Ora a voi, più specialmente, o giovani, dai quali la patria, l’umanità e l’avvenire più si attendono, a voi mi rivolgo e dico: il tributo più accetto che oggi e sempre potete rendere alla venerata memoria di Emanuele Barba è quello di farvi continuatori dell’opera sua, propagando strenuamente i suoi ideali, finché non saranno tradotti in atto. E quando la marea dei corrotti e dei tristi, che oggi tutto ha invaso, vi minaccia e tenta travolgervi; ricorrete con intelletto d’amore a questa tomba, rievocate la memoria dei nostri sommi, e ne uscirete più gagliardi di prima, e la vittoria indubbiamente sarà vostra».

Dopo le parole del Rossi, che riscossero l’approvazione unanime, il Consigliere Provinciale Dott. Antonio Franza, pregato dall’amico Avv. Ernesto Barba, ch’era presente alla mesta cerimonia, ringraziò con nobili e commoventi parole tutti i convenuti in nome dei figli e dei congiunti del defunto Professore; ed il corteo si sciolse. Notammo con somma meraviglia la presenza dei R. Delegati e di otto o dieci Carabinieri nel cimitero. Che diamine!… Si ha paura anche dei poveri morti?!»7

Anche se successivamente a queste note sopra riportate, il battagliero Spartaco non ne riportò altre sull’insigne uomo gallipolino, è certo però che i soci del sodalizio che attorno al giornale si era formato non smisero mai di ricordare ed onorare il loro maestro e compagno di lotta Emanuele Barba.

1 A tale proposito è utile rileggere parte de Il nostro programma (scritto a nome del Consiglio Direttivo dell’Associazione Democratica elettorale e direttamente ispirato da Emanuele Barba) con il quale il 19 ottobre 1887 vide la luce il settimanale (usciva ogni mercoledì) gallipolino: «Sono oramai vari anni che in questo estremo lembo del Salento, col concorso fraterno di vecchie e giovani forze, si è andato organizzando un partito democratico, che nelle ultime elezioni generali politiche strenuamente combatté, e splendidamente si affermò, tenendo alta e ben salda la bandiera della Democrazia radicale, che è la bandiera del civile progresso, della vera libertà, della scienza, e dell’avvenire. Dai pochi e vecchi patrioti, i quali diedero il loro obolo per l’indipendenza della Patria, ai giovani generosi che sperano di dare la loro vita per il riscatto delle terre italiane tuttora irredenti; dal cittadino più venerando per dottrina e illibatezza di costumi, sino all’ultimo figlio del lavoro, tutti i militi di questo partito sono ispirati da un solo ideale – l’ideale, a cui consacrò genio ed esistenza il nostro venerato maestro Giuseppe Mazzini – l’ideale, che è l’unica forma logica della libertà. Emanazione, stendardo, arma potente di questi eletti figli del popolo e del pensiero, anelanti il giorno della giustizia e dell’uguaglianza, oggi sorge «Spartaco»: e storicamente eroe del pugilato, si caccia con fermezza di principii e con serietà di propositi nella lotta. E sarà lotta imparziale, impersonale, e disinteressata; ma accanita e inesorabile come il destino. Sarà lotta fiera e dignitosa così nel campo politico, come nell’amministrativo. Sarà lotta del giorno per giorno contro il falso e l’incoerente sistema politico-sociale ed i poteri dell’oggi su di un terreno comune, ove possono convenire tutte le gradazioni della Democrazia. La rivendicazione della sovranità nazionale, e la riabilitazione civile, intellettuale ed economica delle nostre classi diseredate saranno la meta suprema, a raggiungere la quale «Spartaco» lancia alle masse il motto fatidico della riscossa sociale, incitando volenti e nolenti, non ancora corrotti, a seguire il cammino che a noi viene additato dalla scienza e dalla civiltà […] Gallipoli, come capoluogo di vasto circondario e della nostra circoscrizione elettorale, sarà il centro d’azione del nostro giornale, in cui andremo man mano stigmatizzando la corruzione che sale in alto e invade sempre più la vita amministrativa dei nostri Comuni, e combattendo gli uomini, che con le più volgari e mal celate vendette e colle più basse prepotenze, hanno invaso le nostre amministrazioni diventate oramai scuola di peculato, di servilismo e di pantofagia. E metteremo il dito senza reticenze e senza paura sulla piaga, che è la miseria in cui questi sciacalli hanno trascinato le nostre classi lavoratrici. «Spartaco» sarà anzitutto propugnatore instancabile dell’istruzione e dell’educazione popolare, senza di che niuna rivendicazione sociale sarà possibile; perché, lasciando le masse nell’ignoranza e nell’abbruttimento non si potrà mai conseguire quello stato di autonomia individuale, dagli onesti e dai sapienti tanto lungamente desiderato. Seguirà inoltre lo sviluppo dei nostri commerci e delle nostre industrie, e studierà assiduamente i più gravi problemi economici che più da vicino possono interessare la circoscrizione elettorale. Così tutti gli indipendenti e segnatamente i giovani e gli operai, ai quali è dedicata tutta l’opera nostra, se saranno con noi, un giorno non molto lontano potranno, consci e gloriosi dei risultati ottenuti, esclamare come forti gladiatori dell’antichità: Cum Spartaco pugnavimus! Questo il nostro programma, questa la bandiera, che non si abbasserà giammai innanzi ad idoli, né ad altari. Gallipoli, 3 ottobre 1887. Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Democratica elettorale».

2 Cfr. «Spartaco», a. 1, n. 8, 11 dicembre 1887, p. 1.

3 Ibidem, p.1.

4 Cfr. Spartaco del 13 dic. 1887.

5 Cfr. Spartaco, anno II, n. 53, 7 dic. 1888, p. 1.

6 Questa poesia è riportata sullo stesso numero del giornale: «Ad Adele Lupo Maggiorelli// Eri fanciulla allor che la diletta/ Ombra materna in cor ti sorridea/ Come sorride in cor d’un’angioletta/ Del Paradiso la più casta idea;/ Per la memore prece al cielo accetta,/ Di grazie un nembo in petto ti piovea:/ Poi della estinta madre il gran dolore/ Un canto t’ispirò che tocca il core./ Or tu stessa sei madre, o Adele mia,/ E tu sola puoi dir che cos’è madre./ Tu cantar lo potrai con l’armonia/ Che spirano le tue rime leggiadre. Tu buona, tu gentil, modesta e pia/ Potrai mostrare del tuo Adolfo al padre/ Che non è ver che la tua madre è morta/ Poiché rivive ancora in te risorta. Il vecchio amico Emanuele Barba».

7 Cfr. Spartaco, anno III, nn. 90e 91, 19 dicembre 1889, p. 1.

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