IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Gemma Donati la moglie ombra di Dante Alighieri

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Gemma Donati

di Giovanni Teresi

Crebbe i figli del Sommo Poeta mentre lui era in esilio. E lottò per riavere la sua dote.

Una figura offuscata da Beatrice e ignorata nella Commedia.

Quel che di lei si sa per certo già dà un’idea: lo ha sposato quando lui era solamente un giovane di belle promesse e gli ha dato almeno quattro figli, tre maschi e una femmina, prima di ritrovarsi vedova bianca a neanche trent’anni in una Firenze incendiata, in senso proprio e traslato, dalla guerra delle due fazioni guelfe dei bianchi e dei neri.

Gemma Donati

Siamo a cavallo tra Duecento e Trecento, in pieno Medio Evo, un’epoca feroce e fiabesca di castelli, di duelli e di fazioni, di battaglie e di scomuniche, di eretici e di santi, nella Firenze di pittori come Giotto e di baroni come Corso Donati, di capolavori dell’arte e di orrori.

In questo periodo, Dante ha commesso il grande errore di far seriamente politica per la parte bianca e, quando i neri vincono, viene accusato di aver abusato del suo ufficio di priore, di aver tradito la città: per questo lo condannano al rogo.

Per fortuna lui è fuori città, ambasciatore a Roma dal papa Bonifacio VIII.

Firenze non rientrerà: diventerà un esule senza colpa, exul immeritus, come lui continuerà a dichiararsi e a firmarsi in tutto quello che scriverà in volgare e in latino, senza una moneta in saccoccia. Perché Gemma non è andata con lui, non l’ha raggiunto? Perché per molto tempo Dante farà già fatica a badare a se stesso, a trovare un tetto, un lavoro, una sistemazione. E del resto Dante stesso spera a lungo in un ritorno. Spera nella riscossa dei bianchi, che invece vengono ripetutamente sconfitti; spera che i suoi giudici riconoscano la sua innocenza, cosa che non avviene; spera che l’imperatore Arrigo arrivi vincitore in Firenze e faccia rientrare gli esuli, ma non capita nemmeno questo. Dopo anni il comune di Firenze proclama finalmente un’amnistia per i fuoriusciti, e Gemma spera che finalmente ritroverà il suo Dante.

Ma lui rifiuta, perché le condizioni per essere graziati comprendono una umiliante cerimonia di richiesta di perdono al battistero di San Giovanni, con un saio addosso e un cero in mano, e lui non si piegherebbe mai a tanto disonore.

Così Gemma continua a tener duro, sola contro tutti. La sua famiglia originaria, quella dei Donati, è di parte nera e forse questo le salverà la vita, ma lei si sente prima di tutto una Alighieri, e si barcamena con i figli piccoli e la casa espropriata. Va a richiedere a testa alta la rendita che le spetta sulla propria dote, misurata in staia di grano. E quando i suoi figlioli maschi, Giovanni, Pietro e Jacopo, compiono i quattordici anni, li vede andar via per raggiungere il padre, uno dopo l’altro, perché anche loro sono soggetti a quell’età allo stesso bando che ha colpito Dante, pena la morte. Nella Firenze del tempo, le colpe dei padri ricadono sui figli.

Questa era Gemma, una donna eccezionale, e attraverso i suoi occhi innamorati ma anche onestamente impietosi traspare un Dante molto diverso dalla famosa immaginetta presa di profilo: lei si innamora di un bell’uomo atletico e barbuto che sa combattere e lo dimostrerà a Campaldino, pieno di imprevedibili talenti, di virtù e difetti, ambizioso, appassionato di musica, di disegno, di astrologia, di caccia e soprattutto di donne, tormentato dal mal caduco e dai sensi di colpa, fissato con la politica e idealista fino all’ingenuità, marito imperfetto e padre molto amato, sempre deciso ad anteporre l’onore vero o presunto a tutto il resto, compresa la felicità di sua moglie e della sua famiglia.

Si ritroveranno, i due sposi, Ravenna, dopo quasi vent’anni di lontananza. Con i figli già grandi, destinati a diventare i primi commentatori di quella Commedia che durante gli anni dell’esilio ha trasformato il giovanotto di belle speranze che lei ha sposato in una celebrità. L’amore di Gemma ha resistito nel tempo alla solitudine, alle privazioni, agli spaventi, alle speranze deluse. E in questo contesto lei davvero risplende nel suo nomen omen di pietra preziosa, come e più che se fosse stata posta nell’empireo della Divina Commedia, dove invece brilla per la sua misteriosa assenza.

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Giovanni Teresi

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