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“Giocatori d’azzardo”. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista di Mussolini,  scritto da Virman Cusenza

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Giocatori-dazzardo-di-Virman-Cusenza

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di Paolo Rausa

Seduti al tavolo da gioco immaginato dal giornalista Virman Cusenza, direttore del “Il Mattino” e “Il Messaggero”, dopo aver iniziato la sua carriera al “Giornale di Sicilia” e a “I Siciliani”, assunto a “Il Giornale” di Indro Montanelli, sono l’avvocato Enzo Paroli di Brescia, socialista e antifascista, e il giornalista Telesio Interlandi, detenuto nel carcere di Canton Mombello, accusato di collaborazionismo con il regime.

Due storie diverse, che più diverse non si può, eppure legate da un insolito destino a giocarsi la vita in un azzardo come a volte succede nella nostra esistenza. Enzo Parodi, un illustre avvocato bresciano, figlio di Ercole, presidente dell’Ordine degli avvocati, è un professionista serio e rispettato, stimato per la sua caratura giuridica, rispettosa delle leggi. E come poteva essere diversamente? Condivideva lo studio con il padre, integerrimo, tuttavia inviso al regime fascista per le sue idee libertarie socialiste, comuni anche al fratello medico che era stato allontanato e confinato in un paesino dove non avrebbe nuociuto.

Telesio Interlenghi, a cui il padre aveva dato il nome del filosofo ribelle alla chiesa, era stato un giornalista di primo piano, sostenitore a spada tratta di Mussolini e per questo lautamente foraggiato dal sistema politico ed economico, fondatore di giornali “militanti”, come il “Tevere”, il settimanale “Quadrivio” su cui scrivevano personaggi di primo piano della letteratura come Moravia, Ungaretti, Vittorini, ecc. e  “La difesa della razza”, foraggiato da contributi pubblici ovviamente per diffondere il verbo antiebraico all’indomani delle leggi razziste. Un giornalista focoso e polemico, per la verità, compromesso con il regime.

Eppure quando viene rinchiuso in carcere all’indomani della caduta della Repubblica di Salò, accusato per il suo ruolo di sostegno all’ideologia fascista, e ha bisogno per la difesa di un avvocato, la moglie si rivolge allo studio Paroli ma Cesare è anziano e non vorrebbe concludere la carriera con una sconfitta perché il caso è disperato. Tanto che nessuno accetta la sua difesa. Allora non resta che richiedere l’intervento di Enzo Paroli, allora cinquantenne.  Non è semplice quello che gli si chiede, non solo perché il giornalista è gravemente compromesso con il regime e quindi quasi certamente già condannato, ma anche perché la sua ideologia è proprio opposta a quella di Telesio Interlandi. Che fare?

Farsi condurre dalla coscienza politica oppure rispettare le finalità della sua professione forense e accettare la difesa del giornalista perché è un diritto di ogni persona essere giudicata e avere diritto alla difesa? Allora Enzo Paroli compie un gesto controcorrente per i tempi di condanne facili e giustizie sommarie, a volte anche di piazza, e accetta la sua difesa in punta di diritto, impostando una difesa tecnica basata sulla verità fattuale e diritta al punto. Chiede al giornalista due cose: se avesse “mai firmato un provvedimento in cui esortasse ad applicare con rigore le leggi razziali” e “partecipato ad una qualche riunione in cui si siano decise le sorti dei cittadini a cui andavano applicate le norme del 1938”. Interlandi non è d’accordo con la linea della difesa, pensa che sia debole a fronte del livore politico e giuridico, ma Paroli tira diritto per la sua strada e chiede il proscioglimento del suo assistito, ottenendolo.

Ancor prima del pronunciamento, giunge a coprire la latitanza dell’Interlandi riuscito a scappare dal carcere dopo una fuga rocambolesca. Non solo, arriva a nasconderlo e ospitarlo nel seminterrato della sua villa per 8 lunghi mesi insieme al figlio e alla moglie. Ecco l’azzardo o la grande umanità di Enzo Paroli! Che cosa lo abbia spinto a mettersi in gioco fino a questo punto, fino a compromettersi personalmente? E qui subentra la sua personalità e la grande umanità di chi guarda al prossimo non come nemico ma come persona, che porta con sé il carico di diritti che lui, in quanto avvocato, deve tutelare. Un eroe lo definisce Sciascia, che avrebbe voluto trascrivere questa storia, se la morte non lo avesse colto. Paroli si rende conto che nel clima di forte contrapposizione da guerra civile in Italia servono dei gesti di oblio, come necessità di riprendere il cammino come popolo, anticipando i provvedimenti di amnistia che da lì a qualche anno avrebbero assunto il primo ministro De Gasperi e il Guardasigilli Togliatti.

La ricomposizione senza rinnegare il passato ma come necessità per ricominciare. La stessa necessità che spinge Zeus a lanciare una folgore ai piedi di Ulisse/Odisseo, in armi per contrapporsi alla vendetta dei familiari dei Proci trucidati, per metterlo sul chi va là, in quel modo comunicando la sua volontà di un nuovo ordine, un nuovo inizio determinato dall’oblio non come dimenticanza ma passaggio e superamento della crisi per impostare una nuova vita sociale e istituzionale.

E qui è la grandezza di Enzo Paroli, che assume su di sé questo compito di pacificatore, ben al di là delle sue funzioni professionali. Bene ha fatto Virman Cusenza a riprendere in mano questa vicenda esemplare che spinge a superare le inimicizie e contrapposizioni come strumento di riconoscimento reciproco, come popolo che affronta anche da punti di vista diversi un futuro comune.

Mondadori Libri Spa, Milano 2021, pp. 208, € 22,00.

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