di Anna Stomeo
Mercoledì 2 Aprile 2025, alle ore 18.30. a Martano (Lecce) in via Marconi 28, presso il Centro Culturale tò Kalòn dell’Associazione Itaca Min Fars Hus, condotto da Anna Stomeo e da Paolo Protopapa, si celebrerà un evento davvero speciale: ci collegheremo in diretta live con Sauro Mattarelli, da Ravenna, e con Giuseppe Moscati, da Perugia, per parlare dell’ultimo libro di Mattarelli, I lumini del 9 febbraio e della incredibile storia di perseveranza civile che l’attraversa. Una storia che muovendo dalla Repubblica Romana del 1849, ci conduce al presente attraverso un intenso percorso riflessivo e storico, giocato sulla narrazione autobiografica e sull’osservazione socio-antropologica e politica.
Sarà un’occasione unica, per tutti noi, di entrare in una dimensione culturale intellettuale nuova, legata a tradizioni lontane, che solo apparentemente non ci appartengono, giacché coinvolgono la nostra storia collettiva di cittadini italiani e quella individuale di donne e uomini che hanno creduto e credono nei valori civili della libertà e della giustizia, sorretti dal principio ineludibile dell’uguaglianza.
Sauro Mattarelli, scrittore, filosofo, storico ed economista, convinto mazziniano, autore di numerosi saggi, impegnato da sempre nella divulgazione, già autore, con Nello Agusani, di testi scolastici di economia per Mondadori, pubblicista e direttore di riviste di grande rilievo etico e politico, da “Pensiero mazziniano” a “il Senso della Repubblica”, si è sempre dimostrato capace di costruire reti di relazioni umane, intellettuali, scientifiche, intorno a progetti di emancipazione e di crescita civile collettiva. Lo fa, ancora una volta, e ancora di più, con questo suo ultimo libro, il cui peso specifico va molto al di là della mera narrazione a fini commemorativi, per proporsi inevitabilmente, come una ‘provocazione’ per il presente.
La serata sarà anche l’occasione per reincontrare Giuseppe Moscati, Presidente della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini di Perugia, che gli amici di tò Kalòn ben conoscono per le sue seguite e profonde lezioni, e che di Mattarelli è stato ed è collaboratore e amico da oltre vent’anni. Insieme a loro dialogheremo di storia, di libertà, di tradizioni e di speranze, attraverso le pagine di un libro davvero unico per suggestione e riflessione.
Partire dalla memoria individuale, personale ed esclusiva, per allargare il cerchio verso la memoria collettiva, che si fa testimonianza storica e civile, costituisce la chiave di volta e il segreto narrativo di questo originalissimo ed intrigante saggio-diario di Sauro Mattarelli, I lumini del 9 febbraio, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», Cesena 2024, che raccoglie, in 24 brevi e densi episodi narrativi, ben 176 anni di storia di una tradizione libertaria di grande significato etico, politico e antropologico, quella dei lumini che, la notte del 9 febbraio di ogni anno, vengono accesi, sul davanzale della finestra, in tutte le case di alcune zone della Romagna, in particolare quella delle Ville Unite, tra Ravenna, Forlì e Cesena, a simboleggiare il legame storico, politico e affettivo di quel popolo con il breve trionfo della Repubblica Romana, proclamata il 9 febbraio del 1849 e sconfitta dall’esercito francese pochi mesi dopo, il 4 luglio di quello stesso anno, per essere consegnata dalla festa al ricordo, dall’esaltante tripudio, con cui in quei giorni si festeggiò, al rimpianto attivo e alla commemorazione muta durata quasi due secoli. Una data celebrativa che diventa fatidica e segna l’inizio di una tradizione, assumendo nuovi valori e nuovi paradigmi.
Con una sottile analisi politico-antropologica e storica sottesa alla narrazione, Mattarelli ci racconta come, dopo la sconfitta della Repubblica Romana, l’accensione dei lumini continui in Romagna non come giubilo e tripudio, ma come monito, giacché «la flebile fiammella ora è chiamata a fungere da stella cometa dell’azione, per consegnare un episodio locale all’eternità». Sullo sfondo le gesta degli eroi e dei patrioti che, da subito, come il mazziniano Epaminonda Farini, l’hanno riaccesa e trasformata in simbolo di un atto totale e che ora «assume valenza irenica», segnale di pace che tramanda l’idea del repubblicanesimo, anche senza e oltre la Repubblica. Un’idea «perseverante», che trasmette i valori civili di libertà, giustizia e uguaglianza con un gesto muto e simbolico, quello di accendere un lumino sul davanzale della finestra nel buio di una notte invernale.
Una tradizione mai interrotta, nell’avvicendarsi storico delle società e dei governi, persino durante la dittatura fascista, una tradizione proiettata nel futuro e nella speranza, che ha segnato e segna la vita e la riflessione dell’Autore nei suoi passaggi più essenziali, aprendola a considerazioni storiche di grande coinvolgimento e rilievo. L’epopea di un evento rivoluzionario irripetibile legato a Mazzini e a Garibaldi, alla fuga del Papa-re da Roma, al breve sogno di una repubblica governata da chi, come Mazzini, l’aveva immaginata e voluta come patria autentica da estendere ad un ideale ancora più alto e universale, alimentato dal principio dell’autodeterminazione nazionale e da un cosmopolitismo etico-politico sino ad allora inedito, ma destinato a scontrarsi presto con le esigenze pragmatiche di un’unificazione che scelse di prescindere dalla forma di governo e di costituirsi attorno alla monarchia sabauda.
La gloriosa Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, strenuamente conquistata e difesa dall’eroismo di Garibaldi, inseguito, a sua volta, dagli eserciti imperiali per le campagne di Romagna e difeso e protetto dai contadini, rimane ancora oggi icona per il presente carico di incertezze in cui siamo costretti a vivere. La narrazione di Mattarelli ha il pregio di attraversare la storia italiana in tante “microstorie” personali e collettive che diventano scansioni di senso, dove il tempo passato scivola agevolmente nel tempo futuro, senza soluzione di continuità. Quasi un tempo sospeso, quello che ci racconta Mattarelli, che si protrae e si riavvolge in una circolarità carica di azione e di speranza e che ci racconta personaggi, situazioni, luoghi scomparsi per ritornare, in un eterno presente, scandito da quella fatidica data, il 9 febbraio, che lo segna e lo risegna sul calendario personale dell’Autore e su quello collettivo di una comunità consapevole del proprio passato.
Scegliendo l’artificio letterario del diario autobiografico e storico (e anche del classico ‘fogliaccio ritrovato’ in un «vecchio quaderno ingobbito»!) Mattarelli entra, infatti nella storia per una porta apparentemente secondaria, che si rivela però, la porta principale di accesso ad una vicenda che travalica i confini definiti della storiografia e rivendica e rivela origini antropologiche antiche, contesti legati ad una socialità spontanea che si affida al linguaggio dei sensi e dei segni e trasforma una tradizione medievale e religiosa in un simbolo di salvezza civile.
Spirito mazziniano autentico, cresciuto in quella Romagna libertaria, repubblicana e indipendente a cui tutta l’Italia progressista ha guardato, nel secondo Novecento, come ad un modello di autentica vita civile, Mattarelli ci propone in queste pagine di riflessione e ricordo, un viaggio a ritroso verso le radici della nostra libertà e della nostra democrazia, proprio in un momento in cui gli eventi geopolitici sembrano richiamarle in causa, in un contesto tutt’altro che rassicurante. Questa sicuramente una delle ragioni del grande successo di pubblico che questo libro ha riscosso a pochi mesi dalla pubblicazione e che si presenta, in modo molto originale e unico, come una sorta di memoir dalla doppia valenza editoriale, tra ricordi personali particolari e riferimenti storici universali.
Una scrittura elegante, ricercata e nello stesso tempo di forte impatto espressivo, capace di mantenere viva l’attenzione del lettore su due piani, quello del coinvolgimento narrativo e quello della riflessione critica, sempre riaccesa, grazie ad un impianto metodologico e critico che ruota attorno ai pilastri del pensiero repubblicano e del repubblicanesimo, come pensiero ‘lungo’, che attraversa la nostra storia politica e si salda nell’incastro, teorico e pratico, tra cittadinanza, diritto e bene comune.
Così libertà, giustizia, uguaglianza non possono essere più concetti astrattamente separati e autoreferenziali, ma costituiscono una triade inscindibile, che nulla può concedere ai tentativi della storia di separarne artatamente i termini. Qui il senso autentico di una lunga tradizione simbolica, come quella dei lumini, che racchiude la metafora della luce, ma anche quella della debole fiammella, che si fa forte quando a curarla sono i perseveranti di un’Idea e, invece, si spegne inesorabilmente se a sostenerla è l’ipocrisia dei politici di professione o le mille immoralità di una società avviata prima alla deriva consumistica e poi alle ingiustizie del neoliberismo.
Lo racconta molto bene, in tanti passaggi di questo libro, Sauro Mattarelli, che ritorna dal passato al presente e viceversa, non certo per fare confronti o per attivare sterili rimpianti, ma per misurare azioni e verificare conoscenze, in una dimensione sospesa, che corrisponde a quella della vita di ognuno di noi, oltre i confini della Romagna, e fa i conti inevitabilmente con il presente e con il recente passato.
Mattarelli infatti non si esime dal dovere mazziniano di prendere coscienza del presente e di metterne in evidenza le contraddizioni che lo attraversano, di fronte alle quali l’idea repubblicana si fa ampia e avvolgente, quanto, fortunatamente, aperta e non irreggimentabile in dottrinarismi rigidi.
Di fronte ai mutamenti odierni, ci dice in fondo Mattarelli, non è più possibile cercare per le nuove generazioni, schemi di comportamento collaudati o interpreti riconosciuti come indiscutibili, ma occorre salvaguardare il senso dell’autentico spirito libertario mazziniano e repubblicano, l’essenza stessa del repubblicanesimo, come pensiero politico operante e storicamente persistente. Quel pensiero che neppure la vile e aberrante deformazione gentiliana del mazzinianesimo durante il fascismo è riuscita a spegnere.
Il repubblicanesimo, come tradizione politica minoritaria e come utopia, continua dare i suoi frutti teorici e pratici tutte le volte che qualcuno non solo si libera dall’arbitrio di qualcun altro, ma consolida la propria libertà con un atto concreto di coraggiosa indipendenza. Quando cioè è pienamente consapevole della propria libertà e non ha timore che qualcuno possa strappargliela.
Una situazione, questa dell’indipendenza e della liberazione dalla paura, sempre più rara per i tempi che stiamo vivendo e che conferma la necessità di accendere ancora lumini di resistenza, di lotta e di speranza.
Una serata di grande socialità e riflessione, quella di mercoledì 2 aprile a tò Kalòn, che non mancherà di sollecitare nuove visioni e nuove occasioni di relazione autentica.
Anna Stomeo