“IL FIMO È PANE” (1968) una poesia di Carmine Cucugliato – recensione di Giovanni Paladini

Carmine Cucugliato
Ho letto tutta la produzione letteraria di Carmine Cucugliato. È stato mio preside, amico e compagno di viaggio per 27 anni (1973-2000). Il fimo è pane è la lirica che mi piace di più. È la ragione per la quale, con vera gioia, la offro alla vostra attenzione con il mio commento.
Nasce a Lizzanello il 12 giugno 1923. In tenera età rimane orfano.
A 14 anni lascia la campagna e inizia la scuola.
Consegue la maturità classica durante la guerra.
Si laurea in lettere classiche a Bari nel 1947.
Vince il concorso a preside, di scuola secondaria di primo grado, nel 1968. Scrive libri di narrativa e poesia. Negli ultimi venti anni della sua vita si dedica soprattutto alla pittura. Nelle case dei suoi cari e dei suoi amici sono presenti numerose tele naif dai colori così caldi e luminosi che procurano piacere e fanno sognare.
Muore a Lizzanello il 28 settembre 2000.
Tommaso Fiore (Altamura, 7 marzo 1884 – Bari, 4 giugno 1973) lo scrittore e politico italiano che aveva personalmente conosciuto e apprezzato Carmine, nell’Introduzione a “Poesie” scriveva di lui: “C’è sempre qualcosa in chi prende la penna, che determina la via dello scrittore: ed ecco come dell’animo meridionalista di questo ex cafone del Salento, si è detto che è nato artista dal fatto stesso di essere stato per 14 anni a fare il pastorello per le magre sierre salentine…. che gli ha permesso di conoscere l’anima della sua gente e gli sforzi e gli stenti durati nell’impari lotta con la terra ingrata… Queste atrocità della vita fino a molti anni fa nelle masserie di tutta quanta la Puglia, dalla Capitanata in giù, le ho constatate con i miei occhi dopo la fine della guerra mondiale… Tanto meno poteva trascurarle questo scrittore, che vi era vissuto in mezzo nella sua dolorosa fanciullezza
IL FIMO È PANE (1968)
« Il fimo è oro, e l’oro è fimo »
leggevo in un bel libro di morale,
ma, quando ero bambino,
m’hanno insegnato pur che il fimo è pane.
« Cinque panieri zeppi, zeppi zeppi, —
mi diceva la mamma — e poi merenda »:
una frisella d’orzo grigio-perla.
Uscivo col paniere,
vagavo per le strade solitarie,
ero d’altezza quattro palmi buoni,
le mani in tasca e, fuori di misura,
fin sotto le ginocchia i pantaloni.
Raccoglievo il letame per le strade,
lungo i canali, dietro i muri brevi,
giravo, rigiravo, ed il paniere
non l’empivo mai.
Ma poi passava un bel cavallo bianco,
che forse mi vedea
ansiosamente guardare s’ei volesse
solo per cortesia depositare
quel che nel grembo inutilmente avesse.
Cadevano dal cielo
quelle palline d’oro fumeggianti,
mi riscaldavan tiepide le mani,
mi riempivan subito i panieri.
La mamma mi bagnava la frisella,
un pomodoro, un po’ di olio e sale
scacciavano il fastidio della fame.
« Figliuolo, impara, mi dicea pensosa,
bisogna lavorare per campare:
pel povero anche il fimo fa da pane ».
Qui di seguito riporto l’audio della mia lettura della poesia:
Tema
In questa poesia ambientata negli anni trenta, in pieno regime fascista, Carmine Cucugliato descrive la povertà di un fanciullo e della sua famiglia. Quel fanciullo, per giunta orfano, è lo stesso autore.
Versi 1-4: Il messaggio del primo verso è una verità: “Il fimo è oro, e l’oro è fimo”. L’autore la trasmette ai suoi lettori rivelando che l’ha letta in un libro di morale. Poi dichiara che ha appreso da bambino, perché glielo “hanno insegnato”, che “Il fimo è pane”. Questi quattro versi possono ritenersi un manifesto della bontà dell’insegnamento-apprendimento.
Il poeta è stato uomo di scuola. L’istruzione, meglio, la cultura è stata il suo credo. L’istruzione e la cultura come mezzo di redenzione. L’esempio è lui stesso. A quattordici anni getta lo strumento zappa e sposa i libri. Li legge, meglio, li beve come acqua di sorgente di montagna. È un matrimonio che dura l’intera sua vita. A chi gli chiedeva che cosa fosse per lui “la cultura” rispondeva: “Per me cultura è buon comportamento, ho sempre giudicato dalle azioni.” Per lui, quindi, cultura era qualcosa di vivo e vitale. Era civiltà. E per lui la scuola non era un luogo, era un insieme di anime. Poche adulte – gli insegnanti – e quasi tutte giovani – gli allievi – . Rispettava gli uni e gli altri ma se era costretto a scegliere stava dalla parte dei discenti.
Versi 5-7: La stanza più breve contiene l’ordine tassativo della mamma: “Cinque panieri zeppi, zeppi zeppi”. Il figlio non deve portare a casa cinque panieri pieni di fimo, ma cinque panieri zeppi, anzi zeppi zeppi. E qui c’è da notare che la virgola dopo il primo “zeppi” non viene messa dopo il secondo “zeppi”. Insomma, “zeppi zeppi” sta a significare che i cinque panieri devono essere così zeppi che niente può essere più aggiunto. Soltanto a risultato raggiunto il figlio potrà avere la merenda. La mamma infatti ribadisce “ e poi merenda”- Quanto è grave quel “poi”! È più pesante dei cinque panieri “zeppi zeppi” messi insieme.
Versi 8-12: In questa stanza la parola passa dalla mamma al figlio che descrive se stesso e quello che faceva. Dei cinque versi quello che colpisce di più è “Vagavo per le strade solitarie”. Vagare è andare pressoché ininterrottamente e senza un itinerario e uno scopo precisi. È certo che il bambino non avesse un itinerario preciso ma aveva uno scopo: scacciare “il fastidio della fame “. E per raggiungere quello scopo vagava per “le strade solitarie”. In quel “solitarie” è da identificare la vergogna del bambino che non vuole che lo vedano cogliere il letame,
Versi 13-16: In questi versi il fanciullo ci dice dove andava a cercare il letame: luoghi dove di oro organico se ne trovava poco. E la disperazione del girovago aumenta sino a portarlo ad asserire: “ed il paniere non l’empivo mai”.
Versi 17-25: Sono le due stanze in cui il bambino cercatore d’oro-fimo-pane passa dal buio alla luce, dallo sconforto alla gioia. Il miracolo lo compie un cavallo bianco. Un cavallo bianco proprio come nelle fiabe dal lieto fine: i principi azzurri fanno salire sul loro destriero dolci fanciulle alle quali si uniranno con un amore eterno. Nella poesia di Carmine Cucugliato non manca il lieto fine: l’oro proveniente dal grembo del cavallo riempie in un sol colpo i cinque panieri. Manca il principe azzurro. Il cavallo bianco, quasi sicuramente, tirava un carretto che si dirigeva verso la campagna. Non manca l’azzurro: è quello del cielo dal quale cadevano “quelle palline d’oro fumeggianti” nell’ora mattutina. Si deduce che è mattina perché fa fresco e le palline di fimo gli riscaldavano “tiepide le mani”. Il miracolo è compiuto direttamente dal cielo per mezzo del cavallo bianco.
Versi 26-31: Nell’ultima stanza l’autore descrive il suo arrivo a casa e la consegna da parte sua dei cinque panieri di fimo seguita immediatamente da quella da parte della mamma: una “frisella d’orzo grigio-perla” quale compenso per il buon lavoro svolto. Nei tre versi conclusivi ancora un insegnamento, questa volta direttamente dalla mamma: « Figliuolo, impara, mi dicea pensosa / bisogna lavorare per campare: / pel povero anche il fimo fa da pane ».
La poesia finisce come è iniziata: con un insegnamento. La mamma insegna ed il figlio apprende. La vita insegna, la scuola insegna, la comunità insegna, il poeta insegna.
E chi vuole imparare impara. Una verità è certa: più s’impara è più si è ricchi.
La mamma nel preparare la frisella al suo bambino non è allegra, né sorridente. È “pensosa”. E come fa ad essere allegra con quattro figli da sfamare e senza marito.
Non fa festa neppure il bambino perché la frisella col pomodoro, un po’ di olio e sale
non può saziare la sua fame. E quella del bambino non è solo fame di cibo è fame di conoscenza, di serenità di dignità.
La lirica Il fimo è pane, contenuta nel volume POESIE del 1968 è indubbiamente triste ma è utile per il messaggio che contiene. Con questa poesia l’autore ci insegna che grazie alla tenacia, all’amore per l’istruzione e la cultura, chiunque, anche un bambino-orfano-contadino può raggiungere vette altissime liberandosi dai lacci delle ristrettezze economiche. Da ricercatore di fimo ad insegnante, a dirigente scolastico, a scrittore-poeta e pittore.
Giuseppe Giusti asseriva che “Il fare un libro è men che niente / se il libro fatto non rifà la gente”. L’autore è stato rifatto dai libri, questa poesia e i libri dell’autore possono “ rifare” altri lettori.
Layout
La poesia Il fimo è pane è composta da sette stanze.
La stanza 1 consiste di 4 versi, la stanza 2 di 3, la stanza 3 di 5, la stanza 4 di 4, la stanza 5 di 5, la stanza 6 di 4 e la stanza 7 di 6.
Il numero di versi per stanza è differente, ma la layout a prima vista dà l’impressione generale di un muro solido composto da mattoni di diversa misura. La solidità della layout fa pensare alle stanze della poesia come a pietre angolari e richiama la solidità del contenuto, della madre che insegna al figlio a temprarsi ad una vita di sacrifici, del figlio che è consapevole che l’agognata frisella non cade dal cielo ma la si trova per terra cogliendo il caldo fimo del cavallo bianco.
Ogni stanza inizia con versi allineati e con la lettera maiuscola e continua con versi che iniziano con la lettera minuscola. Le poche lettere maiuscole richiamano la forza dei potenti che ottengono tutto facilmente e gratuitamente, mentre le numerose lettere minuscole fanno pensare alla fragilità dei proletari e dei loro figli. I proletari devono essere uomini e donne temprati ad ogni genere di fatica e devono possedere un animo forgiato dalle sofferenze: per procurarsi da mangiare devono non solo lavorare duramente ma subire anche grandi umiliazioni.
La seconda stanza è la più breve perché è la stanza chiave e, perciò, quella che deve essere la più visibile sulla pagina. È la stanza che contiene il messaggio principale della poesia: si ottiene il cibo solo dopo aver compiuto il proprio dovere, dopo aver affrontato e portato a compimento le fatiche quotidiane.
La settima stanza è la più lunga perché descrive il traguardo raggiunto dal figlio e il messaggio finale: senza faticare non si campa e qualsiasi tipo di lavoro, anche quello di togliere il letame dalle strade e riporlo in un paniere è dignitoso ed utile per procurarsi il pane.
I versi hanno una varia lunghezza. Il più lungo ha 12 sillabe e 32 lettere, il più corto conta cinque sillabe e 13 lettere. Il verso più lungo “m’hanno insegnato pur che il fimo è pane” contiene il concetto d’insegnamento come trasmissione di valori e le parole chiave “fimo e pane”, mentre quello più breve è proporzionale allo spessore del fimo nel paniere che il fanciullo guarda ripetutamente dopo ogni manciata di letame deposto e che lo porta allo scoramento perché non lo vede mai pieno.
Adottando questa layout il poeta vuole creare un mondo di solidità al fanciullo che raccoglie il letame destinato a concime. La società in cui vive il fanciullo non è rassicurante, perché lo costringe a lavorare e non gli dà ciò che spetterebbe di diritto ad ogni bambino: cibo ed istruzione. Il mondo di solidità che il poeta offre al fanciullo è rappresentato dai valori presenti nella poesia che il fanciullo sembra far propri.
La layout di questa poesia fatta di stanze differenti e di versi di varia lunghezza di sillabe contribuisce all’efficacia del messaggio.
Forma
Il fimo è pane è una poesia composta da versi liberi perché non rispetta, per precisa scelta dell’autore, né schemi né forme metriche tradizionali.
Sound
Il poeta fa un uso occasionale di rime. Le parole che rimano sono: buoni ( verso 10) con pantaloni ( verso 12) e volesse ( verso 19) con avesse ( verso 21). In un verso, il trentesimo, vi è una rima interna. (lavorare / campare).
Frequente è il ricorso all’allitterazione, all’ assonanza e alla consonanza.
L’autore ha scelto di ricorrere ad un uso ancora più frequente di suoni vocalici nella maggior parte di numero pari rispetto alle consonanti – Cadevano dal cielo – e in alcune parole di numero maggiore – oro, ero, cielo, paniere, solitarie, tiepide, panieri, olio –. E ciò al fine di produrre una musicalità armoniosa e gradevole. I suoni vocalici, si sa, sono più dolci di quelli consonantici e l’autore ha scelto di usare ben 41 parole che iniziano con una vocale sulle 175 che compongono la lirica. Anche le consonanti usate sono tra le più dolci sulla scala del diagramma che va dalla dolcezza alla durezza. Le più dolci sono le liquide e le nasali (l, m, n, r). In questa poesia ben 17 parole iniziano con “l “ e 19 con “m”.
“Le” “La” “Mi” “Fimo” e “Pane” sono le parole più usate.
Ripetizioni, rime, allitterazioni, assonanze, suoni vocalici e consonantici scelti dal poeta rendono l’ascolto della poesia Il fimo è pane più piacevole e contribuiscono alla chiarezza del messaggio.
Linguaggio
Il titolo di questa poesia è chiaro, crea curiosità nel lettore e lo invita a leggerla subito.
La lingua usata dall’autore è molto semplice e naturale perché i protagonisti della poesia – la mamma contadina ed il figlio – non possono comunicare con il lettore per mezzo di espressioni difficili e ricercate. Sola eccezione alla semplicità del linguaggio popolare sono i 4 versi finali della quinta stanza – che forse mi vedea / ansiosamente guardare s’ei volesse / solo per cortesia depositare / quel che nel grembo inutilmente avesse. – che rivelano l’erudizione dell’autore.
Il poeta usa soltanto 117 parole ma la poesia si compone di 175 parole a causa delle numerose ripetizioni. La maggior parte delle parole sono monosillabiche o bisillabiche. Le prime proprio come le note musicali. Solo pochissime parole, per lo più verbi al passato o avverbi, sono di tre o quattro sillabe.