IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Il Neutro un amico prezioso

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Vocabolario d'Italiano

Vocabolario d'Italiano

di Tiziana Leopizzi

Gli antichi romani, estrapolando liberamente dal loro empireo, non solo erano ottimi ingegneri idraulici, erano anche ottimi linguisti.

Come dice Alessandro Masi, segretario generale della Dante Alighieri Roma che vanta 400 presidi nel mondo, le parole sono estremamente importanti tanto da chiamare così uno dei recenti progetti della storica vivacissima Società.  

Mi sono decisa a tentare di proporre un momento di pausa per riflettere su questo, pare, scottante tema e prima di iniziare vorrei soffiare via due concetti, anzi tre: tradizione, progressismo e politically correct che somiglia sempre di più a cancel culture e al posto di quest’ultime locuzioni propongo invece una parola chiave per l’esistenza di noi tutti, etica o quantomeno rispetto.

L’italiano che mi ha accompagnato per una vita sta mutando molto velocemente. Troppo, ma soprattutto in maniera forzosa. Per essere esatti è bene che muti, è una lingua viva, ma ora il mutare è dovuto non tanto all’uso o meglio al disuso ma ha tante “madrine” e tanti “padrini” che, con motivazioni encomiabili o meno, vorrebbero addomesticarlo al proprio “particulare”, proprio nel senso machiavellico del termine. Le lingue sono vive e mutare è nel loro DNA, qualsiasi siano i nostri desiderata.

Tengo a chiarire subito che questa mia vuole essere solo una riflessione che condivido con tutti voi e mi aspetto le vostre riflessioni perché Il Pensiero Mediterraneo affonda le proprie radici in un humus ricchissimo.

L’italiano deve essere usato, condiviso, e possibilmente rispettato nella propria musicalità che incanta perlopiù gli stranieri, come li incanta il nostro patrimonio unico al mondo. Inoltre è una delle lingue più studiate all’estero.

La lingua è il mezzo per unire in certi casi a livelli sublimi o a dividere in certi casi a livelli atroci e i Romani lo sapevano bene.

Il latino, senza scomodare Tacito e la sua concinnitas, é una lingua molto logica e sintetica e aveva 3 generi, maschile, femminile e neutro.

La domanda chiave che giro a tutti voi, è perché ci siamo persi il neutro per strada?

Le mie recenti letture su questo argomento, che rasenta il marasma, convergono sul fatto che uno dei motivi fu la semplificazione nell’accidentato percorso che dal latino approdò al volgare.  Novello Ulisse… La semplificazione oggi è superficialità e capisco i linguisti che navigano in un mare procelloso, ma provengono da uno tempestoso…  vedremo meglio più avanti.

Lasciamo la mente vagare liberamente…  e se i generi fossero 3? Maschile, femminile e neutro come in inglese,  in tedesco e  in greco, che ha ancora il duale, tra le lingue neolatine poi  il rumeno, ma anche il francese e lo spagnolo ne tengono traccia.

Prima di intraprendere questo percorso ricco di trappole, vorrei soffiare via due concetti anzi tre: tradizione, progressismo e politically correct e al posto di quest’ultima locuzione propongo invece una parola chiave per l’esistenza di noi tutti, l’etica o almeno il rispetto.

Tutte le lingue si rimodulano costantemente: nomina sunt consequentia rerum, che Vera Gheno cita all’inizio del suo interessantissimo articolo traghettandolo direttamente dal latino, e quindi subisce continue metamorfosi. Lentamente nel tempo neologismi e mode soppiantano le parole che cadono in disuso. 

Nessuno oggi si sogna più di usare i pronomi egli ella esso (faceva capolino il neutro) o essi. Credo però che ci sia parecchia confusione in questo momento dovuto ai ritmi incalzanti del nostro momento storico, e alla rivoluzione mediatica, apprezzabilissima ma travolgente.

In questo periodo ho scoperto un sacco di cose sulla nostra lingua. Qualcuna mi ha davvero sorpreso, e per un profano è aggirarsi in un ginepraio.

Bene, parliamo più la lingua di Dante, anche se un’alta percentuale dei suoi termini del sommo poeta sono ancora parte della ricchezza del nostro lessico, né tantomeno quella del Manzoni che fece inorridire l’intellighenzia dell’epoca, e nemmeno quella di soli 10 anni fa.  Per evitare di perdersi ho estrapolato questi tre punti:

1 Le parole straniere inglesi per lo più, e francesi

2 Le parole forzate

3 L’* che per certi versi ricade nel punto 2

Partiamo dall’1

Indubbiamente la lingua commerciale è l’inglese o meglio l’americano, e internet e i social hanno favorito nel bene e nel male un continuo tentativo di fusioni tanto che alcune parole, che prendiamo a prestito dall’inglese, in inglese non esistono nemmeno. Non sono contraria personalmente a usare termini stranieri che hanno trovato casa qui, come business o break o food e tantissimi altri. Chissà che ci aiuti a superare la babele attuale, per l’Occidente almeno. Devo dire che anche in paesi impermeabili qualche goccia è caduta. Quello che mi urta e mi ferisce invece è lo snaturamento dei termini italiani.

La lingua è il mezzo per comunicare, a livelli sublimi come a livelli atroci o paradossalmente e sempre più spesso a non comunicare. Non c’è futuro se non c’è passato quindi con grande umiltà guardiamo alle lingue in cui affondano la maggior parte delle radici dell’italiano. Il greco e qui passo il testimone a Pompeo Maritati che è di lingua madre, io l’ho solo studiato e mi aiuta sempre tanto, e il latino. Senza scomodare Tacito e la sua concinnitas, é una lingua molto logica, pragmatica direi e concisa. Provate a tradurre un attimo “Per aspera ad Astra…”

 Il latino: ha tre generi, maschile, femminile e neutro.

La domanda chiave che giro a tutti voi, è perché ci siamo persi il neutro per strada? Certamente uno dei motivi fu la semplificazione nell’accidentato percorso che dal latino portò al volgare.

La situazione però è talmente cambiata che a differenza del passato oggi la sua introduzione semplificherebbe l’uso dell’italiano, ma si dovrebbe procedere eliminando un trilione di distinguo.

Il neutro c raccoglierebbe un’infinita di vocaboli ambo genere. Cavaliere, assessore, camionista, astronauta, ceramista, divertitevi ad aggiungerle, sono un’infinità.

ALT! Cercando risposte alle mie domande ho trovato che i nostri sostantivi obbediscono a regole, ignote ai più. Imparo dall’eccellente Vera Gheno che la nostra lingua prevede una appartenenza, ogni sostantivo possiede un genere grammaticale, maschile o femminile, e rientra poi in una delle quattro categorie: i sostantivi di genere fisso, i sostantivi di genere promiscuo, quelli di genere comune e quelli di genere mobile. Conoscere la quadripartizione dei sostantivi aiuterebbe a rispondere a gran parte delle domande che normalmente vengono sollevate riguardo alla questione dei femminili professionali. “É vero però – e cito Gheno – che per motivi storici non è sempre esattamente prevedibile quale sia il femminile. Se ci fosse il neutro, attualizzandolo certamente e qui i linguisti hanno di che discettare, si eviterebbero le varie forzature che sta subendo la lingua.

I generi tornerebbero ad essere 3, maschile, femminile e neutro, come in inglese e in tedesco e tra le lingue neolatine il rumeno, ma anche il francese e lo spagnolo ne tengono traccia.

2 Le parole forzate

A proposito poi della vexata questio di adeguare la lingua alla realtà che viviamo, mi stupisce che sia stato imposto un cambiamento repentino (v. Treccani) invece che seguire il corso naturale.  La lingua sta subendo delle forzature, che creano sconcerto e disagio per la velocità.

Per riconoscere a Cesare quel che è di Cesare o meglio a Ottavia quel che è di Ottavia vista la corrente imperante, vorrei semplicemente dire che i termini maschili sottintendono la parola ruolo, ruolo di avvocato, ingegnere, medico ecc.  Per questo il maschile sovraesteso che comunque poi inglobò il povero neutro cacciato.

La Francia se la cava ottimamente con l’articolo, per esempio “la” presidente e  “il“ presidente,  e l’Italia  usa una sorta di neutro non dichiarato ma le fonti su questo tema sono sconfinate.

E siamo al punto 3

L’*

In questo periodo sto imparandolo spagnolo che per verti versi è più avanti dell’italiano, per esempio profesora è un termine normale da tempo, ma per altri sconcertante.

In spagnolo non esiste l’apostrofo. L’italiano se ci sono due vocali, lo sappiamo, una si elide.

Prendiamo in italiano “acqua”, la acqua, “l’acqua” s.f.

Agua in spagnolo è, anzi sarebbe femminile ma per evitare la cacofonia di la agua, il femminile singolare muta in maschile e si deve dire el agua! Al plurale torna femminile

las aguas e l’orecchio non si offende.  Et voilà a proposito di termini stranieri di uso normale. Contenti loro…

Posto che di carattere non sono pigra e che quindi buonasera signore e signori non faccia per niente male, forse l’asterisco afono, muto però come lo è l’apostrofo, quindi, solo per iscritto forse forse reggerebbe.

I miei studi classici che mi hanno permesso di affrontare a vele spiegate la facoltà di architettura, mi portano ad individuare una serie di termini che derivano dal greco, come pediatra, morfologia, logopedia, atleta, metamorfosi psicologia…divertitevi a scovarli e altri dal latino, qualcuno dal sanscrito e più di quel che si sia portati a pensare dall’arabo.  Tutti termini connaturati all’italiano, dato che L’Italia ha subito invasioni e dominazioni di ogni tipo e seppur con fatica, ne ha amalgamato le eredità. La metamorfosi, altro termine di schietta derivazione ellenica, è però sempre avvenuta con tempi direi naturali. Mussolini ci provo imponendo Cuor maggiore invece che Courmayeur e gli andò malissimo! La nostra vita ora è sottoposta a ritmi pressanti come mai prima e sembra che non si possa tenere conto dell’inerzia che finora ha contraddistinto il continuo lento e tenace cambiamento tanto che l’ultimo dizionario Treccani che ha voluto tagliare la testa al toro, è molto contestato.

Le varie istanze oggi molto sentite, rispettabilissime e auspicate, esiste fra l’altro un magnifico ministero delle pari opportunità,  premono con pressioni costanti e moderate per perequare i generi, in più il malefico politically correct per cui si arriva all’assurdo di cambiare i testi del passato da Marc Twain a zio Paperone, che conosciamo tutti, a Via col Vento, per essere meno ”crudi” usando termini che vorrebbero edulcorare per esempio  le disabilità che affliggono tante persone che forse si  sentono prese in giro a leggere posteggio destinato ai diversamente abili, invece che disabili. Mi viene in mente Giorgio Faletti, con cui ho avuto il privilegio di lavorare per anni, grande artista, oserei definirlo un genio, che spaziava dalla musica alla letteratura passando dalla pittura e dal palcoscenico al set cinematografico, dalla tragedia alla comicità sempre raffinata, che si definì sarcasticamente diversamente giovane.

Il problema impellente è dare serenità ai generi diversi, e sottolineo che è una fortuna salvaguardare le diversità. Per quanto riguarda il focus di questo mio incontro con voi, intravedo una possibile soluzione, nobile per le sue origini, introdurre il neutro su tutti i dizionari, m. f. n. così semplicemente come facevamo alle medie noi che abbiamo avuto la fortuna di imparare il latino e usavamo il mitico Campanini e Carboni dove campeggiavano i neutri. Non sono una linguista e leggo che è stato inventato un neologismo raccapricciante che quindi non cito per evitare  pubblicità nociva, con cui viene bollato chi non è un esperto linguista ma credo che capire cosa usare tra genere semantico che riguarda solo animali e esseri umani, e non le cose inanimate, ambigenere,  promiscuo, come guardia, o il maschile sovra esteso sia davvero complicato per noi comuni mortali.

Infine, se il neutro si perse durante la transizione verso il volgare per semplificare l’uso della lingua, credo che oggi la lingua potrebbe trarne un gran vantaggio…Le pari opportunità sono un gran bel concetto perché rispettano le differenze e sono non per l’appiattimento ma per l’armonia tra i generi. Faccio il tifo per la parità nella differenza. Essere pari non significa essere uguali, ma osservare le diversità e lavorare perché tutti possano godere degli stessi diritti e delle stesse opportunità.

 Concludo con questa curiosità, il vocabolario è frutto dell’ingegno italiano.

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