IL PENSIERO MEDITERRANEO

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IL NUOVO CODICE DEI CRIMINI INTERNAZIONALI

Legge Aula -di tribunale

  Di Mario Pavone**

La giustizia penale internazionale, in questi ultimi anni, si è rivelata inefficace per un suo difetto strutturale poiché è priva del potere di far eseguire le proprie decisioni con l’esecuzione demandata alle Forze dello Ordine dei vari Stati.

Le decisioni egli Organismi di giustizia internazionale sembrano accomunate dall’aspetto che la loro adozione non determina nulla di significativo né agli accusati, né sul campo, come accaduto, anche di recente, a livello internazionale per i Governanti di alcuni Paesi belligeranti come la Russia ed Israele.  

In questo con0testo, la giustizia penale internazionale ha problemi ancora più profondi poiché appare incapace di far rispettare le più elementari regole a tutela della dignità umana, specie per problemi che discendono dalle Istituzioni sebbene la denuncia di gravi violazioni delle regole internazionali, anche quando siano perpetrate dagli Stati più potenti, e il proliferare di strumenti per far fronte alle atrocità di regimi oppressivi e guerre, costituiscano, invero, la funzio ne più realistica e realizzabile della giustizia penale internazionale nelle condizioni attuali (v .dello stesso Autore,La Corte Penale Int,le tra crimini ed inefficacia delle decisioni in Riv. Andreani)

  • Il Progetto di Legge

Sull’importante questione, nei giorni scorsi, è stata presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge A.C.2522 in tema di “Codice dei crimini internazionali “(v. allegato)

Con tale iniziativa parlamentare “si intende attribuire sempre al Giudice ordinario la giurisdizione sui crimini di guerra perché, come afferma la Commissione Ministeriale, l’unitarietà della giurisdizione risponde all’obiettivo di una ineludibile uniformità del trattamento sanzionatorio, anche nella ottica di una effettiva aderen za agli obblighi internazionali assunti dal Nostro Paese “.

Invero, il testo della PdL, ripropone sostanzialmente quello elaborato dalla Commissione Ministeriale, istituita dal Guardasigilli Nordio il 23 Marzo 2022.

La Commissione, sotto la Presidenza di Francesco Palazzo, professo re emerito di diritto penale dell’Università di Firenze, e con la partecipazione di Fausto Pocar, professore emerito di diritto interna zionale dell’Università di Milano e di altri Illustri Giuristi ha elaborato un nuovo Codice dei Crimini Internazionali per assicurare il compiuto adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con lo  Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, entrato in vigore il 1° luglio 2002 dopo la ratifica del Parlamento con la legge 12 luglio 1999 n. 232, 

Si legge, infatti, nella Relazione illustrativa che “tali obblighi si ricava no indirettamente ma chiaramente dall’articolo 17 dello Statuto in cui si enuncia il cosiddetto ‘principio di complementarità’ della giuris dizione della Corte penale internazionale rispetto a quella nazionale degli Stati aderenti.

Secondo questo principio la CPI non ha attualmente giurisdizione quando un crimine internazionale è o è stato oggetto di un procedi mento penale davanti alle Autorità giudiziarie dello Stato che può esercitare la giurisdizione rispetto a tale crimine, salvo che la man canza di un procedimento penale nazionale dipenda dall’assenza di volontà o della effettiva incapacità dello Stato di investigare e di procedere penalmente.

Questo sarebbe appunto il caso in cui uno Stato non avesse intro dotto i crimini previsti dallo Statuto nella propria legislazione penale nazionale.

In assenza di una legislazione con questo contenuto l’Italia sarebbe, quindi,esposta a un giudizio della Corte dichiarativo dell’assenza di volontà o di incapacità di perseguire crimini internazionali”.

Dalla lettura della Relazione emerge, inoltre, che “.la Commissione stessa non ha raggiunto un parere unanime per i casi in cui la giuris dizione sui crimini di guerra dovesse essere attribuita al giudice ordinario o invece essere riservata, in tutto o in parte, alla giurisdi zione militare, in caso di crimini commessi in Italia o all’estero da appartenenti alle Forze armate italiane poiché, su questo tema la Commissione ha presentato soluzioni alternative “.

Seguendo le indicazioni ministeriali, la Commissione ha proposto che “l’introduzione nell’Ordinamento italiano delle nuove fattispecie criminose in attuazione dello Statuto di Roma avvenga mediante la creazione di un apposito “Codice”, ossia di un corpus normativo separato rispetto al codice penale. Si è pertanto scartata la solu zione, adottata da altri Paesi, di un innesto nel codice”.

Il testo licenziato ha riguardato, in particolare, i seguenti temi: 1)giurisdizione e competenza; 2) istituti di parte generale;

3) genocidio e crimini contro l’umanità; 4) crimini di guerra e di aggressione; 5) sanzioni; 6) immunità. 

  • il compito della Commissione

In effetti, il compito affidato alla Commissione è stato quello di redo gere il Progetto di una normativa diretta ad introdurre nello Ordina mento italiano le disposizioni necessarie per assicurare che i crimini descritti nello Statuto di Roma possano essere sottoposti alla giuris dizione italiana.

Secondo la Commissione, la stesura di un “Codice dei crimini interna- zionali” trova il suo fondamento giuridico nella necessità di assicu rare il compiuto adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica dello Statuto di Roma.

In proposito, la Commissione ha preso nota delle modifiche allo Statuto adottate con la citata legge di ratifica del 23 dicembre 2012 n. 237 con la quale sono state introdotte norme per l’adeguamento dell’Ordinamento nazionale agli obblighi di cooperazione con la CPI previsti dallo Statuto che resta tale senza alcuna revisione.

Sebbene lo Statuto non preveda un obbligo per i Paesi ad adottare una legislazione nazionale,lo stesso emerge dall’art.17 dello stesso in cui si enuncia il cosiddetto “principio di complementarità” della giuris dizione della CPI rispetto a quella nazionale degli Stati aderenti.

In base a tale principio, la CPI non avrebbe alcuna giurisdizione sui crimini internazionali oggetto di un procedimento penale davanti alle Autorità giudiziarie dello Stato, salvo che la mancanza di esso dipenda dall’assenza di volontà o dalla effettiva incapacità di investigare e di procedere penalmente (!!).

Pertanto, in assenza di una legislazione specifica, il Nostro Paese sarebbe esposto ad un giudizio della Corte che accerti e dichiari l’assenza di volontà o della incapacità di perseguire crimini interna zionali, benché abbia ospitato la Conferenza istitutiva dello Statuto e che sia stato anche fra i primi Paesi a ratificarlo.

Alla luce di queste considerazioni è evidente che il principale stru mento normativo al quale fare riferimento per la stesura di un Codice è stato lo Statuto di Roma, unitamente agli altri documenti che lo completano tra cui quello che descrive gli “Elementi dei crimini”, adottato dall’Assemblea degli Stati allo scopo di assistere la CPI nella interpretazione e applicazione degli articoli in esso contenuti nonché della giurisprudenza prodotta della Corte stessa.

Sul punto va, peraltro. rilevato che lo Statuto, nell’indicare il diritto applicabile dalla Corte, dispone che essa può fare riferimento ad altre fonti giuridiche quali i Trattati internazionali, i principi e le norme del diritto internazionale consuetudinario, nonché i principi generali di diritto desumibili dal diritto nazionale cui si ispirano i sistemi giuridici mondiali.  

In particolare, i Trattati internazionali hanno trovato un’amplissima applicazione nella giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali ad hoc, quali il Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia e quel lo per il Ruanda, istituiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazio ni Unite nell’ultimo decennio del secolo scorso.

  • Le nuove norme introdotte in sintesi

Cercando di sintetizzare i contenuti della pregevole Relazione Illustra tivadella Commissione, va osservato che il Codice nella stesura sottoposta all’esame del Parlamento, nasce con quattro punti di riferimento:

a) lo Statuto di Roma, del quale il nuovo Codice intende perfezio nare l’attuazione;

b) il Codice penale vigente, che costituisce pur sempre il quadro sistematico e di principio nel quale anche le nuove disposizioni debbono collocarsi cercando di introdurre il numero minimo possi bile di norme derogatorie e ritenendo utile .la maggior parte della disciplina di natura generale;

c) i Codici penali militari, dai quali i nuovi crimini specie quelli di guerra traggono alcune fattispecie e comunque alcune nozioni;

d) la nostra Costituzione ed i suoi principi fondamentali, da quello di eguaglianza a quello di legalità, di colpevolezza e di proporzionalità della pena.

Per i nuovi reati la Commissione ha ritenuto che la natura delittuosa degli stessi comporta di per sé l’automatico richiamo di tutte le altre disposizioni o complessi normativi applicabili ai delitti comuni a partire dall’Ordinamento penitenziario, al Codice di procedura penale fino a quelli di futura emanazione.

Quanto alla “parte speciale” del nuovo Codice, la Commissione si è ispirata ad alcuni criteri fondamentali:

a) quello che l’ambito della tutela e delle varie fattispecie, non risultasse inferiore o più ristretto rispetto a quello assicurato dalle disposizioni dello Statuto di Roma;

b) quello di utilizzare un linguaggio che, senza tradire ovviamente i contenuti espressi dallo Statuto, al fine precipuo di evitare il pericolo di un disorientamento interpretativo del giudice interno.

La Commissione ha dedicato una particolare attenzione all’ individua zione delle pene edittali dei nuovi reati che è stata effettuata parten do dal confronto con le sanzioni previste dal nostro codice per i reati “corrispondenti” e con quelle stabilite per i crimini internazionali dai testi normativi di Paesi di cultura giuridica affine.

Sempre in tema di trattamento sanzionatorio, la Commissione ha preso in esame l’eventualità di inserire anche i crimini internazionali nel novero dei reati comportanti il particolare regime restrittivo di accesso ai benefici penitenziari o il regime di particolare sicurezza previsti dagli articoli 4 bis e 41 bis dell’Ordinamento penitenziario.

In relazione .al regime di massima sicurezza di cui all’art. 41 bis o.p., la Commissione ha ritenuto di non proporne l’estensione ai crimini internazionali per due concorrenti ragioni.

Innanzitutto, perché anche su questa disposizione si addensano dubbi di costituzionalità, che hanno trovato adeguata eco nella sen tenza della Corte Costituzionale n.97/202 con cui sono stati delineati i limiti del legittimo ambito operativo della norma nella persistente pericolosità del detenuto derivante dal mantenimento dei collega menti con le organizzazioni criminali di originaria apparte nenza.

In secondo luogo, perché sono proprio le caratteristiche dei crimini internazionali a suggerire che quei requisiti di costituzionalità siano di regola assenti nella realtà criminologica di questi crimini. tenendo conto di quanto è stato censurato dalla Corte delle Leggi con la sent. n.18 del 2022.

Con riferimento alla legge applicabile ai crimini internazionali la Commissione ha ritenuto di mantenere per quanto possibile i principi che ispirano il sistema italiano.

Pertanto, per i crimini commessi nel territorio dello Stato, viene operato un semplice rinvio all’art. 6 c.p. che, in applicazione del principio della territorialità del diritto penale, sottopone alla legge italiana tutti i reati commessi, sia da cittadini sia da stranieri, nel territorio statale, come definito dall’art. 4 comma 2 c.p. 

Più delicata è apparsa la scelta della legge applicabile quando il crimine sia commesso all’estero, in quanto gli artt. 7-10 c.p. differenziano i termini di applicabilità della legge penale italiana in funzione dell’interesse decrescente dello Stato a punire determinati reati.

Altra questione rilevante è stata quella relativa alla giurisdizione e competenza a giudicare sui crimini internazionali oggetto di partico lare discussione in seno alla Commissione, che ne ha esaminato con attenzione tutti gli aspetti rilevanti trovando nume rosi punti di consenso sulle soluzioni da adottare.

Questo è avvenuto nel caso del riconoscimento della competenza della Corte di Assise a conoscere dei crimini internazionali previsti dal Codice poiché la Commissione ha stabilito che la Corte di Assise va preferita al Tribunale in base alle peculiarità che le sono proprie e in ragione di una maggiore capacità di accogliere i carichi proces suali e in base alla  collegialità delle decisioni con una componente popolare. che meglio rispecchia la rappresentatività democratica.

Si è ritenuto, inoltre, di riconoscere la competenza della Corte di Assise di Roma per i crimini internazionali commessi all’estero, con una scelta che risponde a evidenti ragioni politiche e, lato sensu, simboliche.

È stata apportata, tuttavia, una sola deroga alla competenza della Corte di Assise per il caso di crimini imputabili a minorenni, mantenendo fermo quanto disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 22 settembre 1988 n. 448 per i reati commessi dai minori di diciotto anni e riconoscendo, in questo caso, la competenza del Tribunale dei minorenni di Roma per i crimini commessi allo Estero.

La Commissione si è soffermata anche sul delicato problema della eventuale incidenza delle immunità riconosciute dal diritto interna zionale sullo esercizio della giurisdizione italiana in materia di crimi ni internazionali, in attuazione dell’art. 27 dello Statuto di Roma.

In proposito, secondo la Commissione, occorrerebbe distinguere tra “immunità funzionale”, che spetta agli individui che svolgono funzio ni ufficiali per gli atti posti in essere nell’esercizio delle loro funzioni, e “immunità personale” riconosciuta alle più alte sfere statali (Capi di Stato, Capi di Governo, Ministri degli affari esteri)nelle funzioni di . rappresentanza internazionale.

In relazione ai Crimini di Guerra, per la Commissione la formulazione della natura degli stessi ha dovuto tener conto della pluralità delle fonti normative vigenti a livello sia nazionale sia internazionale e della necessità di coordinamento delle stesse, al fine soprattutto di limitare problemi in sede di interpretazione circa la sussistenza di concorsi tra norme o conflitti apparenti.

Si è reso pertanto indispensabile un raffronto tra le fattispecie crimi nose previste dalle dette fonti al fine di snellire l’articolato, evitando le duplicazioni e raggruppando le fattispecie che presentassero gli stessi elementi costitutivi e di posticipare ad un momento successivo l’abrogazione delle norme collocate nelle dette leggi speciali e trasposte ora nel Codice.

La Commissione si è posta il problema della differenziazione dei crimini di guerra in base alla natura internazionale o non del conflitto armato ritenendo che, ai fini dell’applicazione di norme relative alla responsabilità penale individuale nell’ordinamento interno italiano, la distinzione non assuma alcun rilievo.

In questa ottica si è mirato ad unificare la categoria dei crimini di guerra a prescindere dalla natura del conflitto armato.

Il Codice prevede quindi che le condotte descritte costituiscono crimini di guerra se commesse nel corso di un conflitto armato, sia internazionale sia non internazionale, e collegate a tale conflitto.

Al fine di estendere il livello di protezione a tutti i contesti di fatto caratterizzati da una situazione di effettiva conflittualità si è ritenuto opportuno di inserire nell’articolato esplicite definizioni delle due tipologie di conflitto, anche per l’esigenza di “superare” la nozione di conflitto armato prevista nell’art. 165 co. 2 C.p.m.g., che appare una disposizione per taluni aspetti superata e restrittiva rispetto a quanto previsto dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai relativi recenti Commentari.

Giova inoltre sottolineare l’espressa applicabilità delle disposizioni sui crimini di guerra alle missioni internazionali istituite nell’ambito di Organizzazioni internazionali, o comunque in conformità al diritto internazionale, che prevedono l’utilizzo della forza armata da parte del personale impiegato.

Si tratta di una previsione in linea con le direttive delle Nazioni Unite che indicano i principi fondamentali e le regole del diritto interna zionale umanitario applicabili alle Forze sotto l’egida delle Nazioni Unite impegnate in operazioni di mantenimento della pace, nonché con la prassi italiana evidenziata dal manuale di diritto umanitario dello Stato Maggiore della Difesa (SMD-G-014, 1991), e con la legislazione italiana espressa nel citato art. 165 co. 2 c.p.m.g. e nella più recente l. n.45 del 2016, che chiarisce perentoriamente che la partecipazione a missioni internazionali è consentita a condizione che avvenga nel rispetto “del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”.

Il mancato rilievo della distinzione tra conflitti internazionali e conflitti non internazionali nel Codice ha peraltro comportato in taluni casi la estensione di crimini previsti nello Statuto solo per i conflitti internazionali anche a quelli interni, come nel caso del crimi ne di detenzione illegale, che il Codice prevede indipendentemente dalla natura del conflitto.

Altrettanto dicasi nel caso del crimine di trasferimento della popola zione civile che lo Statuto configura limitatamente e solo come “trasferimento, diretto o indiretto, e ad opera della Potenza occu pante, di parte della propria popolazione civile nei territori occu pati”, come pure nel caso del crimine di privazione dei mezzi di sopravvivenza, di quello costituito dall’utilizzo di scudi umani e di quello dell’uso ingannevole e arbitrario della bandiera bianca.

Particolare attenzione la Commissione ha riservato ai crimini relativi al reclutamento e arruolamento nelle forze armate e di impiego di minori nelle ostilità.

Un proposito, ha evidenziato  che, mentre lo Statuto di Roma prevede l’età minima di quindici anni per l’arruolamento e la partecipazione di fanciulli alle ostilità, il Codice fissa tale età minima a diciotto anni, in considerazione del fatto che l’Italia ha ratificato il protocollo della Convenzione sui diritti del fanciullo relativo al coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati, che prevede appunto il limite di diciotto anni in proposito.

Inoltre, la Commissione ha rilevato inoltre .che la previsione di una autonoma disposizione per l’attacco a beni culturali, in considera zione della particolare importanza del bene protetto e della conse guente necessità di prevedere pene maggiori, anche in virtù della differenza nel grado di protezione di cui godono i beni culturali secon do le convenzioni internazionali, nonché della necessità di armonizza re le disposizioni del Codice con quanto previsto dalla Legge. n 45 del 2009.

Va altresì osservato a questo proposito che nella disposizione relativa al crimine di attacco a beni culturali si è anche considerata la catego ria dei beni sottoposti a protezione speciale non menzionati nella citata l. n 45 del 2009, al fine di evitare lacune normative.

La formulazione del crimine individuale di aggressione, distinto dalla responsabilità dello Stato conseguente all’attività del suo agente che commette gli atti che costituiscono aggressione, riprende sostanzial mente la descrizione del crimine inserita nell’art. 8-bis dello Statuto di Roma alla conferenza di revisione di Kampala l’11 giugno 2010, la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con la Legge 10 novembre 2021 n. 202.

Nella formulazione adottata dallo Statuto di Roma, l’ambito crimi noso delle condotte lesive del bene protetto dalle norme (preva lentemente consuetudinarie sul piano del diritto internazionale) che censurano sul piano della responsabilità penale individuale l’uso o la provocazione dell’uso illecito della forza armata da parte di uno Stato avrebbe potuto essere più ampio.

La Commissione ha però ritenuto, trattandosi di crimine per il quale non esistono precedenti giurisprudenziali – se si eccettua la sentenza del Tribunale penale militare di Norimberga – di attenersi stretta mente, nella redazione della norma penale da inserire nel Codice, al testo dell’art. 8-bis dello Statuto.

Viene consentita in tal modo una piena attuazione degli obblighi internazionali ma resta al tempo stesso impregiudicata l’applicazione da parte degli organi giudiziari italiani delle norme del codice penale (artt. 241 ss. c.p.).

Si è anche ritenuto che i possibili conflitti apparenti di norme coesi stenti derivati dall’entrata in vigore del crimine di nuova introduzio ne vadano risolti dal Giudice in sede interpretativa.

Quanto allap ena, data la gravità delle condotte descritte, per il crimine di aggressione la Commissione ha previsto la pena dell’erga stolo.

Éer completezza di esposizione,si rinvia alla lettura della Relazione pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia che reca anche l’elenco delle norma introdotte.

Novembre 2025

** Avvocato Cassazionista-Docente in Master per la Sicurezza, Criminalistica e Giustizia Riparativa Relatore in Convegni e Seminari. Autore di varie pubbli cazioni ed articoli di Diritto e Procedura penale, Criminologia, Diritto dell’Immigrazione e Vittime di Reato pubblicati sulle principali Riviste Italiane.

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