Il Salento, i Romani e gli altri, tra custodia e progetto
Via Traiana
di Paolo Protopapa
Ignoro se esista, al di là di singole ed anche valide monografie, una mappa generale ed organica della romanizzazione del Salento. Se ci fosse o potessimo costruirla sarebbe sicuramente una nostra conquista culturale, assimilabile a quella storica dei nostri antichi predecessori. I quali, notoriamente, nella loro opera politico-militare e linguistico-culturale (burocratica, amministrativa, fiscale, religiosa) imposero veri e sistematici processi di rinaturalizzazione del territorio. Ecco perché, tra l’altro, un genio come il Leopardi – seppure in un contesto diverso e di ordine filosofico – nello Zibaldone poteva affermare che nulla di ciò che consideriamo naturale lo è nella maniera ingenua di un (preteso) vergine paesaggio originario. L’etnologia, pertanto, ci insegna che ci sono e si sono susseguiti nel tempo diffuse varietà di popoli, dai cacciatori ai raccoglitori, ma gli agricoltori soltanto hanno rivoluzionato l’assetto sociale generale, prima di sé stessi e poi degli altri popoli con cui vennero in contatto.
I Romani, dunque, furono degli agricoltori speciali e, a modo tutto particolare, seppero coniugare e intrecciare sinergicamente almeno tre fattori essenziali: attività agricola, organizzazione militare, guida e disciplina giuridica capillare e diffusa a controllo del territorio. Il tutto sotto la protezione religiosa e la creazione di coerenti istituzioni tutorie, sia di ordine militare, sia civile.
Il lunghissimo percorso della loro civiltà (circa un millennio) e le conseguenze della loro presenza e cultura universalistica continuano ad impregnare molta parte dei nostri destini.
Nel Salento, piccolo e grande, definibile entro il quadro più complesso e comprensivo della Terra d’Otranto, Roma compare ancora un po’ dappertutto. Ecco perché si può visitare un centro storico qualunque di paesini e di città, per constatare e vedere riverberate nella ragnatela ‘cartesiana’ dei luoghi abitati le geometrie della rete cardo-decumana romana. Oppure soffermarsi nella ricchissima topografia (“guardiana della storia”, secondo Cosimo De Giorgi) e curiosare sui sostrati semantici delle identità, singole e collettive succedutesi nel tempo. Veri e propri patrimoni linguistici da indagare, soprattutto, nelle loro contaminazioni innovative, nei conflitti devastanti e nei mutui e portentosi guadagni civili e spirituali.
Per noi Salentini – che ci siamo ritagliati storicamente questo scrigno di un prezioso tesoro antropologico e culturale in un crogiuolo irripetibile di civiltà coeve – forse l’immersione nello studio della romanità in senso dinamico, e non puramente archeologico-museale, farà un gran bene. Esso, infatti, ci offrirà l’occasione di allargare lo spettro delle nostre radici pluralizzandole, e, dunque, di non imprigionarci in unilaterali e asfittiche griglie localistiche, esclusivistiche e provinciali. In questo senso il bel Saggio di uno storico di vaglia come Mario Spedicato sulla Terra d’Otranto, nei secoli cruciali della sua germinazione e costituzione nell’epoca di Carlo V d’Asburgo (con la fissazione imperiale della XII Circoscrizione) ci potrà essere di valido supporto, in ragione dell’universalismo dei suoi processi e valori sedimentatisi nel tempo. Le Puglie (al plurale!) e le genti che le abitano mostrano, d’altra parte, una tale pluralità di culture, di lingue e dialetti, di sensibilità e di lasciti storici e antropologici da richiedere un’impresa conoscitiva, la più larga e impegnativa possibile.
Nessuno più di noi, nati e vissuti nell’area della Grecìa Salentina, Minoranza Linguistica Storica, tutelata dalla legge costituzionale del 1999 in applicazione dell’articolo 7, sente l’importanza di un allargamento culturale e istituzionale del concetto stesso di tutela. Si tratta della difesa e della ridefinizione dinamica, moderna e molecolare, ossia etica e spirituale (prima ancora che
politica e amministrativa) di un bene collettivo di assoluta importanza. Poche terre (anche se molte in Italia) presentano i tratti distintivi del Salento e, più ampiamente, della Terra d’Otranto. E in essa, noi per la nostra parte, non possiamo derogare ad un impegno civile e, in senso positivamente ideologico, di ricerca culturale. Si tratta di pensare ad un lavoro grande, collettivo, molecolare entro la cornice intellettuale di scuole, singole intelligenze e progetti istituzionali nuovi e coraggiosi, mai immaginati prima. Questo perché assecondando i processi di conoscenza e di valorizzazione territoriale in corso ed ampliandone lo spettro quantitativo, l’impresa non può che assumere una cifra qualitativa. Vera e propria risorsa tecnica e politica in grado di custodire dinamicamente il meglio del patrimonio ereditato e di consegnarlo al futuro dei nostri giovani, quale valore e cura delle sue ricchezze.