Indecenza ideologica e speranza democratica
di Paolo Protopapa
Quasi quattro anni di guerra russo-ucraina, inframmezzati dai terribili massacri di Israele contro i palestinesi di Gaza, hanno intaccato le nostre coscienze in profondità e alterato il sentire stesso di individui e nazioni, gruppi politici e testate giornalistiche. Se ad una cosa è valso lo stillicidio di aggressioni e morti quotidiani, ebbene questa è la chiarezza agghiacciante delle appartenenze ideologiche con gli aggressori o gli aggrediti, difensori dei valori elementari della democrazia e simpatizzanti, più o meno torbidi, delle autocrazie. Si tratta, naturalmente, di un quadro non banalmente semplificabile e manicheo tra buoni e cattivi in senso genericamente filosofico, bensì di limpida espressione di volontà rispetto agli attori in conflitto che, nel caso della guerra contro l’Ucraina, si essenzializza nel binomio antagonistico tra l’aggressore Putin e l’aggredito Zelenski. A tal proposito sembra lecito chiedersi se sia mai possibile – una volta postulata come verità fattuale l’antinomia palmare tra vittima e carnefice – che lo schieramento variamente filo-putiniano sia così significativamente rilevante e maggioritario nel nostro paese. E, se davvero risultasse tale, con quali meccanismi giustificativi sarebbe condiviso specialmente tra i progressisti.
Se proviamo a sommare (come in buona misura sembra risultare da analisi e sondaggi) gli amici di Putin – affiancati dai tiepidi (cosiddetti) neutralisti, pacifisti, nonviolenti generici ecc. ecc. – avremmo per risultato una larghissima aggregazione che si dipana dai 5 Stelle alla Lega, dagli estremisti di sinistra ad una parte di zoccolo duro degli ex simpatizzanti dell’URSS, dalle frange ex comuniste staliniste ai guerrafondai idolatri dell’uomo forte in ciascun tempo e in ciascuna congiuntura epocale, dai vigliacchi per scelta (e professione) agli indifferenti per vocazione. Questi ultimi, da non sottovalutare per consistenza quantitativa, stando alle valutazioni di un uomo come Primo Levi (“Odio gli indifferenti”), abitano ‘ab immemorabili’ il nostro tempo e frequentano abitualmente i nostri luoghi. Essi si sommano ad alcune, talora temerarie, testate giornalistiche e a spregiudicati ‘opinion leaders’ ormai privi di ogni ritegno etico e democratico.
Tali che, andando a fondo nella propaganda, possono essere annoverati – pur con mille prudenze e cautele – ai nemici dell’Occidente e ai tarli storici roditori di ogni valore di libertà e di giustizia, e, pertanto, peculiari al nostro stato di diritto democratico e liberale. Purtroppo non ci pare per nulla strano o paradossale che ciò avvenga. È sempre accaduto. Nelle contingenze belliche e in ogni evento di coinvolgimento delle passioni, proprio le emozioni – più ancora della ragione e delle ragioni meditate – tendono a prevalere sotto forma di istinti belluini e pre-logici di puro primitivismo antropologico. Basti pensare ai regimi totalitari di massa tra gli anni ’20 e ’50 del secolo scorso e alle formidabili risultanze scientifiche degli studi sulla personalità autoritaria, sul mito del capo e dell’uomo forte elaborati dalla Scuola di Sociologia di Francoforte, da Horkheimer e Adorno a Benjamin a Habermas. Ci riferiamo In modo specifico a quei processi di identificazione autoritaria e di de-coscientizzazione dell’individuo massificato, irretito nella de-responsabilizzazione etica e nella omologazione conformistica studiate con particolare vigore teorico da analisti sociali del calibro di Elias Canetti e Pier Paolo Pasolini.
Un tema, questo della crisi della democrazia e dell’affermazione delle destre estreme sullo scenario internazionale (con la simmetrica distorsione populistica di molta sinistra massimalista), oggi fortemente accentuate da politici come Donald Trump. Protagonista, costui, quanto mai contraddittorio, rude, antidemocratico e antieuropeo, in grado di falsificare ogni tavola di valori civili di forte e consolidata matrice di ‘Recht Staat’ nella prima democrazia della storia. Si tratta, probabilmente, del più pericoloso uomo di potere del mondo di provenienza liberale, contro il quale una fragile, evanescente Europa, frantumata in egoismi e nazionalismi di poco momento, non riesce a svegliare le coscienze democratiche più avvertite e sensibili della tradizione libertaria e socialista. Ne discende che la crisi democratica dominante, priva le coscienze di costume civile e di discernimento etico e finisce per non garantire le condizioni minime nel distinguere l’aggressore dall’aggredito, Putin da Zelenski, Mosca da Kiev, il colpevole dall’ innocente, i custodi dei valori democratici dai fautori della violenza sopraffattrice e liberticida.
Difficile, allora, se non addirittura impossibile, che senza una saldatura tra formazione democratica e sinistra progressiva militante, si possa giungere ad una svolta civile radicale. Anche perché ci sono nella storia dei popoli tristi congiunture, dentro le quali i democratici stentano e i mestatori, retori suadenti, trionfano. Lottiamo perché ciò non accada.