IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La bandiera e l’identità: perché in Grecia sventola ovunque e in Italia quasi mai

bandiere Italiana e Greca

di Pompeo Maritati

Chiunque abbia viaggiato in Grecia, anche solo per pochi giorni, non può non notare un dettaglio che si ripete con costanza quasi rituale: la bandiera greca sventola ovunque. La si trova sulle case private, sulle barche, accanto alle chiese, nei cortili delle scuole, sulle spiagge, nei villaggi più remoti e nelle metropoli. È un simbolo vivo, quotidiano, che accompagna il paesaggio come un respiro identitario. Tornando in Italia, il contrasto è netto: il tricolore appare raramente, relegato ai palazzi istituzionali, alle caserme, e — paradossalmente — ai momenti sportivi, come le partite della nazionale di calcio. Da qui nasce una domanda legittima: perché in Grecia la bandiera è vissuta come parte integrante della vita civile, mentre in Italia sembra un oggetto da cerimonia o da stadio?

La Grecia ha una storia recente segnata da lotte per l’indipendenza, guerre civili, occupazioni straniere e crisi economiche. La bandiera greca, con la croce bianca su sfondo blu e le nove strisce che simboleggiano il motto “Ελευθερία ή Θάνατος” (Libertà o Morte) non è solo un emblema nazionale, ma un vessillo di resistenza, fede e orgoglio. È legata alla Chiesa ortodossa, che ha avuto un ruolo centrale nella conservazione dell’identità greca durante la dominazione ottomana. È legata alla lotta per l’indipendenza del 1821, alla resistenza contro il nazifascismo, alla rivolta degli studenti del Politecnico nel 1973. Ogni famiglia greca ha almeno una bandiera, e la espone non per obbligo, ma per sentimento.

La bandiera italiana nasce nel contesto napoleonico, come simbolo repubblicano e rivoluzionario. Ma nel corso dei secoli ha subito una trasformazione ambigua: è stata la bandiera del Regno d’Italia, poi del fascismo, poi della Repubblica. Questa stratificazione storica ha reso il tricolore un simbolo meno “puro”, meno condiviso. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia ha vissuto una lunga fase di distacco dai simboli patriottici, spesso associati a retoriche autoritarie. Il senso civico si è frammentato, e la bandiera è diventata un oggetto da cerimonia, non da vita quotidiana. L’unico momento in cui il tricolore riemerge con forza è durante le vittorie sportive, soprattutto calcistiche, dove diventa un simbolo di appartenenza temporanea, quasi ludica.

In Grecia, la bandiera è parte di un senso dello Stato che, pur tra mille contraddizioni, è vissuto con partecipazione emotiva. In Italia, lo Stato è spesso percepito come distante, burocratico, talvolta ostile. Questo si riflette anche nella relazione con i simboli: dove manca il senso di appartenenza, il simbolo si svuota. Dove invece il simbolo è vissuto come memoria collettiva, come radice e come promessa, esso si moltiplica e si rinnova.

Esporre una bandiera non è solo un atto patriottico: è un gesto di riconoscimento, di affetto, di continuità. In Grecia, appendere la bandiera fuori casa è come dire “questa terra è mia, la amo, la rispetto”. In Italia, quel gesto è raro, e quando accade è spesso legato a eventi eccezionali. Forse perché manca una narrazione condivisa che restituisca al tricolore il suo significato profondo, al di là della retorica e del calcio.

E’ è uno specchio che ci invita a riflettere sul nostro rapporto con l’identità, la memoria e la comunità. Forse è tempo di riscoprire il tricolore non come simbolo di tifoseria, ma come segno di una cittadinanza viva, consapevole e affettuosa. Non per imitare la Grecia, ma per ritrovare noi stessi.


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