IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

La difficile normalità dopo le tragedie di una guerra civile

Copertina del volume Mi limitavo ad amare te

Copertina del volume Mi limitavo ad amare te

di Angelo Piemontese

Nel romanzo Mi limitavo ad amare te – secondo classificato nel Premio Strega 2023 – Rosella Postorino segue la tormentata formazione di tre vittime dello scontro fratricida nella ex-Jugoslavia

Diviso in quattro parti, il racconto copre venti anni della vita dei protagonisti dal 1992 al 2011 ed è narrato in prima persona. Ci sono, però, undici brevi capitoli in corsivo, in cui una voce esterna commenta gli avvenimenti.

Il titolo riprende il quinto verso della poesia Cerco la strada per il mio cuore di Izet Saraijlic: rivolto a Nada, ad alta voce Danilo dice: Mi limitavo ad amare te, aggiungendo quello precedente “Cosa facevo io mentre durava la Storia?” (p. 218), per sottolineare la sua incapacità a scegliere una strada precisa, superando i propri eterni dubbi e le conseguenti indecisioni, mentre avvengono avvenimenti stravolgenti a seguito del crollo della Jugoslavia.

A seguito del bombardamento dell’orfanotrofio di Bjelave a Sarajevo, i bambini ospitati per sicurezza vengono trasferiti in un convento di Monza, sotto l’attenta custodia delle monache, che in estate li accompagnano a Igea marina. Fra di loro Omar e Nada, amici d’infanzia, si adattano con difficoltà alla nuova realtà, con cui invece entra in sintonia Danilo, proveniente da famiglia benestante. Tali differenze emergono anche a scuola, che i ragazzi frequentano in Italia. Nonostante le attenzioni di una coppia, che vuole adottare i due fratelli, al contrario dell’accomodante Senadin, Omar è contrario: prova disagio in una terra che non sente sua, per cui vorrebbe tornare a Sarajevo e ritrovare la mamma, sparita durante il bombardamento. Nada, invece, riceve la visita inaspettata del fratello Ivo, che le racconta di ciò che ha fatto nei quattro anni in cui non si sono visti e del casuale incontro con la loro mamma Daša, prostituta, la quale trova il modo di farlo partire per l’Italia, salvandogli la vita, ma lasciandogli forti rimorsi.

Al contrario di Sen, Omar non solo non riesce ad adattarsi alla vita coi coniugi affidatari Matte e Mari, cattolici praticanti, ma non sa neppure costruire un rapporto positivo con Nada, la quale anela a rivedere la mamma e perdonarla per il dito che le ha tagliato a quattro anni, ma ne è impedita da Ivo, che le dice che Daša non vuole rivederla.

Perfettamente inserito nella realtà riminese, Danilo si scontra con la madre Azra, che l’ha raggiunto, perché non vuole badare alla sorella Jacoda. Pur legato da un forte sentimento a Nada, il giovane non riesce a manifestarlo, come del resto fa la ragazza nei suoi confronti.

Se Omar sta male, perché vuole andare a cercare la mamma, convinto che sia viva, e non ci riesce, Danilo è costretto dalla sua a tornare in Bosnia, ma a casa si sente fuori luogo. Quando scoppia la crisi di Azra, egli comprende di essere stato troppo assente e di sentirsi un estraneo: la sua casa ormai è l’Italia.

Certo della morte di sua madre, Omar è sempre più aggressivo, facendo sentire Mari inadeguata a sostituirla (p. 254). Dopo una lite furibonda, il ragazzo lascia la casa. Alle sue azioni, reagisce duramente Nada, che ha in comune con Omar lo spirito ribelle, ma è preda di una forte solitudine. Dopo la sua discesa agli inferi, Omar torna a casa, ma viene rifiutato da Mate, nonostante Mari sia pronta a riaccoglierlo.

Leggendo gli appunti di Azra, che si è suicidata (p. 259), Danilo impara a conoscerla meglio, confessando il proprio risentimento e disorientamento per il gesto della madre a Nada, che lo ha raggiunto a Bologna, scappando dalle monache.

Ancora in carcere a Milano, Omar apprende che sua madre è viva da Danilo, ormai avvocato, che si lascia andare al ricordo dell’amore fatto con Nada, la quale ora ha un bimbo, Nino, divenuto la ragione della sua vita.

Guardando in un video la mamma ancora viva, Omar va fuori di testa e viene seguito da uno psicologo. Raggiuntala per invitarla a visitare Omar in carcere, Danilo scopre che Nada è diventata mamma, mentre lui è in attesa di un figlio dalla moglie Elsa. Combattuto dalla scoperta di essere il padre di Nino, Danilo non sa che fare. Alla fine i tre vecchi amici sono uniti da Nino – che parla nel Capitolo 55 della Quarta parte (pp. 338/341) –, dopo che Omar ha rivisto la mamma in videochiamata.

Rifacendosi a un fatto realmente avvenuto, la storia dei bambini di Bjelave, Rosella Postorino non dà una visione edulcorata dell’infanzia stravolta dalla guerra: i tre protagonisti e i loro fratelli vivono di errori, speranze e disagi infiniti, derivanti dagli stravolgimenti indotti dalle violenze belliche, che hanno determinato lo sradicamento di giovani vite, separate dai familiari e dalla loro terra. I più disorientati sono Omar e Nada, bloccati dal rapporto con le rispettive mamme, delle quali sentono la mancanza in maniera lancinante, al contrario dei loro fratelli Sen e Ivo, che, invece, si sono costruiti una nuova vita in Italia. Per motivi diversi, anche Danilo è condizionato dal rapporto coi suoi familiari, avviandosi, però, a un’esistenza borghese, fatta di una professione rispettabile e di un sentimento d’amore diviso fra la moglie e Nada.

Alla storia principale dei tre giovani si collegano tante altre, che permettono alla Postorino di portare alla ribalta la disumanità della guerra, che travolge i più deboli e innocenti, le difficoltà a inserirsi in una realtà diversa da quella d’origine, la generosità di chi sa accogliere i profughi e l’impotenza dei potenti del mondo a porre fine a un conflitto distruttivo. Sono tematiche che emergono man mano dalla narrazione: senza mai forzare la mano, l’Autrice porta il lettore a constatare i danni materiali e morali prodotti da una guerra insensata, dovuta ai soliti interessi di potere, che nulla hanno da spartire con i bisogni della maggioranza delle persone.   

Il libro appartiene al genere misto di realtà e finzione, come sottolinea anche la struttura, scandita dalle indicazioni temporali, che seguono i tragici avvenimenti della guerra civile in Bosnia, che responsabili delle difficoltà in cui vivono gli adolescenti protagonisti. Tenendoli come sfondo costante, sottolineato dagli undici brevi capitoli in corsivo, in cui trabocca la ferocia umana che travolge ogni innocenza, la Postorino si concentra sui disagi soprattutto psicologici dei tre giovani protagonisti, non facendone degli eroi senza macchia né paura, ma evidenziando la loro contrastata maturazione, nella quale il passato doloroso pesa di più di un presente apparentemente migliore, condizionandone i sentimenti, come riflette Nada a proposito del rapporto di Danilo con Azra: “Che ingenuità considerare l’amore più forte della sofferenza” (p. 261) o lo stesso giovane a proposito del rapporto con suo padre: “Gli capitava sempre: che la pietà sporcasse l’amore” (p. 335).

Il finale lascia aperte le storie dei tre giovani, facendo intuire, però, che essi si trascineranno per sempre le proprie incertezze, prodotte dai fragili rapporti familiari e da una guerra distruttiva, della quale la Postorino offre alcune scene drammatiche, come l’attacco serbo rievocato da Azra (pp. 266 e sgg.). Qui, come in altre parti del racconto, la Scrittrice induce una grande partecipazione emotiva nel lettore, obbligandolo a riflettere su avvenimenti vicini a lui, riproposti dall’attacco russo all’Ucraina, che produce effetti simili di ferocia e sbandamento.

Angelo Piemontese

Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, Feltrinelli, 2023

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