di Paolo Protopapa
Io ho capito da piccolo, osservando la Chiesa come un grande teatro umanissimo – che cielo e terra non sono due mondi separati, ma un unico mondo. Gli atei la pensano così. I credenti che vogliono e desiderano e, quindi, separano cielo e terra, identificano invece la cosa col desiderio della cosa. ‘Credunt quod cupiunt’ (credono in ciò che desiderano), immaginando che l’oggetto agognato possa e debba esistere, ma separato e non empirico.
Questo ‘oggetto del desiderio’ altro non è che transustanziazione (passaggio sostantivo ritenuto reale-concreto) tra enti esistenti, e tuttavia assolutamente non transustanzializzabili, cioè non trasformabili in sostanze effettive.
Questa con-fusione tra contraddizione (o opposizione logica o dialettica o metafisica) e, invece, opposizione reale o materiale o concreta o ‘Real-repugnanz (Kant) è l’arcano di tutta la mistificazione religiosa. Marx lo chiama il “segreto rivelato” del pensiero metafisico puramente astratto, cui si contrappone il pensiero inteso come “astrazione determinata”.
Dio è una astrazione metafisica, cioè, appunto, astratta-astratta e indeterminata, poiché priva della ‘determinatezza’ in grado di fissare la determinazione entro lo spazio controllabile della sperimentazione empirica.
Dio non è fattuale. ‘Ens realissimum’ (San Tommaso) Dio non si dà ‘mediante’ il passaggio sensibile, per poi tradursi in concetto o idea di Dio. Rimane, esso-Dio, astrazione senza verifica, ovvero: Dio non è una idea in quanto concreto e “sintesi di molte determinazioni” (K. Marx). Ad esso-Dio non attengono, dunque, attribuzioni di controllabilità fisica, quale per esempio il giallo di una rosa gialla, oppure il freddo del ghiaccio freddo. O, ancora, il peso e l’odore di un legno o di un qualunque ente materiale. A Dio, e a tutto ciò che è connotato come im/materiale, afferisce la medesima immaterialità della relativa predicazione puramente logica. Per Lui, al massimo, potrà adoperarsi la metafora o l’allegoria ‘per approssimazione’. Per esempio l’accostamento ‘per analogia’ o ‘per simbologia’.
Ci soccorre Dante: “Trasumanare, significar per verba non si porrìa”: l’io spirituale-umano non può auto-trascendersi; e l’Assoluto è condannato
all’inattingibilità da parte dell’uomo.
La luce dell’Empireo/Ultimo cielo può avvicinare e alludere, mai identificare l’uomo con Dio. La fede è, pertanto, questo ‘oltre’ del trans/umanare. ‘Oltre’ le parole, pur sempre corporali, ancorché sottilissime e leggere. ‘Oltre’ il desiderio più ardito, cui sfugge il sommo ‘Tèlos’ posto nel supremo paradigma dell’eternità (‘Metà tà füsykà’, oltre la materialità delle cose) può solo la fede.
L’ “ab-surdum” di Tertulliano e l'”amor Dei intellectualis”(amore intellettuale di Dio) spinoziano, fungono da estremi per blindare l’Essere Supremo Ottimo Massimo nella Trascendenza pura, sciolta da ogni ‘affezione o attributo’ dell’umano.
Paolo Protopapa