IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La radice quadrata di due, il primo irrazionale – il punto in cui ragione e infinito si incontrano

La radice quadrata di due

di Mariella Totani


La radice quadrata di due è uno di quei numeri che, pur nella loro apparente semplicità, hanno segnato una svolta epocale nella storia del pensiero umano. Nasce da un problema elementare di geometria: calcolare la lunghezza della diagonale di un quadrato di lato unitario. Applicando il teorema di Pitagora, si ottiene che la diagonale misura la radice quadrata di due. Nulla di più semplice, nulla di più lineare. Eppure, dietro questa formula si nasconde un abisso concettuale che ha messo in crisi la visione pitagorica del mondo, ha costretto i matematici a ridefinire il concetto stesso di numero e ha aperto la strada a una riflessione filosofica sull’infinito. La radice quadrata di due è il primo numero irrazionale scoperto dall’uomo, il primo incontro con una realtà che non può essere espressa come rapporto di interi, il primo segnale che l’universo non si lascia racchiudere interamente nelle proporzioni armoniche dei numeri razionali. Per i Pitagorici, che vedevano nei numeri interi e nelle loro combinazioni la chiave dell’armonia cosmica, la scoperta fu uno scandalo.

La leggenda narra che Ippaso di Metaponto, discepolo della scuola pitagorica, dimostrò l’irrazionalità della diagonale del quadrato e che per questo fu punito, forse addirittura condannato a morte, per aver rivelato un segreto che incrinava la loro visione del mondo. Che la leggenda sia vera o meno, essa testimonia la portata rivoluzionaria della scoperta: per la prima volta si riconosceva l’esistenza di un numero che non poteva essere espresso come frazione, un numero che sfuggiva alla misura finita, un numero che apriva la porta all’infinito. La dimostrazione dell’irrazionalità di √2 è un capolavoro di logica elementare. Supponiamo che √2 sia uguale a p/q, con p e q interi primi tra loro. Allora 2 = p²/q², dunque p² = 2q². Ne segue che p² è pari, quindi p è pari. Scriviamo p = 2k. Allora 4k² = 2q², quindi q² = 2k², dunque anche q è pari. Ma se entrambi sono pari, non possono essere primi tra loro. Contraddizione. Dunque √2 non è razionale. Questa dimostrazione, apparentemente semplice, ha un valore filosofico enorme: mostra che la ragione può dimostrare l’esistenza di qualcosa che non può essere espresso con i mezzi finiti della ragione stessa. È un paradosso fecondo: la logica porta a riconoscere i propri limiti.

Che cosa significa, in concreto, che √2 è irrazionale? Significa che non può essere scritto come frazione, ma solo come espansione infinita non periodica. In decimale, √2 ≈ 1,4142135623730950488… Una sequenza infinita di cifre, senza ripetizione regolare. Qui si manifesta l’incontro tra ragione e infinito: la ragione matematica ci garantisce l’esistenza e la precisione concettuale di √2, ma la sua rappresentazione concreta è un processo infinito, mai concluso. È il primo esempio di come la matematica ci costringa a pensare l’infinito non come un concetto mistico, ma come una realtà operativa. La scoperta dell’irrazionalità della radice di due segnò una frattura epistemologica. I Pitagorici dovettero rivedere la loro concezione del numero e introdurre la teoria delle proporzioni, sviluppata poi da Euclide, che permise di trattare grandezze incommensurabili senza ridurle a rapporti di interi. Nel Medioevo e nel Rinascimento, la radice di due divenne un numero pratico, usato in architettura e musica.

Con Cartesio e la geometria analitica, gli irrazionali trovarono posto naturale sulla retta reale. Nel XIX secolo, Dedekind e Cantor formalizzarono i numeri reali, mostrando che gli irrazionali non erano eccezioni, ma la regola: i razionali sono “pochi”, gli irrazionali sono “quasi tutti”. La radice di due non è solo un numero: è un simbolo culturale. In architettura, il rapporto √2 è alla base del formato dei fogli A (A4, A3, ecc.), perché mantenere il rapporto tra lati pari a √2 permette di dimezzare o raddoppiare il foglio mantenendo la stessa proporzione. In filosofia, rappresenta il limite della ragione: ciò che può essere pensato ma non pienamente rappresentato. In letteratura, è stata evocata come metafora dell’infinito e dell’indicibile. La radice di due ci costringe a riflettere sul rapporto tra finito e infinito. Platone avrebbe visto in essa un’Idea: esiste perfettamente, ma non può essere colta dai sensi. Kant avrebbe parlato di un concetto della ragione che trascende l’esperienza. Heidegger avrebbe forse letto in essa un segno dell’“esserci” che si apre all’infinito. In ogni caso, √2 è un ponte: ci mostra che la ragione umana può concepire l’infinito senza possederlo. Oggi viviamo immersi negli irrazionali: π, e, le costanti della fisica.

Ma la radice di due resta il primo incontro con questo mondo. È il punto in cui la matematica ha smesso di essere solo aritmetica e misura, ed è diventata pensiero sull’infinito. Nonostante la sua aura filosofica, √2 è estremamente pratico: nei formati di carta ISO, nei rapporti geometrici in architettura e design, nei calcoli in trigonometria e fisica, negli algoritmi numerici e nell’informatica. Così, l’infinito diventa quotidiano: ogni volta che stampiamo un foglio A4, maneggiamo inconsapevolmente la radice di due. La radice quadrata di due è molto più di un numero: è un evento culturale. È il primo irrazionale, il primo incontro dell’umanità con l’infinito. È la dimostrazione che la ragione può condurci a riconoscere i propri limiti e, nello stesso tempo, ad aprirsi a ciò che li trascende. È il simbolo di un pensiero che non si accontenta del finito, ma osa guardare oltre.

È il punto in cui ragione e infinito si incontrano, e in cui l’uomo prende coscienza della propria capacità di pensare l’infinito pur restando finito. In questo senso, la radice quadrata di due non è solo un numero, ma una metafora della condizione umana: siamo esseri finiti che pensano l’infinito, esseri razionali che riconoscono l’irrazionale, esseri che cercano l’armonia pur sapendo che essa non è mai completa. La radice di due è il primo passo di un cammino che porta a Cantor e alla teoria degli insiemi infiniti, a Gödel e ai limiti della logica, a Heisenberg e all’indeterminazione della fisica quantistica. È il segno che la ragione, per essere davvero tale, deve saper riconoscere l’infinito e dialogare con esso. È il numero che ci ricorda che la matematica non è solo calcolo, ma anche filosofia, poesia, apertura all’infinito.


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