La retorica delle troppe informazioni

di Riccardo Rescio
C’è un malinteso persistente quando si parla di “bombardamento mediatico” o “sovraccarico informativo”, si immagina che sia un fenomeno esclusivo dell’era digitale, una condanna senza precedenti.
Eppure, se osserviamo il rapporto storico tra l’uomo e le notizie, scopriamo un paradosso illuminante, la presunta overdose di informazioni non è che l’eterno riflesso della nostra umanità selettiva.
Quando i giornali cartacei dominavano come unici archivi del mondo conosciuto, nessuno li divorava dalla prima all’ultima riga. Si sfogliavano cercando titoli in linea con le proprie passioni, la cronaca nera per i curiosi di scandali, la terza pagina per gli amanti della cultura, lo sport per i tifosi.
Non esistevano algoritmi, eppure già allora agiva l’“intensità delle preferenze”, quel principio psicologico per cui filtriamo il reale in base a desideri, paure o semplici capricci. Non ci è dato di sapere con certezza se negli anni 20 c’erano movimenti di pensiero che indicavano i giornali troppo corposi con un “eccesso di articoli”.
La scelta era implicita, compravi il giornale, ma decidevi tu cosa farne. Oggi, di fronte allo smartphone, fingiamo di essere vittime passive.
Scrolliamo convinti che il flusso infinito di notifiche ci sovrasti, dimenticando che ogni clic è un atto di volontà.
Il dispositivo non è un obbligo, ma uno specchio.
Se un tempo il filtro era fisico (voltare pagina, cambiare canale), oggi è digitale (mute, block, impostazioni privacy), ma la sostanza non cambia, siamo noi a dettare i confini della nostra attenzione.
Chi si immerge nel gossip su Instagram non è diverso dal lettore che un secolo fa cercava i pettegolezzi in terza pagina; chi studia tutorial su YouTube ripete il gesto di chi annotava articoli di enciclopedie.
La retorica dell’“overload” nasconde una verità scomoda, denunciare il “troppo” è spesso un alibi per non ammettere la propria dispersione. I giornali del passato, con i loro supplementi e rubriche, offrivano già un “menù” variegato, sta al lettore, ieri come oggi, evitare l’indigestione.
La differenza è che oggi, di fronte a opzioni illimitate, fatichiamo a esercitare l’autodisciplina, preferendo colpevolizzare la tecnologia.
Forse è tempo di abbandonare le narrazioni catastrofiste e riscoprirci curatori della nostra dieta mentale.
Non esistono troppe informazioni, esistono priorità mal definite.
Come scriveva il sociologo Niklas Luhmann, “il caos non è nel mondo, ma nel osservatore che non sa selezionare”.
Sia che teniamo in mano un quotidiano ingiallito o un iPhone, la sfida rimane la stessa, ascoltare non tutto, ma ciò che conta.
Perché la vera libertà non sta nell’accesso illimitato ai contenuti, ma nel coraggio di ignorarli.
Riccardo Rescio