“Le Cose che Abbiamo Dimenticato”, la domenica senza negozi aperti – Il tempo dell’attesa e del riposo collettivo
di Mariella Totani
C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui la domenica era davvero un giorno diverso. Non per la frenesia degli acquisti, non per le vetrine illuminate, non per le code ai centri commerciali. Era diversa perché si fermava. Si fermava il rumore, si fermava il consumo, si fermava il tempo. I negozi chiudevano, le serrande si abbassavano, e la città respirava. Respirava piano, come chi si concede finalmente una pausa.
La domenica senza negozi aperti non era una privazione, ma una restituzione. Restituiva alle persone il diritto all’attesa, alla lentezza, alla noia creativa. Era il giorno in cui si poteva camminare senza fretta, guardare senza comprare, pensare senza essere interrotti da offerte speciali. Era il giorno in cui il tempo tornava ad essere umano, non scandito da scontrini e transazioni, ma da gesti semplici: un pranzo in famiglia, una passeggiata nel parco, una telefonata a chi si ama.
In quel silenzio commerciale, si riscopriva il valore del riposo collettivo. Non solo il riposo individuale, ma quello condiviso, sincronizzato, che unisce le vite in una pausa comune. I lavoratori potevano finalmente staccare, senza l’ansia di turni festivi. Le famiglie si ritrovavano, senza dover incastrare orari impossibili. Le strade si svuotavano di traffico e si riempivano di bambini, biciclette, chiacchiere lente.
La domenica chiusa era anche il tempo dell’attesa. Attendere il lunedì per acquistare qualcosa significava dare valore al desiderio, lasciarlo maturare, non soddisfarlo subito. Era un esercizio di pazienza, di misura, di consapevolezza. In un mondo che ci vuole sempre pronti, sempre attivi, sempre consumanti, l’attesa è un atto rivoluzionario. È dire: “Posso aspettare. Posso desiderare senza possedere. Posso vivere senza comprare.”
Oggi, in molte città, la domenica è diventata un giorno come gli altri. I negozi sono aperti, le luci accese, le offerte in corso. Ma qualcosa si è perso. Si è perso quel ritmo diverso, quel respiro collettivo, quella tregua condivisa. Si è perso il senso del limite, del confine tra il tempo del lavoro e quello della vita. E forse, nel rincorrere la produttività, abbiamo smarrito la poesia.
Ritornare a una domenica senza negozi aperti non è nostalgia, è visione. È immaginare una società che sa fermarsi, che sa rispettare il tempo, che sa proteggere il riposo. È dare valore al silenzio, alla lentezza, alla gratuità dei gesti. È restituire alla domenica la sua dignità, non come giorno di consumo, ma come giorno di comunità.
Perché in fondo, il vero lusso non è comprare ciò che vogliamo, ma avere tempo per ciò che conta. E la domenica, se ci fermiamo davvero, può ancora insegnarcelo.