LE “RAPSODIE DAL CIELO” DI GABRIELLA COLLETTI recensione di MAURIZIO NOCERA

Un giorno di questa estate infuocata 2025, mi giungono dal cielo le Rapsodie di Gabriella Colletti. In verità il cielo sta per la buca delle lettere della porta di casa, dove un caro amico si è premurato di recapitarmele.
Apro il libro (Piero Manni Editore, collana “Occasioni”, San Cesario 2025, pp. 80), e, ancor prima del frontespizio, leggo una prima dedica («Alla memoria/ dei miei genitori/ e del loro giardino»). Mi soffermo, perché ho sempre apprezzato le dediche. In particolare questa si rivolge ad una parte del cuore, dove risiedono sentimenti molto riservati, che fanno parte di quel profondo inconscio dove l’anima a volte si dispera altre volte gode di gioia infinita.
È la parola “giardino” che mi fa riflettere. E penso che la poeta Colletti ha avuto un rapporto speciale con questa parte della casa dei suoi genitori: il giardino è l’Eden biblico, è il verde incantato della memoria archetipale, è il luogo dove spesso ognuno di noi cerca il rifugio dove andare a nascondersi alla vista dei curiosi.
C’è poi una Prefazione, firmata dal letterato Vincenzo Guarracino (io e lui firmiamo i nostri articoli sulla rivista romana «Fermenti») che, come sempre, riesce ad azzeccare il senso profondo di un testo poetico. Scrive: «È popolato di presenze e figure, frutto di stupori e tenerezze che provengono da lontano affondando le loro radici in un humus letterario e umano nutrito di sogni e di vita, vibrante di poesia, musica e colore, in una trama di sfide intellettuali e di enigmi di intrigante suggestione, il mondo fantastico di Gabriella Colletti» (p. 5).
A p. 7 trovo due eserghi bellissimi. Il primo: «Le caratteristiche di un uccello solitario sono cinque./ La prima, che vola verso il punto più alto;/ la seconda, che non sopporta compagni, neppure simili a lui;/ la terza, che mira con il becco ai cieli;/ la quarta, che non ha un colore definito;/ la quinta, che canta molto dolcemente. San Juan de la Cruz, Dichos de Luz y Amor».
Versi stupendi che fanno rima con l’autore che, come sappiamo, fu un grande mistico cristiano del Cinquecento.
Il secondo esergo è: «Con le mie poesie?… morirei di fame:/ non servono a nessuno perché sono scritte dal cielo. Marina Cvetaeva».
Un distico imperativo quello della poeta, che lascia di stucco chiunque lo legga. Marina è la grande poeta e scrittrice russa, purtroppo morta prematuramente. Per lei la poesia era il pane quotidiano spezzato con grande parsimonia.
A p. 9, si apre il sipario delle liriche della Colletti, molte di esse hanno delle dediche oppure degli eserghi di autori famosi e di altri meno famosi. Ne scelgo e ne riporto solo una, che mi ha aperto il cuore e la mente. Data la mia età ormai difficilmente cuore e mente s’intrecciano, e tuttavia questa poesia di Gabriella mi ha permesso questo dono per la mia anima.
«Gratitudine// A mio padre// Ti verrò a cercare/ Perché mi manchi/ E il mare sarà un prato di stelle./ Tu mi guarderai/ Come chi sott’acqua/ Scenda, e sarà scia di cometa.// So che mi riconoscerai e questo/ Mi basta, sarò la Zingara/ Addormentata/ E tu il fedele leone./ Nessuno ti potrà sostituire.// Ti verrò a cercare/ Per ringraziarti./ Te lo dirò con il fiore che nasce/ Dal fango: candido loto/ Che scivola sulla corrente» (p. 48).
Infine, torno all’incipit di queste poche righe: prima del frontespizio c’è anche una seconda dedica, rivolta al sottoscritto, che ringrazia sentitamente.