Le vie dell’Es qualche volta sono chiare

di Tiziana Leopizzi
Tanti sono i personaggi singolari di cui il Paraguay è ricco. Oggi vi presento Juan Caceres, artista e promotore del cambiamento sociale della Chacarita, il quartiere malfamato ma affascinante di cui recentemente abbiamo parlato proprio su queste pagine.
Juan fin da piccolo sente la magia del segno e con penne o matite o qualsiasi cosa disegna dappertutto, persino sui margini dei fogli dei suoi quaderni. … la sua è passione non un capriccio e perciò appena gli è possibile si iscrive ad alcuni corsi di pittura e disegno a La Plata, dove allora viveva.
Fu questa l’occasione per avvicinarsi al pianeta dei graffiti insieme ai ragazzi del suo quartiere che con ogni probabilità se avessero avuto un telefonino tra le mani non avrebbero scoperto il mondo dei murales. Murales è un termine ormai adottato a livello mondiale per nominare i dipinti sui muri. In realtà è la tecnica più antica del mondo se è vero com’è vero che nell’isola di Sulawesi in Indonesia esiste un dipinto risalente a 45.000 anni fa. Raffigura un cinghiale a grandezza naturale. Questa pratica, con mille varianti, ha attraversato i millenni. Ricordiamo al volo le pitture rupestri a noi più familiari, Altamira in Spagna, Lascaux, Chauvet, e in Italia in Val Camonica, per arrivare poi agli Egizi, ai Greci, ai Romani fino ai giorni nostri. L’Italia dalla metà dell’Ottocento ad oggi si è arricchita di dipinti sui muri, da paese a paese, da località a località, da firma a firma ed esiste un percorso di cui varrà la pena parlare. Tra i tanti ricordo Arcumeggia, piccolissimo paese al confine tra l’Italia e la Svizzera, dove i professori di Brera dagli anni Cinquanta, trovarono il modo di esprimersi in maniera assolutamente libera e inedita dipingendo le facciate delle case del paesino: si avvicendarono artisti come Monachesi, Sassu, Usellini, Brindisi, Migneco, Carpi, De Amicis per citarne solo alcuni, e ancora oggi possiamo ammirare i loro lavori.
Allora si parlava di dipinti sui muri non certo di murales.
Il termine usato ormai urbi et orbi è stato coniato e immediatamente recepito grazie al movimento di protesta nato in Messico dopo la rivoluzione del 1910. La forte cotè politica lasciò via via il campo a valori sociali e identitari, tanto che oggi questo tipo di pittura viene spesso richiesta da enti pubblici o privati per il richiamo culturale che esercitano a livello di turismo.
Riprendiamo il percorso con il nostro artista che abbiamo lasciato a giocare con i colori insieme ai suoi amici, ma intanto apprendevano o meglio sperimentavano nuove tecniche. Un fulmine a ciel sereno fu l’insorgere di problemi di salute, non trascurabili. Antesignano, oggi l’arteterapia ha un suo posto preciso, decide di integrare le cure rinsaldando il suo rapporto con il “gioco” e decide di iscriversi ai corsi di arte murale in Argentina con il Prof. Delvitto.
“Ero abbastanza spaventato, pensavo di non farcela, ma fu proprio grazie a lui che non mi arresi di fronte a queste superfici così grandi. Il prof aveva una grande passione e giorno dopo giorno appresi un nuovo modo di vivere l’arte. Senza rendermene conto, passai ben quattro anni a La Tallera”. Qui imparava a tutto spiano, ma soprattutto scoprì il suo lessico. Un muralista lavora con chi si avvicina incuriosito. “Questo – precisa – é un valore unico che solo questo tipo di pittura ti può dare, compresi che avrei potuto creare un nuovo modo di comunicare, volevo essere un ponte per la gente che capiva la nostra voglia di fissar la loro vita sulle pareti e per fare questo dovevamo diventare parte del loro mondo, disegnandolo … anche con i loro sogni”. Esplodeva l’empatia. Fu un’esperienza rivelatrice. Prende atto che da tempo questo tipo di pittura non era più solo terapia di cui avvantaggiarsi, anche se fu molto utile in questo senso, e nemmeno un passatempo ma un vero e proprio stile di vita. Tornato in Paraguay nel 2019 pieno di energia e forte dell’esperienza accumulata si avvicina alla Chacarita, incurante del pericolo che poteva comportare.
“Iniziò come una timida traccia su un muro silenzioso
dove il silenzio era routine e la storia dormiva senza volto né colore.
Eravamo pochi, portavamo sogni e barattoli di vernice,
con la fede che un pennello possa spostare le montagne, o almeno cuori induriti dalla routine.
Il primo murale è nato nella Piazza dei Diritti Umani,
come una bandiera che non sventolava al vento,
ma con memoria”. E il suo Es era felice…
