L’ibrido universo metropolitano che indaga sul destino dell’Uomo del Maestro Max Hamlet Sauvage

MAX col PAPPAGALLINO x
di Maurizio Nocera
Nella splendida sala delle Esposizioni della Casa degli Artisti B&B, contenitore d’arte e di accoglienza, che è «una casa-museo nel centro di Gallipoli e di fronte al mare, [dove] ogni stanza è dedicata ad un artista diverso e il maestro Giorgio De Cesario ha ricreato il periodo in cui ognuno di loro è vissuto», è stata inaugurata, il 12 aprile 2025 (resterà aperta fino al 4 maggio), la Mostra di 25 opere su L’ibrido universo metropolitano che indaga sul destino dell’Uomo del Maestro Max Hamlet Sauvage. Quella che segue è la presentazione di chi qui scrive.
Ibridazioni tra Uomo e Natura nell’immaginario simbolico di Max Hamlet Sauvage. Max Hamlet Sauvage è un artista neo surrealista pop a tutto tondo, cioè pittore, scultore, fotografo, installatore, incisore, vignettista, intarsiatore, grafico. Mi fermo qui, ma è ovvio, almeno per me, che egli è tante altre specificità artistiche e letterarie, fra cui anche critico e conoscitore profondo della storia dell’arte. In lui mi ha sempre sorpreso la capacità intrinseca di riconoscere immediatamente, a prima vista, un genere pittorico o scultoreo. Osservata per pochi minuti un’opera d’arte immediatamente sa risalire alla sua origine e ai contesti entro cui è nata ed è stata considerata.
Incredibili a pensarli, ma sorprendenti ad osservarli i suoi Omaggi ai grandi del Novecento, da quello di più antica data riferito a Giorgio De Chirico e alla sua arte Metafisica, a Roy Lichtenstein e alla sua Pop arte, infine, l’ultimo Omaggio, appena dell’altro ieri (2023), quello a Pablo Picasso e alla sua arte Cubista. In un incontro-intervista nel suo studio, l’artista mi riferisce che ha in preparazione un altro ciclo inedito, con un Omaggio al pittore surrealista Max Ernst, suo idolo da sempre venerato. Sono da ricordare anche alcune sue opere di matrice concettuale ispirate al suo animatore e inventore Marcel Duchamp, della corrente Dadaista con i suoi Ready-Mode, ma qui, Max Sauvage, con l’uso di oggetti quotidiani, le dà un significato di grande efficacia politica, della nostra drammatica società odierna sul destino dell’uomo contemporaneo. Vedi le opere: Il pane vale più dell’oro, La cena è servita, Il Presidente Hassan che fa una mattanza e uccide dei bambini innocenti, Cessate il fuoco, Cristo dilaniato dalle culture moderne, ecc. Queste opere denunciano i due conflitti di Ucraina/Russia e Israele/Palestina.
Max Sauvage è un pacifista e, come artista, non gli interessa l’arte della guerra, ma la pace che spera presto la fine di questi due conflitti. Viene da pensare che la pittura (ivi compresa la scultura e la fotografia) di Max Hamlet sia fondamentalmente legata a un realismo fantastico, e tuttavia è il suo intero mondo creativo che egli riesce a rappresentare in un movimento artistico che mi permetto di definire tipicamente hamlettiano, cioè un nuovo modo di vedere e fare arte che appartiene sì al mondo dei grandi Maestri del Novecento, ma che ha anche connotati nuovi, appunto hamlettiani.

Il suo mondo di ambienti metropolitani degradati sta tutt’intero dentro il suo modo di fare arte pop, ma sta dentro pure – e soprattutto – a quel suo mondo zoomorfico che lo ha sempre caratterizzato e che egli continua ad amare, nonostante l’ultima sua sperimentazione in nuovi spazi acquatici e paesaggistici. Tuttavia è rimarcare quello che egli ha sempre ribadito di se stesso: «ciò che mi interessa di più non è la natura morta, né il paesaggio, ma la figura umana; solo essa mi consente di esprimere al meglio il mio sentimento nei suoi aspetti antropologici, psicologici e sociali, tra il sacro e il profano».
Negli ultimi tempi Max Hamlet Sauvage va dicendo che si sente uno zoo. Poteva essere altrimenti?, dopo decenni di esseri umani raffigurati con dei corpi bellissimi e con le teste di rapaci, altri volatili e comunque altri tipi di bestie selvatiche. È chiaro che le sue figure erotico-zoomorfiche sono metafore del mondo in cui viviamo, un mondo di violenza e di barbarie. Si pensi alle guerre scoppiate in questi ultimi tempi tra la Russia e l’Ucraina, tra Israele e Palestina. Su tutto ciò, egli, cioè Max Hamlet Sauvage, grida, urla (si pesi all’Urlo di Munch) contro il degrado irreversibile della coscienza umana; urla contro il potere delle multinazionali, urla contro la sopraffazione degli Stati che si arrogano il ruolo di gendarmi del pianeta. Contro tutto ciò egli urla e combatte. Combatte con le sue armi, che sono le armi dell’arte, della pittura, della scultura, della fotografia. Il suo sembra veramente uno zoo di figure umane, soprattutto quelle sul versante dell’erotismo che, davanti al crollo coscienziale dell’umanità e alla violenza dei poteri, fanno sperare in un domani di gioia orgasmica e alla trance liberatrice.
Ha scritto che «è sempre la figura dell’essere umano che sta al quid del “sogno dipinto e scolpito”. I miei personaggi si confondono con la realtà [che con il mito e l’utopia formano la triade del surrealismo storico], nella quale i destini degli esseri umani sono in bilico tra la tragedia e la farsa».
Ecco. In questa sua massima è inoculato il concetto di ibridazione, parola che ha a che fare con i procedimenti di combinazione matematica, ma che egli trasferisce nella sua arte onirico creativa per la gioia di vivere e nella trance liberatrice.
Questo è quanto nella Presentazione dell’Invito, tuttavia mi piace aggiungere ancora qualche altra nota. In primo luogo quanto lo stesso Max Hamlet ha scritto di se stesso durante l’inaugurazione della Mostra. E cioè che egli si chiama «Amleto Massimo all’anagrafe, ed è nato a Gallipoli nel 1950. Dagli anni ’70 ho adottato l’epiteto di Max Hamlet Sauvage, come pseudonimo, con cui firmo le mie opere fino ad oggidì./ La mia ispirazione e il mio percorso artistico sono iniziati nel lontano 1960 quando, da ragazzo, prendevo le matite colorate per disegnare. Dipinsi il primo lavoro su tavoletta: un gatto stilizzato e, quando mia nonna mi portava alla spiaggia della Purità di Gallipoli, sulla battigia, modellavo delle sculture con la sabbia./ Da ragazzo, all’età di 10 anni, non conoscevo l’arte contemporanea e non avevo mai sentito parlare del pittore Pablo Picasso, né tantomeno della pop-art americana e quella britannica nata nel 1958. Ho respirato l’odore del colore all’età di 15 anni. […] L’arte è essenzialmente il tentativo perpetuo dell’uomo nel corso dei secoli di lasciare un segno della propria esistenza. Essa rappresenta una forma di comunicazione che imprime una traccia nella società, catturando un momento fugace di presenza segnando il passaggio dell’individuo. […] Nelle opere che presento qui c’è ironia e seduzione con l’eros, e una velata critica sociale nelle mie metafore surreali, che mettono in luce le contaminazioni di un mondo borghese, di una società opulenta con i suoi perversi e a volte violenti meccanismi nella condizione umana e dei popoli, cioè di un disagio sociale e culturale. Abbiamo bisogno di pace, libertà e democrazia. […] Io auspico un mondo di pace tra i popoli per le ingiustizie sociali nel mondo, dove c’è un’opulenta ricchezza ma anche tanta povertà. […] Io sono libero come un’aquila che vola verso orizzonti infiniti. […] L’uomo di oggi vive un decadentismo spirituale dell’apparire più che dell’essere./ Le mie metafore zoo-antropomorfe metropolitane, in chiave ornitologica, mirano a classi sociali precise e denunciano il ciarpame odierno, spero con ironia e sarcasmo, la cronaca quotidiana dell’attuale società industrializzata, in preda alla catastrofe delle nevrosi collettiva dei potenti. La mia arte non ha confini geografici e spero che spingerà l’umanità a riflettere. L’arte, la bellezza e la cultura salveranno il mondo per un nuovo umanesimo, per la pace universale».

Mi sono permesso questa lunga citazione del manoscritto inedito di Max Sauvage perché trovo che le sue dichiarazioni siano quanto mai pertinenti e oggettivamente calzanti con quanto di mostruoso stiamo vivendo in questo momento.
Max Hamlet Sauvage, affabulatore dell’inconscio, intrigante stratega di atmosfere da sogno, appartiene alla stagione del surrealismo storico, il movimento d’avanguardia nato nel 1924 a Parigi con il poeta André Breton, ma egli ama definirsi precursore di un neo-surrealismo pop. Di sé stesso dice spesso di sentirsi aquila che vola negli spazi infiniti tant’è che egli vorrebbe far volare tutti, volare e sempre più volare verso l’immensità. Mi piace chiudere questo testo proprio con un monologo dell’artista che dice: «siamo tutti creature della Terra, ricchi e poveri, nell’infinita maestà del pianeta. Sei pervaso dalla felicità per tutta la bellezza del Creato nel mistero dell’universo. L’arte rende tangibile la materia di cui sono fatti i sogni: la vita è surrealista, ma i sogni e le speranze ci aiutano a vivere meglio. Un’opera può avere un’anima perché ha il magico tocco di provocare una reazione nell’osservatore, nella sua dimensione umana, non solo quando dormo e sogno. Sognare significa dare vita alla fantasia subcoscienziale del proprio alter-Ego, e la sua vera arte è la democrazia (cioè libertà), quindi una pillola per curare l’anima del mondo».
