L’illusione del bestseller: quando l’editoria premia il nome, non il libro
di Pompeo Maritati
L’estate 2025 ha confermato un trend ormai consolidato: i dieci libri più venduti appartengono, senza eccezione, alle grandi case editrici. Nomi altisonanti come Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Rizzoli e La nave di Teseo dominano le classifiche, come se il talento letterario fosse un’esclusiva dei loro cataloghi. Ma è davvero così? O siamo di fronte a un’industria culturale che ha smesso di cercare e ha iniziato a confezionare?
Il libro come prodotto: la macchina mediatica
Oggi, più che mai, il successo editoriale è spesso il risultato di una strategia di marketing ben oliata. Gli autori che scalano le classifiche non sono necessariamente i migliori scrittori, ma i più visibili. Appaiono in TV, conducono programmi, sono influencer, opinionisti, ex politici o personaggi dello spettacolo. Il libro diventa un’estensione del personaggio, un gadget narrativo da esibire più che da leggere. Le grandi case editrici, forti di risorse economiche e canali promozionali capillari, investono su nomi già noti, riducendo il rischio d’impresa. Il libro si vende prima ancora di essere letto, perché si vende l’autore, non l’opera. È il trionfo del brand sull’arte.
In questo scenario, le piccole e medie case editrici faticano a emergere. Non per mancanza di qualità, ma per assenza di visibilità. I loro autori, spesso esordienti o outsider, non hanno accesso ai salotti televisivi né alle prime pagine dei giornali. I loro libri non vengono spinti nei grandi store, non godono di campagne pubblicitarie milionarie, e raramente trovano spazio nei festival letterari più blasonati.
Eppure, proprio tra queste realtà minori si annidano le voci più originali, le penne più coraggiose, le storie più autentiche. Ma chi le leggerà, se nessuno le vede?
E poi c’è l’autopubblicazione, il grande rimosso dell’editoria italiana. Guardata con sospetto, spesso derisa, quasi mai recensita, è considerata un sottobosco di dilettanti. Ma è davvero così? Certo, l’assenza di un filtro editoriale può generare opere acerbe o trascurate, ma generalizzare è ingiusto. Tra gli autori indipendenti si trovano voci potenti, idee innovative, stili freschi. Solo che mancano di legittimazione.
Il problema non è la qualità, ma la percezione. L’autore autopubblicato è invisibile per la critica, per i media, per le librerie. Eppure, in un’epoca in cui si celebra la disintermediazione in ogni campo, l’editoria resta ancorata a un sistema gerarchico e autoreferenziale.
Questa dinamica ha un costo: l’appiattimento dell’offerta culturale. Se leggiamo solo ciò che ci viene imposto dai riflettori, perdiamo la possibilità di scoprire nuove voci, di essere sorpresi, di crescere come lettori. La letteratura diventa intrattenimento di massa, e il libro un oggetto di consumo come un altro.
Forse la soluzione sta nel recuperare il gusto della scoperta. I lettori più curiosi, i librai indipendenti, i blog letterari, i circoli di lettura possono diventare gli esploratori di un continente sommerso. Serve una nuova alleanza tra chi scrive per passione e chi legge per amore, al di là delle copertine patinate e dei nomi in grassetto.
Perché, come ben sappiamo, anche tra le “mezze cartucce” si nasconde a volte la polvere da sparo della grande letteratura. Basta solo accendere la miccia giusta.