L’imbecillità del XXI secolo: armi, guerra e la sottomissione della politica alle lobby

Il XXI secolo, che avrebbe dovuto rappresentare l’era della consapevolezza, del progresso e della ricerca della pace, si sta rivelando un’epoca di imbecillità collettiva senza precedenti. Un mondo sempre più votato al riarmo, alla guerra, all’incremento delle tensioni internazionali e all’asservimento delle politiche nazionali agli interessi di poche lobby economiche. Invece di perseguire la via della diplomazia e della cooperazione, le potenze mondiali preferiscono armarsi fino ai denti, pronte a scatenare conflitti in ogni angolo del pianeta.
Non si tratta di una strategia casuale, ma di un piano ben congegnato da chi trae profitto dai conflitti. Le guerre moderne non sono più dettate da ideologie o dalla difesa di valori, ma da interessi economici e finanziari. Le lobby che dominano il settore bellico prosperano grazie a una politica asservita ai loro scopi, che prima fomenta le tensioni, poi fornisce le armi per i conflitti e infine si occupa della ricostruzione, tutto a spese dei cittadini. Il ciclo è sempre lo stesso: prima si distrugge, poi si ricostruisce, ma chi paga il prezzo? I governi stornano fondi dai servizi sociali, dall’istruzione, dalla sanità e dalle infrastrutture per alimentare una macchina bellica insaziabile. Intanto, i cittadini subiscono l’erosione progressiva del loro benessere, mentre una ristretta cerchia di industriali e finanzieri accumula ricchezze incalcolabili.
La politica, che dovrebbe essere il baluardo della democrazia e il mezzo per garantire il benessere collettivo, si è ridotta a un burattino nelle mani delle lobby. I governi non sono più espressione della volontà popolare, ma esecutori di strategie dettate da gruppi di potere privati. Il concetto stesso di sovranità nazionale si svuota di significato quando le decisioni non vengono prese nell’interesse dei cittadini, ma in base agli ordini imposti da chi finanzia le campagne elettorali e controlla le risorse economiche globali. La nuova presidenza Trump rappresenta l’esempio più lampante di questa sottomissione della politica agli interessi di pochi. Con un’agenda politica costruita attorno al potenziamento militare, al rafforzamento delle industrie belliche e alla riduzione degli investimenti sociali, Trump non fa altro che confermare il totale asservimento della politica statunitense alle grandi lobby dell’industria delle armi e della finanza. Non che prima ne fosse stata scevra!
In questo scenario, la ricerca della pace è ormai considerata un’utopia, un’ingenuità riservata a pochi idealisti. I leader mondiali, invece di lavorare per il dialogo e la stabilità, alimentano un clima di paura e insicurezza che giustifica il continuo aumento delle spese militari. Le istituzioni internazionali, teoricamente nate per garantire la pace, sono impotenti di fronte a un mondo in cui la diplomazia è stata sostituita dal ricatto economico e dalla forza militare. Per invertire questa tendenza autodistruttiva, la politica dovrebbe riappropriarsi del suo ruolo originale: essere al servizio della collettività e non degli interessi privati. Ciò significa liberarsi dall’influenza delle lobby, tornare a investire in istruzione, sanità, ricerca e cooperazione internazionale. Significa ridurre gli investimenti nelle armi e destinarli alla costruzione di un futuro migliore per tutti.
L’imbecillità del XXI secolo risiede nell’incapacità di comprendere che il vero progresso non si misura in missili e carri armati, ma nella capacità di costruire società più giuste, solidali e pacifiche. Se la politica continuerà a essere schiava delle lobby della guerra, il destino dell’umanità sarà segnato da un ciclo infinito di distruzione e ricostruzione, in cui solo pochi privilegiati prosperano mentre il resto del mondo paga il prezzo delle loro scelte scellerate.
Riscoprire il valore della pace non è solo un dovere morale, ma una necessità per la sopravvivenza dell’umanità. La politica deve tornare a essere lo strumento per garantire un futuro migliore, anziché il mezzo con cui pochi speculatori continuano a sfruttare le risorse del pianeta a proprio vantaggio.