Geometria sacra e rivelazione: la Madonna della Seggiola di Raffaello a Palazzo Pitti. Gli itinerari dell’anima in “R-estate con l’Arte”

Geometria sacra e rivelazione: la Madonna della Seggiola di Raffaello a Palazzo Pitti. Gli itinerari dell’anima in “R-estate con l’Arte” (foto Wiki)
di Simona Mazza
La Madonna della Seggiola di Raffaello, esposta nella Galleria Palatina, attraversa i secoli come immagine generativa e sigillo del sacro. Inserita nel ciclo “R-estate con l’Arte”, l’opera viene ora interrogata non come reliquia rinascimentale, ma come nodo simbolico di genealogie sapienziali e tensioni escatologiche. La sua circolarità non è ornamento, ma architettura del mistero: la maternità, la contemplazione, l’attesa, l’eternità
Un’armonia assoluta oltre il sacro: la Madonna della Seggiola

L’opera, una tavola tondeggiante (diametro 71 cm) dipinta a olio su legno fu realizzata da Raffaello Sanzio attorno al 1513-1514, in un periodo in cui l’artista, giunto ormai all’apice della sua maturità romana, guardava oltre la rappresentazione del sacro per tentare una visualizzazione assoluta dell’armonia.
Secondo questa chiave interpretativa, la forma circolare non è accessoria. Non è soltanto il formato domestico delle tavole da camera, ma l’allegoria stessa della pienezza, del cosmo, dell’unità indifferenziata in cui tutto inizia e tutto si conclude. In pratica, il tondo – figura perfetta per eccellenza – accoglie la triade sacra in una spirale che si compie dalla preghiera di Giovanni alla carne viva del Bambino, passando per l’abbraccio sapienziale della Vergine. È un ventre iconico, grembo teofanico che partorisce lo sguardo contemplante. Ma esaminiamo attentamente il dipinto.
Maria, trono e grembo della Sapienza
Maria siede su una sedia camerale, simbolo pontificio, trono dell’autorità dottrinale e seggio della verità ispirata. Non è una sedia qualsiasi, ma l’oggetto che, nel cerimoniale vaticano, sostiene il Papa nel momento in cui annuncia l’infallibile. Collocando Maria su tale trono, Raffaello opera una sorta di “traslazione mistica”: la Theotokos non è soltanto Madre, ma Cattedra, Sedes Sapientiae, principio ecclesiogenetico. Lei stessa è la Chiesa, il luogo sacro dove il Logos si fa carne, il grembo visibile dell’Invisibile.
Teologia dei colori e delle stoffe
Il suo abbigliamento, sontuoso e stratificato, si fa teologia visiva. La tunica rossa parla della natura umana, del sangue e della carne, della maternità terrena. Il manto azzurro, steso sopra, è simbolo della divinità che avvolge, della grazia che penetra, della presenza celeste che la trasfigura. Ma è lo scialle frangiato sulle spalle a concentrare i significati più profondi. La sua tessitura a bande richiama con precisione lo tallìt, scialle rituale della preghiera ebraica. Le frange, tzitzit, che pendono dal bordo, evocano il precetto mosaico del Deuteronomio («Metterai delle frange alle quattro estremità del mantello con cui ti copri» – Dt 22,12). Esse sono legame visibile con il Nome ineffabile. In pratica, la loro struttura – composta da nodi e fili intrecciati secondo una tradizione numerica precisa – allude ai 613 precetti della Torah, mentre i nodi stessi, intrecciati secondo sequenze rituali, evocano il Tetragramma sacro, la parola impronunciabile che custodisce l’essenza del divino.
Tra Torah e Sibille: la Donna dell’Alleanza
Maria, in questo modo, appare come autentica figlia di Sion, la Donna dell’Alleanza, la Vergine dell’attesa, colei che realizza in sé l’adempimento delle promesse e la custodia della Legge. Su di lei convergono le attese di Israele e le profezie del mondo pagano.
La sciarpa arrotolata intorno al capo, simile a un turbante, richiama l’iconografia della Sibilla, figura oracolare dell’antichità classica. Queste profetesse ispirate dal divino avevano annunciato – nei testi trasmessi dalla tarda latinità e dalla cultura umanistica – la nascita di un Salvatore destinato a redimere il mondo. L’iconografia cristiana medievale e rinascimentale le aveva già assimilate al coro dei profeti veterotestamentari. Maria, novella voce oracolare, si mostra qui quale punto di incrocio tra le sapienze: quella ebraica, fondata sulla Legge e sul Nome; quella greco-pagana, fondata sull’intuizione profetica; quella cristiana, fondata sull’incarnazione del Verbo. Il suo silenzio è denso di Logos.
Il Bambino giallo e il seme della Croce
Il Bambino Gesù, rannicchiato nel suo grembo, indossa una veste gialla, colore che nel medioevo e in età moderna fu spesso usato per distinguere gli ebrei, ma che nel linguaggio simbolico rinascimentale allude alla transizione, alla soglia tra due stati dell’essere. Cristo non è ancora l’Uomo del dolore, ma già contiene in sé il seme della Croce. Il suo piccolo gomito, emergente come punto focale della composizione, è l’angolo visibile della pietra angolare rifiutata dai costruttori (Salmo 118), il punto di appoggio della Chiesa intera.
Una spirale materna, tra amore e presagio
Il gesto con cui Maria lo stringe, contenendone i movimenti, sembra volere trattenere l’inevitabile. Le sue braccia e le sue gambe creano una spirale che lo avvolge, un ultimo rifugio prima del tempo storico. I piedi del Bimbo, scalcianti, paiono desiderosi di uscire nel mondo, di incarnare il suo destino. La madre, consapevole, lo trattiene con tenerezza – gesto che dice, insieme, amore e presagio.
Giovanni, piccolo profeta del martirio
Accanto a loro, Giovanni Battista, ancora infante, si stringe le mani in un gesto di preghiera. La sua tunica di pelo di cammello e la piccola croce preannunciano il martirio, la vocazione profetica. È il precursor, colui che prepara la via.
Quanto alla disposizione triangolare tra Giovanni, Maria e Gesù, riprende la Deësis bizantina: la supplica intercessoria che pone ai lati del Cristo, Giudice e Salvatore, la Madre e il Profeta. Ma qui non si tratta di giudizio, bensì di umanissima tenerezza. Il Giudice è ancora infante, la Chiesa è ancora madre, la Parola è ancora carne tremante.
Lo sguardo che invita, lo sguardo che sa
Il volto di Maria guarda lo spettatore. Lo interroga, ma senza durezza. La sua espressione è di infinita misericordia, come se volesse coinvolgere chi osserva in quel gesto d’amore, rendendolo partecipe del mistero, parte della scena. Lo sguardo di Cristo, invece, è assente, rivolto lontano. Sa, ma tace. Porta negli occhi la visione del Golgota. Solo Giovanni guarda dentro la scena, unisce i fili, come testimone e profeta.
Preghiera visiva
Il tondo stesso, destinato forse a una camera nobiliare, amplifica la sacralità intima della scena. Raffaello costruisce una perfezione chiusa, ma non claustrofobica: ogni curva parla al subconscio, ogni rotazione visiva si tramuta in preghiera silenziosa. Non vi è spazio per il superfluo. La Madonna della Seggiola è icona e parola, grembo e libro, visione e soglia.
Epifania da interiorizzare
Chi entra nella Galleria Palatina e si arresta dinanzi alla Madonna della Seggiola, non è un semplice visitatore, ma un viandante dello spirito, chiamato a leggere una scrittura composta di luce, carne e silenzio.
L’opera, così, non si limita a essere osservata: si lascia attraversare come una soglia, abitare come una visione, meditare come un mistero custodito.
Così, tra i riflessi dorati delle cornici e il chiaroscuro delle sale medicee, una madre silenziosa, un bambino incarnato e un giovane veggente, scolpiti in una perfezione pittorica disarmante, raccontano – senza parola – la storia eterna della speranza, del dolore e della salvezza.
Non è solo pittura: è icona escatologica, ventre cosmico, profezia in forma visibile.
La forma è tonda, ma ciò che contiene è l’Infinito fattosi carne.
E Maria, in quell’istante sospeso, non è soltanto figura: è Arca, è Cattedra, è Aurora dell’ultimo giorno.
R-estate con l’Arte 2025
“R-estate con l’Arte” è il titolo dell’iniziativa estiva promossa dalle Gallerie degli Uffizi, che valorizza i capolavori fiorentini attraverso un calendario di approfondimenti, percorsi tematici e aperture speciali. Alla Galleria Palatina, in particolare, il programma include letture simboliche delle opere, incontri tra discipline, visite guidate in orario serale e itinerari sensoriali nel Giardino di Boboli e nel Tesoro dei Granduchi. L’obiettivo non è solo vedere, ma sostare. Non soltanto conoscere, ma lasciarsi toccare dalla presenza viva dell’arte.
Fonte
Ars Europa Team
Galleria degli Uffizi