IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Mai più dietro: l’inganno glorificato della sottomissione femminile

Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna

Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna

di Pompeo Maritati

Quella frase Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna ha attraversato il tempo come una sentenza compiaciuta, a tratti quasi galante, rivestita di apparente rispetto, e invece profondamente intrisa di un maschilismo tanto subdolo quanto radicato. Non si tratta solo di parole. Si tratta della rappresentazione di un intero ordine simbolico, sociale, culturale e psichico, che ha posto per secoli la donna dietro, e mai accanto, mai davanti, mai autonoma nel suo esserci, nel suo valere, nel suo realizzarsi. Quel “dietro” non è neutro: è una collocazione gerarchica, una posizione subordinata, un ruolo ancillare. È la conferma di un mondo in cui la donna è presenza funzionale alla grandezza maschile, mai protagonista di una propria narrazione.

Dal punto di vista filosofico, questa frase è figlia di una lunga genealogia del pensiero che ha storicamente escluso il femminile dalla sfera del Logos, della ragione, dell’autonomia. Dai Greci in poi, l’uomo è stato definito come zoon logon echon, l’animale dotato di parola, e quindi degno di partecipare alla polis, alla decisione, al potere. La donna, al contrario, è stata descritta come priva di questa pienezza razionale, legata alla natura, al corpo, alla riproduzione, dunque confinata in una domesticità silenziosa, utile sì, ma invisibile nella storia. La grandezza dell’uomo, dunque, si è costruita su un’assunzione implicita: che qualcuno si prendesse cura del mondo affinché egli potesse dedicarsi al pensiero, alla guerra, all’arte, al comando. Dietro a Socrate, Platone, Aristotele, Cesare, Napoleone, Kant, Churchill, non si racconta mai chi ha cucinato, allevato i figli, preparato i bagagli, lavato i panni, curato gli anziani. Il maschile si è potuto pensare come soggetto universale perché ha avuto un femminile che lo ha sostenuto nell’ombra. Ma anziché riconoscere questo come atto di sfruttamento, lo si è celebrato come atto di dedizione, rendendolo persino romantico. Ecco allora che il “dietro” diventa non solo un luogo, ma un destino.

In chiave sociologica, questa affermazione legittima una divisione dei ruoli che ha inciso profondamente sull’organizzazione delle società moderne. L’uomo come produttore, la donna come riproduttrice. L’uomo visibile nello spazio pubblico, la donna relegata a quello privato. Il successo, l’autorità, il prestigio, la memoria storica: tutte categorie declinate al maschile, mentre al femminile spettavano il sacrificio, la silenziosa abnegazione, il supporto devoto. Dire che una donna è “dietro” un grande uomo è un modo per riconoscerle un valore condizionato, derivato, mai pienamente proprio. È il trionfo dell’asimmetria come norma. La società patriarcale non ha solo distribuito il potere in modo iniquo, ha costruito un immaginario in cui la stessa grandezza femminile doveva manifestarsi solo in relazione all’uomo. Non è un caso se per secoli le donne famose sono state le mogli di, le madri di, le muse di. Anche le più grandi,  da Madame Curie a Simone de Beauvoir, da Rosa Luxemburg a Virginia Woolf,  sono state a lungo raccontate nella misura in cui avevano legami con uomini influenti. L’affermazione in questione è dunque l’eco ideologica di una società che ha interiorizzato la subordinazione come normalità.

Sul piano psicologico, la frase contiene una trappola più sottile e forse ancor più dannosa: la costruzione di un’identità femminile fondata sulla dipendenza affettiva e funzionale. La donna, per essere riconosciuta come “grande”, deve esserlo per qualcun altro, mai per se stessa. La sua autostima, la sua dignità, persino la sua identità, vengono legittimate solo attraverso l’effetto che producono sul partner, sul marito, sull’uomo che rappresenta il successo visibile. Questa dinamica crea, nei percorsi individuali delle donne, ferite profonde: la convinzione che amare significhi annullarsi, che sostenere significhi sacrificarsi, che la forza consista nella rinuncia. E la società ha rafforzato queste dinamiche con narrazioni tossiche, raccontando l’abnegazione come virtù e la sottomissione come amore. Così, generazioni intere di donne hanno imparato a mettere da parte i propri desideri, le proprie ambizioni, la propria luce, per non disturbare quella maschile. Hanno imparato a stare dietro, non per indole, ma per sopravvivenza. Perché ogni tentativo di mettersi davanti è stato punito con l’esclusione, il ridicolo, l’ostracismo, quando non con la violenza. Dire che una donna è “dietro” un grande uomo significa inchiodarla per sempre a una posizione che non le appartiene, ma da cui ha faticosamente cercato di emanciparsi. Oggi, in un tempo che tenta faticosamente di ridefinire i rapporti tra i generi, quella frase appare anacronistica, ma non è innocua. È il sintomo di un pensiero che ancora resiste, anche in forme nuove e apparentemente innocue. È l’idea che la grandezza femminile sia sempre in funzione di qualcosa o qualcuno, mai fine a se stessa. Che l’identità della donna sia sempre relazionale, mai originaria. Che il valore passi ancora attraverso la mediazione maschile. Questo pensiero non si dissolve con l’istruzione, né con l’indipendenza economica. È radicato nei gesti, nel linguaggio, nelle aspettative inconsce, nei copioni familiari, nelle fantasie collettive. E per estirparlo occorre denunciarlo, smascherarlo, sostituirlo con altri racconti, altre immagini, altre parole.

Occorre dire, con forza e chiarezza, che una donna non deve stare dietro nessuno per essere grande. Che la sua grandezza non si misura per riflesso, ma per radice. Che può essere grande da sola, con altri, accanto ad altri, o persino scegliendo di non essere mai grande, se questo le impedisce di essere pienamente sé stessa. Occorre spostare lo sguardo. Non più sul dietro, ma sull’insieme. Non più sulla dipendenza, ma sulla co-creazione. Non più sulla complementarità forzata, ma sulla libertà di esserci, pienamente, come soggetti autonomi, pensanti, desideranti.

La verità è che l’umanità non ha bisogno di grandi uomini con donne dietro. Ha bisogno di uomini e donne che stiano insieme davanti alla vita, condividendo il cammino senza ruoli prestabiliti, senza gerarchie occulte, senza copioni imposti. Solo così potrà nascere una nuova civiltà, dove le frasi del passato non siano più citazioni da ripetere, ma moniti da superare. Dove la grandezza non sia più attribuita in base alla posizione, ma alla qualità della presenza. E dove, finalmente, nessuno debba più stare dietro per permettere a qualcun altro di brillare.

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