IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Malinconia – Un sentimento che il mondo moderno cerca di cancellare

La malinconia

di Rodopi di Menfi

La malinconia è un sentimento che il mondo moderno tenta ostinatamente di cancellare, come se fosse un errore di sistema, una disfunzione emotiva da correggere. Eppure, essa resiste, silenziosa e profonda, come una corrente sotterranea che attraversa le coscienze, i ricordi, le pause del vivere. Non è tristezza, non è depressione, non è dolore acuto: è una tonalità dell’anima, una vibrazione sottile che ci accompagna nei momenti di riflessione, nei tramonti che sembrano parlare, nei silenzi che non chiedono nulla. La società contemporanea, fondata sull’efficienza, sulla velocità, sulla produttività, non ha spazio per la malinconia. Essa è vista come una debolezza, un ostacolo, una deviazione dal percorso lineare verso il successo e la felicità.

Le aziende promuovono il benessere, ma lo intendono come assenza di conflitto interiore, come serenità performativa. I social media ci spingono a mostrare solo il lato vincente della nostra esistenza, a nascondere le crepe, a censurare le ombre. La medicina, dal canto suo, tende a patologizzare ogni sfumatura di tristezza, trasformando la malinconia in sintomo, in disturbo, in qualcosa da curare. Ma la malinconia non è una malattia: è una forma di conoscenza, una lente attraverso cui osservare il mondo con maggiore profondità. Essa ci insegna a rallentare, a sostare, a pensare. Ci mette in contatto con il tempo, con la sua irreversibilità, con la sua densità. Ci ricorda ciò che abbiamo perso, ma anche ciò che abbiamo amato.

È un sentimento che ci rende più empatici, più capaci di ascolto, più vicini agli altri. Nella malinconia c’è memoria, c’è storia, c’è consapevolezza. Essa ha radici antiche: nell’antichità era uno degli umori fondamentali del corpo umano; nel Rinascimento era associata al genio creativo; nel Romanticismo diventava la cifra dell’anima sensibile, capace di cogliere la bellezza tragica del mondo. Oggi, invece, è relegata ai margini, come un residuo emotivo da superare. Questa trasformazione riflette un cambiamento profondo nella nostra visione dell’essere umano: da soggetto contemplativo a consumatore instancabile di esperienze. La malinconia, che non si presta al consumo né alla spettacolarizzazione, viene espulsa dal discorso pubblico.

Eppure, rivalutare la malinconia non è solo un gesto personale, ma anche politico. Significa opporsi a una cultura che ci vuole sempre attivi, sempre felici, sempre connessi. Significa rivendicare il diritto alla complessità emotiva, alla lentezza, alla memoria. In un mondo che ci spinge a dimenticare, la malinconia ci invita a ricordare. Forse è tempo di smettere di combatterla, e iniziare ad ascoltarla. Essa non ci chiede di rinunciare alla gioia, ma di accettare la sua assenza come parte del cammino. Non ci chiede di chiuderci nel dolore, ma di riconoscere che anche il dolore ha una sua dignità, una sua verità.

La malinconia è il contrario dell’indifferenza: è attenzione, è cura, è profondità. È il sentimento che ci rende umani, che ci ricorda che non siamo solo produttori di contenuti, ma esseri fragili, pensanti, capaci di sentire. In un mondo che ci vuole invulnerabili, la malinconia ci restituisce la nostra vulnerabilità come valore. E in questa vulnerabilità, forse, c’è la possibilità di un nuovo inizio.

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