Mediterraneo “in quota”: ad Arcinazzo un’estate di eventi tra pietra, linfa e tracce imperiali

Arcinazzo tra flora, fauna, eventi, cascatelle e molto altro (Foto di Federico Lioi)
di Simona Mazza
Tra Lazio e Ciociaria, gli Altipiani di Arcinazzo disegnano una geografia carsica che sfugge alle definizioni immediate: non un semplice luogo di villeggiatura, ma uno spazio mentale, storico e naturale da leggere con attenzione. Quest’estate, oltre a offrire silenzi fossili e tracce imperiali, l’altopiano diventa anche spazio di esperienze culturali e sensoriali. Fra le iniziative più rilevanti si segnalano, un incontro di Forest Therapy con laboratorio sui fiori di Bach, e a luglio una passeggiata faunistica guidata con l’interazione diretta con la poiana addestrata “Lola”. Conosciamo qesto sistema altimetrico, sospeso tra geologia, memorie imperiali e una fitta vegetazione
Vivere il paesaggio ad Arcinazzo

Il primo appuntamento, il 22 giugno, propone una mattinata di Forest Therapy guidata da operatori esperti e una sessione di autoproduzione di rimedi ispirati ai fiori di Bach. Il luogo scelto – una radura boscosa sul crinale dell’altopiano – diventerà spazio di respirazione collettiva, ascolto e immersione sensoriale. L’attività, che combina tecniche di consapevolezza ambientale, botanica e fitoterapia, invita a ristabilire un contatto profondo con la vegetazione nativa, e si chiuderà con la creazione di miscele personalizzate secondo i principi floreali di Bach.
Il secondo appuntamento, previsto per il 26 luglio, assume un tono diverso ma ugualmente suggestivo: una passeggiata faunistica con la poiana addestrata “Lola”, lungo sentieri a mezza costa dove la presenza del rapace, simbolo di visione e sorveglianza, si intreccia alla narrazione del paesaggio. La guida accompagnerà i visitatori tra boschi di carpino e faggeta, spiegando il comportamento degli uccelli rapaci e l’importanza del rispetto ecologico dei loro habitat.
Ad agosto, le iniziative si sposteranno verso una dimensione culturale diffusa: sono previste giornate dedicate al paesaggio narrato, con letture pubbliche in punti panoramici, performance poetiche informali, degustazioni di prodotti locali e installazioni artistiche temporanee fra le radure e le carbonaie. Ogni evento è pensato non come semplice intrattenimento, ma come occasione per riscrivere il rapporto tra corpo e territorio, tra lentezza e visione.
Più che una rassegna di eventi, si delinea un vero e proprio calendario esperienziale, in cui ogni attività diventa un modo per abitare il paesaggio e riscoprire il ritmo lungo delle stagioni. Ma per comprendere pienamente la ricchezza di questo altopiano, occorre fermarsi. E allora, conosciamolo meglio: tra le sue pietre, i suoi silenzi, la sua storia profonda.
Topografia e struttura geologica degli Altipiani di Arcinazzo
Gli Altipiani di Arcinazzo si trovano a cavallo fra le province di Roma e Frosinone, inseriti in un contesto geologico dominato dalla natura carsica del substrato calcareo mesozoico. La conca principale si colloca attorno agli 850 m s.l.m., ma l’intero sistema si innesta in un reticolo montuoso più ampio, che comprende le pendici dei monti Simbruini, Ernici e l’altura solenne del monte Altuino.
Le forme del rilievo si caratterizzano per la presenza di doline, inghiottitoi, campi solcati, e strutture erosive che raccontano il lento lavorio della natura in un lessico morfologico preistorico. Tra le cavità più note, spicca il Pozzo della Bufera, oggetto di esplorazione speleologica sistematica sin dagli anni Duemila.
Si tratta di una dolina di crollo a sviluppo verticale, con un imbocco poco visibile che si apre all’improvviso nel manto erboso, come una fenditura della terra stessa. Il pozzo scende per oltre trenta metri lungo pareti di calcare grigio chiaro, levigate dall’acqua e modellate in forme sinuose e stratificate.
La sua struttura è tipica dei paesaggi carsici dell’Appennino e presenta una morfologia interna ancora in fase di studio, con camere secondarie e ramificazioni che si diramano nel sottosuolo.
Intorno a questa cavità principale si sviluppano altre grotte ipogee, alcune raggiungibili solo con attrezzature specifiche, altre già rilevate ma non ancora esplorate completamente. Questi ambienti si distinguono per l’umidità costante, le basse temperature e la totale assenza di luce, condizioni che hanno permesso lo sviluppo di habitat unici.
Gli abitanti delle caverne
In essi vivono, ad esempio, organismi troglobi dal greco trôglē (caverna) e bios (vita) : esseri viventi che hanno compiuto un processo evolutivo radicale per adattarsi alla vita sotterranea. Privati di pigmentazione e spesso ciechi, questi animali presentano arti allungati e sensibilità esasperate al tatto e alle variazioni chimiche dell’ambiente.
Le specie troglobie rappresentano un raro esempio di specializzazione biologica, e la loro presenza costituisce un importante indicatore della stabilità ecologica delle grotte. Studiare questi organismi significa pertanto accedere a un archivio naturale di adattamenti millenari, che raccontano non solo la storia della vita sotterranea, ma anche l’equilibrio profondo che lega la superficie e il sottosuolo degli Altipiani di Arcinazzo.
Flora, fauna e habitat
Dal punto di vista ecologico, gli Altipiani di Arcinazzo si configurano come una zona di transizione ecotonale fra l’ambiente submediterraneo e quello subalpino. I boschi cedui di carpino nero, roverella e castagno cedono gradualmente il passo a fustaie di faggio, con inserti di abeti introdotti artificialmente nel primo Novecento per motivi paesaggistici e sperimentali dal biologo inglese Sir Walter Becker. Questi riconobbe nell’altopiano un microclima straordinario, affine a quello dolomitico, e ne fece un vivaio di acclimatazione arborea, i cui effetti si osservano ancora oggi.
Le praterie secondarie ospitano una flora di altissima biodiversità, con specie endemiche appenniniche quali Crocus imperati, Lilium bulbiferum, orchidee spontanee e rari esemplari di Daphne mezereum. L’area è altresì rifugio di farfalle rare, tra cui la Melanargia arge, la cui presenza ha contribuito a inserire il sito tra le zone di interesse comunitario.
La fauna è anch’essa ricca: oltre ai mammiferi più comuni (volpi, istrici, cinghiali), si segnalano presenze più elusive come la martora e l’allocco degli Urali, nonché numerose specie di chirotteri che abitano le cavità carsiche sotterranee. L’avifauna comprende rapaci come il biancone e la poiana, ma anche passeriformi rari legati ai margini forestali, come la tottavilla e il codirosso. E le meraviglie non finiscono qui.
Archeologia e stratificazione storica ad Arcinazzo
Tra le pieghe di questo paesaggio arcaico si annidano testimonianze straordinarie dell’età imperiale: la cosiddetta Villa di Traiano, situata nella parte più occidentale dell’altopiano, rappresenta un raro esempio di residenza imperiale montana, attribuita all’imperatore Marco Ulpio Traiano (regnante dal 98 al 117 d.C.). Costruita nei primi decenni del II secolo, la villa univa funzione produttiva e residenziale, in una concezione tipica della grande proprietà romana. Recenti scavi hanno messo in luce porzioni di pavimentazioni musive, resti di ipocausto per il riscaldamento e murature in opera reticolata, insieme a cisterne e strutture termali. L’intero complesso riflette la raffinata architettura dell’età traianea e la volontà di valorizzare paesaggi d’altura, non solo per la villeggiatura ma anche come luogo di rappresentazione del potere attraverso la monumentalizzazione del territorio. L’orientamento della villa suggerisce una precisa scelta visuale, che integrava l’architettura nel paesaggio, secondo un’estetica romana del “dominio armonico” sulla natura.
Accanto alle vestigia imperiali, l’altopiano conserva tracce di epoca preromana: reperti votivi, strumenti agricoli, testimonianze dell’antico popolo degli Equi, che abitava queste zone prima della loro romanizzazione nel III secolo a.C.
Arcinazzo, meta di pastori, pellegrini e viandanti
Nel Medioevo, Arcinazzo fu crocevia di pastori, pellegrini e viandanti lungo le direttrici tra Subiaco e Anagni, e diede vita a strutture di accoglienza e ristoro. Una delle più note fu la storica locanda di Meo Passeri, citata già in documenti del XVIII secolo come stazione di sosta per carrettieri, venditori ambulanti e viandanti. La figura di Meo Passeri, personaggio probabilmente reale, divenne nel tempo quasi leggendaria: la sua locanda fu ricordata per l’ospitalità semplice ma generosa, e per la posizione strategica che la rendeva riparo nelle giornate di neve o di vento. Questo passato di ospitalità diffusa si conserva nei toponimi e nella memoria orale delle famiglie del posto.
In età moderna, gli Altipiani furono contesi tra grandi famiglie baronali, e usati come retroterra agricolo e pastorale, con coltivazioni stagionali e transumanza. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il territorio, con le sue cavità, anfratti e fitte boscaglie, divenne rifugio temporaneo per truppe tedesche e per gruppi locali che vi trovarono riparo dai rastrellamenti e dai bombardamenti, lasciando dietro di sé tracce materiali e testimonianze raccolte ancora oggi nei racconti orali della comunità.
Percorsi e lettura del paesaggio
Numerosi i percorsi escursionistici, tra cui quelli che collegano la conca centrale con le alture circostanti o con l’altopiano di Campocatino. Gli itinerari consentono una lettura stratificata del paesaggio: i segni della silvicoltura razionale si affiancano alle radure pastorali, ai resti archeologici e ai passaggi dell’acqua carsica, che in certi periodi dell’anno riaffiora in forma di sorgenti effimere, rivoli temporanei o piccole cascatelle naturali. Queste ultime, spesso nascoste tra rocce muschiose, faggete e canaloni, sgorgano all’improvviso dopo abbondanti piogge o in seguito allo scioglimento delle nevi, animando brevi tratti del paesaggio con giochi d’acqua che scompaiono nel giro di pochi giorni.
Fra gli itinerari più suggestivi si segnalano l’anello Arcinazzo–Guarcino, l’ascesa al Monte Scalambra, il percorso che conduce a Campocatino e i sentieri secondari che risalgono le vecchie carbonaie o attraversano aree di interesse floristico e faunistico. Alcuni percorsi seguono il corso dei torrenti temporanei e permettono al visitatore di immergersi in ambienti mutevoli, tra pozze d’acqua limpida, vegetazione ripariale e tracce del passaggio animale.
Le cascatelle
Tra i luoghi più suggestivi da attraversare, non si possono non menzionare le cascate del fiume Aniene, nei pressi di Trevi nel Lazio. Raggiungibili con una passeggiata di media facilità dal cuore degli Altipiani, si presentano come una fenditura d’acqua che cade tra muschi e rocce levigate, confluendo in una vasca verde smeraldo. La presenza di corde per tuffarsi, gli spruzzi fini sospesi nell’aria e il contorno di felci e salici creano un piccolo teatro naturale che muta a seconda della luce e della stagione. Più che un’attrazione, è un’esperienza sensoriale: un punto d’incontro tra idrologia carsica e contemplazione, tra dinamismo e sospensione.
Prospettive scientifiche e ambientali
Arcinazzo è oggi al centro di interessi multidisciplinari: botanici, zoologi, climatologi, speleologi e archeologi dialogano attorno a un laboratorio naturale che offre spunti per l’osservazione dei cambiamenti climatici, la conservazione delle specie vegetali relitte e la valorizzazione dei paesaggi culturali. Qualche esempio?
L’introduzione dell’abete bianco da parte di Sir Walter Becker agli inizi del Novecento, inizialmente concepita come un’operazione sperimentale in ambito forestale, ha aperto una linea di ricerca tuttora attiva sul fronte dell’adattamento delle specie montane al cambiamento climatico. Gli esemplari piantati dal naturalista e forestale britannico, oggi parte integrante del paesaggio arboreo dell’altopiano, sono osservati per valutare la resilienza delle conifere autoctone e alloctone in contesti ecotonali e marginali.
Parallelamente, l’analisi delle popolazioni faunistiche, in particolare micromammiferi e chirotteri, fornisce dati preziosi sullo stato di salute dell’ecosistema e sulla continuità biologica tra i sistemi forestali del Lazio interno e quelli abruzzesi. Alcuni studi condotti sul campo hanno evidenziato la presenza stabile di specie indicatrici, tra cui il toporagno alpestre (Sorex alpinus) e varie specie di pipistrelli, la cui distribuzione è particolarmente sensibile alla qualità dell’ambiente.
Il microclima peculiare dell’area, contraddistinto da escursioni termiche marcate tra giorno e notte, elevata umidità nei sottoboschi e correnti d’aria costanti provenienti dai rilievi circostanti, è oggetto di monitoraggio nell’ambito di progetti europei legati al cambiamento climatico. Tali studi, condotti in collaborazione con l’Università “La Sapienza”, il Parco dei Simbruini, il CNR – Istituto di Ricerca sulle Acque e gruppi speleologici regionali accreditati come il Gruppo Speleo Subiaco, indagano l’evoluzione delle linee vegetazionali e la risposta delle comunità ecologiche alle variazioni ambientali, restituendo agli Altipiani un ruolo di rilievo nel dibattito scientifico sulla conservazione dei paesaggi montani appenninici.
Curiosità culturali e microclima
Tra le peculiarità del luogo, va segnalato il microclima montano, con escursioni termiche marcate che riproducono condizioni simili a quelle dolomitiche. Questo ha favorito non solo la biodiversità, ma anche l’interesse di artisti e scienziati del passato. Inoltre, gli Altipiani furono amati da intellettuali e celebrità del Novecento, come Audrey Hepburn, che qui trascorse numerose estati.
La zona ha pure ispirato suggestioni letterarie: Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia” (1957), descrisse gli Altipiani come “un angolo che respira un silenzio fermo, alpestre, come un altrove senza tempo”, riconoscendo in essi una dimensione di stasi meditativa e insieme di naturalezza integra, sfuggita alle grandi trasformazioni del Novecento.
Infine, anche il linguaggio cinematografico ha intercettato il potenziale evocativo di questo paesaggio. Il film horror “Pantafa”, diretto da Emanuele Scaringi e uscito nel 2022, è stato girato in parte proprio nei boschi degli Altipiani. Il film – ispirato a leggende popolari italiane sulla paralisi del sonno – ha utilizzato il paesaggio boscoso, umido e nebbioso come controcampo narrativo a un senso di minaccia ancestrale e perdita del radicamento, dimostrando come la natura stessa possa farsi protagonista emotiva e simbolica.
Insomma, ad Alcinazzo non c’è nulla di immediato: ogni sentiero richiede tempo, ogni segnale una decifrazione, ogni suono un ascolto lungo.
Non si viene qui per consumare un’esperienza, ma per lasciarsi scalfire. Così, in una stagione in cui la velocità inghiotte anche il paesaggio, questo luogo resiste con una geografia che costringe a rallentare lo sguardo e a scegliere: tra il gesto e la cura, tra l’attraversamento e la permanenza.

