IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Memento per per il Popolo Armeno (mamma li turchi) nella giornata del ricordo del massacro degli Armeni

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Armeni-genocidio-1915

Armeni-genocidio-1915

Di Paolo Vincenti

Oggi, 24 aprile, si ricorda il massacro degli Armeni compiuto dai Turchi nel 1915. Più nessuno può negare che sia stato un “genocidio”. E’ una triste pagina di storia del Novecento e si configura come una sorta di terribile preludio allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Nelle persecuzioni, persero la vita moltissimi armeni, anche se le cifre esatte sono sempre state materia di scontro fra gli studiosi. Fra la cifra di un milione e mezzo di cui parlano gli Armeni e i cinquecentomila dichiarati dal governo turco, la verità dovrebbe stare nel mezzo, così si credeva, e dunque fino ad ora si è parlato di ottocentomila morti.

Oggi, lo studioso turco Taner Akçam, col suo libro Killing Orders. I telegrammi di Talaat Pasha e il genocidio armeno (Milano, Guerini e Associati, 2020), ha dimostrato attraverso una dettagliatissima analisi l’esattezza della cifra di 1.500.000 di vittime. Lo scrittore, inviso al regime di Ankara, lavorando su documenti originali e inediti, ha dato con quest’opera una definitiva spallata al negazionismo che per troppi anni ha circondato la vicenda armena. Lo storico turco è stato ospite di un convegno on line organizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, intitolato “Armenia. Un genocidio infinito”. L’incontro, organizzato da Aldo Ferrari, docente di lingua e letteratura armena, si è svolto ieri l’altro, 22 aprile, e vi hanno partecipato la scrittrice Antonia Arslan, la cui famiglia è stata quasi interamente sterminata durante il genocidio, autrice del best seller La masseria delle allodole; Ugo Volli (Università di Torino) filosofo e antropologo che ha curato nel 2015, centenario del genocidio, il libro Il genocidio infinito,  da cui prendeva il titolo l’incontro, e Giulia Lami (Università Statale di Milano)  che ha presentato il libro di Taner Akçam, che dimostra l’autenticità dei documenti con i quali i Giovani Turchi ordinarono la deportazione e il massacro degli armeni e conferma l’intenzionalità del genocidio.(Fonte: www.unive.it)

In realtà, gli Armeni erano perseguitati già dall’Impero ottomano nell’Ottocento. Ma nel periodo immediatamente precedente la Prima Guerra Mondiale, precisamente nell’aprile del 1915, iniziò una lenta ma decisa oppressione, all’inizio solo nei confronti degli intellettuali armeni, che vennero deportati in Anatolia e massacrati; successivamente, la persecuzione si allargò a tutta la popolazione, da sempre mal tollerata dai Turchi. Vennero chiuse scuole, chiese, e i sacerdoti massacrati all’interno di esse. Si iniziarono delle deportazioni, chiamate “marce della morte”, in cui persero la vita, per fame e stenti, o perché fucilati, moltissimi armeni inermi e indifesi. I soldati dell’esercito oppressore e principali responsabili delle fucilazioni erano conosciuti come “Giovani Turchi”: essi avevano preso il potere nel 1909 ed erano giovani indipendentisti e rivoluzionari che contestavano il vecchio regime ottomano; sebbene liberali e costituzionali, finirono per essere sommersi dal caos che imperversava nella nazione in quella temperie storica e per macchiarsi di orrendi delitti (si ricorda sommessamente che una corrente all’interno del Partito democratico italiano a gestione Matteo Renzi, con scarso senso della storia, aveva adottato questo nome che certo non faceva loro onore).  Il governo turco non ha mai riconosciuto la responsabilità di quella strage ed essa è sempre stata una delle maggiori cause di tensione fra la Turchia e l’Europa. In particolare, la questione armena, oltre ad essere al centro di un lungo e infuocato dibattito politico e ideologico, ha portato molti europei, contrari all’ingresso della nazione turca nell’UE, a sostenere la tesi della sua incandidabilità.

Come già detto, infatti, pure gli studiosi si sono divisi in riferimento al genocidio. Gli storici turchi sono in gran parte totalmente negazionisti, e addirittura ad Ankara viene punito con il carcere chiunque affermi l’esistenza del genocidio. Gli studiosi della comunità internazionale invece sostengono con forza l’atrocità e la programmatica persecuzione operata ai danni del popolo armeno. Nel 2015, in occasione dell’anniversario della strage, il dibattito si è riacceso in seguito ad alcune dichiarazioni di Papa Francesco, il quale ha parlato esplicitamente di “genocidio”. Il Papa ha sostenuto una inequivocabile verità, chiedendo di pregare per i tanti cristiani armeni trucidati. In occasione del centenario del massacro, questo fatto diventava di tutta evidenza. Le reazioni del governo turco sono state immediate e violente. Un durissimo attacco del Presidente Erdogan ha messo a repentaglio le relazioni internazionali fra il Vaticano e la Turchia.

Ma l’uscita di Papa Francesco ha colpito nel segno, andando a toccare una ferita aperta, un nervo scoperto del presidente “dittatore” Erdogan, una piaga ancora purulenta nel corpo della nazione. In questo, Bergoglio è stato in continuità con il suo predecessore, Giovanni Paolo II, che pure parlò di genocidio quando, nel 2001, firmò una dichiarazione congiunta con il Patriarca Karekin II. I debiti con la storia vanno saldati e alla memoria riconosciuto il grande valore che ha per i popoli e per le generazioni avvenire. Le ritorsioni della Turchia non sono tardate ed Erdogan espulse 100.000 armeni. “Ha ferito la nostra società”, ha affermato l’ambasciatore presso il Vaticano, Adnan Sezgin, costretto prontamente a tornare in patria; “un attacco vergognoso”, lo ha definito Erdogan, “avverto il Papa di non ripetere questo errore, e lo condanno”.  Lo sceriffo turco lanciava l’anatema sul vicario di Pietro.

Antonio Gramsci l’11 marzo del 1916, su “Il Grido del popolo”, dedicò un articolo al genocidio. Era, il suo, un monito affinché quanto successo in Armenia non cadesse nell’oblio. “L’indifferenza è figlia dell’ignoranza”, diceva Gramsci. Nei campi di sterminio, venne attuata una operazione di pulizia etnica, in quanto gli armeni erano considerati dei sovversivi poiché di religione cristiana e di etnia diversa, dunque difficilmente omologabili nello stato ottomano, a fatica “gestibili”. Il loro sterminio venne programmato dai Giovani Turchi con furore nazionalista. Nel loro progetto panturco, non vi poteva essere posto per culture e lingue diverse, quindi anche per i Greci e per i Curdi. Il massacro venne attuato con una mobilitazione massiccia dell’esercito e con i conseguenti delitti di torture, stupri, umiliazioni di ogni genere, islamizzazione forzata dei cristiani armeni e loro seppellimento nelle fosse comuni. L’obiettivo era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e politico. I loro beni e le loro terre vennero sequestrate, le donne superstiti al massacro inviate negli harem e fu cancellata scientemente la loro memoria.

Il genocidio fu riconosciuto, nel 1985, dalla sottocommissione dei diritti umani dell’Onu, e nel 1987 dal Parlamento europeo. I Paesi che riconoscono il genocidio sono 20, tra cui l’Italia, dopo una risoluzione votata dalla Camera dei Deputati nel novembre 2000. Una interessante posizione di mediazione fra le due tesi contrapposte è sostenuta sull’ “Internazionale” dell’aprile 2015 dal reporter Gwinne Dyer, il quale, sostenendo di aver esaminato moltissimi documenti, afferma che la verità non sta tutta da una parte o dall’altra. “L’impero ottomano”, sostiene Dyer, “nel novembre del 1914 era incautamente entrato nella prima guerra mondiale a fianco della Germania. L’esercito turco aveva marciato verso est per attaccare la Russia, allora alleata di Regno Unito e Francia. Quell’armata fu annientata in mezzo alla neve vicino alla città di Kars e i turchi furono presi dal panico. Per un errore strategico i russi non contrattaccarono subito, ma se avessero deciso di farlo ai turchi non sarebbe rimasto quasi niente per fermarli. I turchi si sforzarono di mettere insieme una qualche forma di linea difensiva, ma alle loro spalle, nell’Anatolia orientale, c’erano dei cristiani armeni che da qualche decennio stavano lottando per l’indipendenza dall’impero ottomano. Vari gruppi di rivoluzionari armeni avevano preso contatto con Mosca, offrendosi di provocare delle rivolte alle spalle dell’esercito turco nel momento in cui le truppe russe fossero arrivate in Anatolia.

Quando ricevettero la notizia che l’esercito turco era in rotta, alcuni di loro pensarono che i russi stessero arrivando e agirono prima del tempo. Analogamente i rivoluzionari armeni del sud, vicino alla costa mediterranea, erano in contatto con il comando britannico in Egitto e avevano promesso di scatenare un’insurrezione in coincidenza con gli sbarchi britannici previsti nella costa meridionale della Turchia, vicino ad Adana. All’ultimo momento Londra decise di spostare l’invasione molto più a ovest, ma anche in questo caso alcuni rivoluzionari armeni non ricevettero il messaggio e scatenarono comunque la ribellione. Il governo turco andò nel panico. Se i russi fossero penetrati nell’Anatolia orientale, tutti i territori arabi dell’impero sarebbero stati tagliati fuori. Per questo ordinarono la deportazione di tutti gli armeni nell’est della Siria, attraverso le montagne, d’inverno e a piedi, dato che non c’era ancora una ferrovia. E poiché non c’erano soldati regolari disponibili, furono soprattutto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud. Molti miliziani curdi approfittarono dell’occasione per violentare, rapinare e uccidere. La mancanza di cibo e il clima fecero il resto, provocando la morte di quasi la metà dei deportati. Per quanto non sia chiaro fino a che punto il governo turco fosse informato di questa tragedia, di certo non fece nulla per fermarla. Altri armeni morirono a causa del clima torrido e delle malattie nei campi in cui furono ammassati in Siria. Fu un genocidio commesso attraverso il panico, l’incompetenza e l’incuria deliberata, ma non può essere paragonato a quanto successe agli ebrei europei”.

Oggi appare difficilmente sostenibile la tesi di Dyer, soprattutto dopo la pubblicazione di Taner Akçam. L’ex Segretario dell’Onu Ban Ki Moon ha definito il massacro degli armeni “crimine atroce”, mentre il Presidente degli Stati Uniti Obama ha parlato prudentemente di “massacro”, per non compromettere i delicati rapporti con lo stato turco. Oggi il neo presidente Joe Biden ha fatto molto di più e si appresta a riconoscere ufficialmente il genocidio, come anticipato dal “New York Times” e dal “Wall Street Journal” e riportato dalla stampa italiana. Il riconoscimento avverrà oggi, 24 aprile. Il predecessore di Biden, il Presidente Trump, è stato del tutto silente in merito, chiaramente per salvaguardare i rapporti commerciali con la Turchia. Ma un conto è la diplomazia e un conto la verità storica. Fuori da ogni ipocrisia linguistica, quella di Recep Tayyip Erdogan è una dittatura, come qualche giorno fa ha plasticamente dimostrato il cosiddetto “sofagate”, ossia l’incidente diplomatico occorso alla Presidente della commissione europea Ursula von der Leyen,ricevuta da Erdogan e lasciata miseramente senza un posto a sedere, mentre al Presidente del Consiglio Ue Charles Michel veniva destinata una poltrona accanto al padrone di casa. Questo intollerabile atto di scortesia e sessismo ha portato tutti i paesi del mondo occidentale a stigmatizzare il vergognoso comportamento del Presidente turco, come ha fatto anche il nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi. In Turchia i diritti umani sono calpestati, Amnesty International lo denuncia da anni. Ci sono movimenti di protesta violenti, come quello dei nazionalisti curdi e inoltre il complicato scenario della guerra in Siria, in cui la Turchia sostiene il fronte dei ribelli insieme agli altri paesi arabi sunniti del Golfo, in quella guerra non dichiarata ma asperrima che da sempre si combatte con gli sciiti.  Si aggiunga l’annosa questione di Cipro che divide la Turchia dalla Grecia sul possesso di quell’isola. Tutte queste motivazioni sono addotte da coloro che ritengono sia inconciliabile la presenza di un paese a libertà controllata, ergo un regime, in un consesso democratico come l’Unione Europea, contro la tesi di coloro che sostengono invece sia un modo per tenerlo a bada, per “addomesticarlo”.

Circa tre milioni sono gli abitanti dell’Armenia, ma questo popolo, quasi come quello ebreo, ha subito negli anni una enorme diaspora. Secondo le fonti ufficiali, gli armeni nel mondo sono 8,5 milioni, dei quali la maggiore concentrazione si trova in Russia e in Usa, con 1 milione in entrambi i paesi. In Italia, risiedono stabilmente 2000 armeni.

Il silenzio a volte può essere assordante. Più di cento anni di oblio sono davvero troppi. La ragione e la pietà umana, al di là della fede religiosa, dovrebbero portare anche il governo turco a fare un mea culpa, chiudendo i conti con il passato. La speranza è sempre desta.  Del resto, basta ascoltare le musiche tradizionali armene, che sicuramente saranno trasmesse in radio o in tv in questa giornata in cui si commemora l’olocausto, per commuoversi al suono del duduk, il tipico strumento musicale armeno, e della voce sgraziata e toccante dei loro canti di dolore.

PAOLO VINCENTI

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