Miriam D’Ambrosio, Fuori non è ancora così. Voci da una classe multietnica, Rubbettino Editore 2025, pag. 168

di Marisa Cecchetti
“Insieme, ciascuno con il suo peso sul cuore, sono un mondo. Anzi, siamo un mondo: loro e noi inclusi. Inclusi è un aggettivo alla moda”, scrive Miriam D’Ambrosio in Fuori non è ancora così. Voci da una classe multietnica. “Includere è mettere insieme, chiudere in un cerchio, in un abbraccio, e cercare di fare il meglio per stare bene. Tutti. Senza dimenticare nessuno, né quelli che fanno più fatica né quelli che ne fanno di meno”.
Insegnante di Italiano e Storia in un Centro di Formazione Professionale da cui usciranno autoriparatori, operai specializzati delle macchine utensili, D’Ambrosio ci fa partecipi delle sue esperienze ed emozioni di diciotto anni di insegnamento: quei giovani vengono da tutte le parti del mondo, devono vedersela con le regole della lingua italiana, se non conoscono le parole dicono che non esistono. Frutti acerbi che hanno bisogno di ascolto e pazienza, vengono da Ghana, Costa d’Avorio, Senegal, Marocco, Egitto, Algeria, India, Pakistan, Filippine, Equador, Albania, Romania, Italia, quasi tutti maschi, tranne rare eccezioni. Hanno lingua e culture diverse, hanno storie dolorose alle spalle, sono nella difficoltà e nel disagio – c’è chi abbandona la classe poi qualcuno lo vede a elemosinare insieme al padre, a testa bassa; c’è chi non parla perché ha visto troppe cose brutte; c’è chi mangia cartone e gomme da cancellare, chi all’improvviso si immobilizza e ti fissa a occhi sbarrati. Ma hanno la forza che deriva dalla speranza e accarezzano desideri semplici, basilari: un lavoro, una famiglia, dei figli: “Voglio un figlio, un piccolo me”.
Un materiale umano da accogliere, ascoltare, da coinvolgere e formare, un compito arduo per ogni insegnante, ma la classe crea il senso di comunità, di condivisione e amicizia: “Entrano in aula assonati, ammucchiati, litigiosi, con i jeans calati, le gambe larghe per trattenerli, i boxer colorati in bella vista, le mezze maniche a gennaio e le felpe a maggio. Gettano gli zaini sui banchi, sbuffano, tolgono le cuffie, si insultano (si sa, spesso è segno di benevolenza, affetto persino).
Preferiscono l’orale allo scritto, amano le storie che l’insegnate seleziona per loro, ma vogliono storie a lieto fine, “hanno sete di positività”, i finali aperti li destabilizzano: la funzione formativa della letteratura si mostra in tutta la sua forza, perché è attraverso gli esempi letterari, da Omero a Shakespeare, da Dante a Verga, da Stevenson a Wilde, da Virgilio a Calvino, che si creano il pensiero critico, la riflessione, la consapevolezza.
In un “silenzio totale, religioso, mistico, tombale”, quello che l’insegnante richiede e loro stessi ripetono divertiti come uno slogan, ascoltano, poi seguono “pensiero, penna, parole”. Lo scritto, da correggere nella ortografia e nella sintassi, svela il mondo che ciascuno porta dentro, ed è un “privilegio poter viaggiare nelle loro vite”. Si crea un unicum, la classe diventa il mondo anche dell’insegnante che ne sente la nostalgia durante l’estate, che è emozionata al rientro a settembre, che non dimentica nessuno, nemmeno quelli scomparsi.
Il rispetto delle regole è fondamentale, lo sanno bene tutti loro, perché lì sono curati e coccolati, ma fuori non è così: “Ritardo di un quarto d’ora! Cosa ridi, cosa parli, cosa rispondi? Qui dentro te le diciamo le cose, ma in azienda ti sbattono fuori, hai capito? Perdono te, arriva un altro, non c’è problema. Fuori non è così!!! Non è come qui dentro che vi riprendiamo e vi facciamo la balia!”
Un percorso emozionante quello ricostruito da Miriam D’Ambrosio, formativo anche per il lettore, che invita a riflettere: sul concetto vero di accoglienza, sulle modalità di inclusione, sul bisogno che abbiamo noi, società che invecchia, di questi giovani pieni di energia e di speranza. Sul superamento di ogni barriera, sulla caduta dei pregiudizi nei confronti di chi ha una cultura diversa, sulla ricchezza e la crescita culturale che può nascere dall’incontro. Soprattutto sul danno causato dallo scontro e dalla paura.