IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“ Mirko e la camomilla magica”, un racconto di  Vincenzo Fiaschitello

Mirko e la camomilla magica

        

La professoressa di italiano assegnò una ricerca sui nonni, invitando i ragazzi a riportare qualche episodio della loro vita rimasto impresso nella memoria.

Si scatenò subito la gazzarra:

-Ma prof. i miei nonni sono morti!-

E un altro:

-Io li vedo solo d’estate, non abitano in città!-

E ancora un altro:

-Io non li vedo mai, perché mia madre non vuole che vengano a casa nostra!-

La prof. richiama gli alunni alla calma e suggerisce che in mancanza dei nonni possono intervistare anche un parente adulto.

Durante le vacanze Mirko chiede il permesso alla nonna di frugare nella biblioteca del nonno. Tra le carte nei cassetti gli capita di trovare una vecchia agenda del 1956. In alcune pagine sono annotate orari e appuntamenti, con una scrittura minuta e ordinata.

Alla data del 21 dicembre 1956, legge con curiosità: “Domani partirò per Genova dove passerò le vacanze di Natale con i miei cugini e gli zii”

Qualche rigo più sotto c’è una espressione in dialetto: “Cuoppi i zotta o cavalieri” e la traduzione in italiano, seguita da una lunga annotazione.

-“ Colpi di frusta al cavaliere.

Fa freddo, tira un vento gelido. E’ ancora notte, ma verso oriente c’è già qualche segno del nuovo giorno. Il cielo è di un bel blu scuro, come l’inchiostro Pessi con cui ieri sera ho riempito la mia stilografica.

Mio padre si è messa sulle spalle la valigia e rifiuta il mio aiuto. A me lascia portare un borsone.

Percorriamo in discesa le strette viuzze del paese, finché giungiamo alla villa comunale. Che strano effetto mi fa, vederla così al buio, deserta. A destra e a sinistra le palme ondeggiano al vento; di fronte si staglia il bianco profilo della bella statua di una fanciulla che regge la torre di un palazzo del Quattrocento, scolpita in memoria del grande architetto Matteo Carnilivari.

Mi sembra di fuggire, mentre tutti i miei amici a quest’ora dormono.

A un tratto, il silenzio è rotto dal trotto leggero di un cavallo e dal rumore delle ruote di una carrozza. Per un attimo spero che mio padre faccia un cenno al cocchiere, poi mi rendo conto che non abbiamo denaro sufficiente. Si prosegue a piedi verso la stazione.

Penso agli anni della mia fanciullezza. Come sono passati in fretta!

Quante volte, svelto svelto, senza farmi scorgere dal cocchiere, saltavo sull’asse posteriore della carrozza. Era straordinario farsi trasportare per le vie del paese, anche se i sobbalzi erano duri e l’equilibrio precario!

Durava finché durava! Poi qualcuno a voce alta metteva in allerta il cocchiere con il terribile ritornello: “Cuoppi i zotta o cavalieri!”

Naturalmente il cavaliere ero io, l’incomodo passeggero, che da un momento all’altro sentiva fischiare la frusta e se non faceva in tempo a balzare giù, riceveva i primi terribili colpi.

Ora di tanto in tanto ci riposiamo: mio padre prende fiato, carica sull’altra spalla la valigia e ripartiamo.

La stazione sonnecchia. Due vecchietti confabulano in un angolo semibuio della sala d’attesa, la donna cerca qualcosa nella borsa ed è inquieta.

Mio padre mi ripete le raccomandazioni di prudenza e l’indirizzo dei parenti, nel caso in cui non trovassi nessuno al mio arrivo alla stazione.

Provo le stesse emozioni di quando, bambino di cinque anni, feci il primo viaggio in treno. Con gli occhi smarriti scoprivo il mondo del dopoguerra. Si viaggiava distesi sul tavolaccio di un carro ferroviario accanto al belato sommesso di un agnellino, unico tesoro che un viaggiatore si portava dietro.

Su un carro simile, qualche mese prima, a causa del trasferimento in un’altra città, una bomba d’aereo aveva polverizzato tutta la “roba” di casa. Per anni il tema della roba perduta rimase dominante in ogni conversazione di famiglia.

All’improvviso il suono del campanello che annuncia l’arrivo del treno, mi riporta al presente, al viaggio verso il nord, a lungo desiderato.

Abbraccio mio padre. Mi sento giovane, sicuro di me, un vero “cavaliere”. Ci penserà la vita ad assestarmi tanti buoni “cuoppi i zotta?”-

Al rientro dalle vacanze, la prof. ritirò le relazioni degli alunni. Più di uno si era dimenticato, qualcuno aveva scritto poche righe, Mirko fu fiero di presentare quel ricordo del nonno, che la prof non mancò di elogiare e di leggere a tutta la classe.

Alecu, il ragazzo rumeno più grande di qualche anno rispetto a tutti gli altri, era l’amico preferito di Orfeo, il bullo senza scrupoli della classe. Capelli corvini, basso e tarchiato, con mani tozze e quadrate, pronte a ogni momento a spintonare e a picchiare. Dettava legge tra i compagni. Chi si ribellava era duramente perseguitato, messo alla berlina e, nel caso di resistenza, costretto a subire sberleffi, a inginocchiarsi e a essere ripreso dalla fotocamera per la trasmissione in rete tra gli amici.

Ora che si sentiva spalleggiato da Alecu, era diventato ancora più prepotente.

Verso Mirko aveva avuto in passato una qualche esitazione ad attaccarlo, ma negli ultimi tempi, cominciava a rinfacciargli di immischiarsi troppo nel difendere i compagni presi di mira dalla “squadra” (così chiamava il gruppo di quattro o cinque ragazzi che lo seguivano sempre durante le sue imprese). Ma Mirko non si fece per nulla intimorire, specie quando Orfeo cominciò ad attaccare Luca, il suo migliore amico. L’ultima baruffa si interruppe grazie al sopraggiungere inaspettato di un prof supplente.

Un pomeriggio, mentre facevano i compiti insieme a casa sua, Mirko disse a Luca:

-”Ti rivelerò un segreto, se mi prometti che non ne parlerai mai a nessuno!”

Luca, naturalmente, fece la sua bella promessa con giuramento e Mirko si sentì libero di parlare.

Dal cassetto della sua scrivania tirò fuori una boccetta piena di acqua giallognola.

“Questa non è un’acqua qualsiasi, è un’acqua speciale che ha poteri straordinari. Non l’ho ancora provata, ma sono certo che funzioni. Ora ti spiego. In una delle agende di mio nonno, ho trovato scritto”:

“Un giorno ero andato al mercato del pesce. Il pescivendolo, dopo aver pesato il pesce da me scelto, lo incarta con un vecchio foglio sgualcito. Giunto a casa e, messo il pesce in una bacinella piena d’acqua, sono attratto da quel foglio di carta. Non si può immaginare la mia sorpresa, quando mi accorgo che si tratta di un antico manoscritto che descrive erbe e piante. Corro subito al mercato e compro altro pesce. Altro foglio di carta. E così per una intera settimana. Sono sicuro di aver trovato un testo di un negromante, forse Diodoro, con la descrizione di un segreto:- Se al tredicesimo giorno dopo il plenilunio ti aggiri per la campagna e alla tredicesima ora scopri una siepe di biancospino, fermati. Un fiore solitario di camomilla ti attende: coglilo, fallo seccare al sole e dopo tredici giorni prepara una tisana. Bevi un piccolo sorso e tutto ciò che è brutto e cattivo intorno a te si cambierà in bello e buono”-

Mirko, soddisfatto per l’attenzione con la quale Luca aveva seguito il racconto, conclude dicendo che quell’acqua che vede nella boccetta, l’ha preparata secondo le precise indicazioni scritte dal nonno.

-”E’ ora di provarla!”-dice Luca.

Bevono entrambi un cucchiaino di quell’acqua e vanno al supermercato, dove spesso si recano Alecu e Orfeo per le loro bravate.

Appena entrati li scorgono mentre riempiono fino all’inverosimile il carrello. Vanno dietro a una vecchietta che porta in mano una bottiglia di latte e una confezione di yogurt. La sorpassano spericolatamente, quasi a urtarla e a far cadere l’incredibile quantità di merce dal carrello. Poi si fermano di colpo, dicono che hanno perso di vista i loro genitori e se vuole avere la cortesia di custodire un momento il carrello. La vecchietta sorride e si mette in un angolo ad aspettare.

Mirko e Luca hanno visto la scena. Le persone che passano, guardano il carrello stracolmo, sorridono alla vecchietta con aria compiaciuta:

-Oh, no! Non è mio il carrello, io lo sto soltanto custodendo. Adesso arrivano i proprietari-

Ma il tempo passava e ovviamente non arrivava nessuno. Fuori dalla vetrata, si vedevano i due ragazzi che si sbellicavano dalle risa.

-Tu pensi quel che penso io?- disse Mirko al suo amico.

-Sì, certo!-

E nello stesso momento si videro i due bulli rientrare in fretta, chiedere perdono alla vecchietta per averla fatta attendere e averla importunata. Poi, ripreso il carrello, girarono tra gli scaffali e misero a posto tutto ciò che avevano preso. Vuotato il carrello, se ne andarono sorridenti, come dopo una buona azione.

Allora funzionava quell’acqua!

Fu così che ogni mattina, dopo colazione, Mirko, segretamente, beveva un cucchiaino di quella camomilla. E giorno dopo giorno, Orfeo e la sua squadra dovettero constatare che ogni iniziativa intrapresa per umiliare quei due o tre compagni più deboli, finiva sempre in maniera strana. Non facevano in tempo a sbeffeggiare il ragazzo di turno, a prenderlo per la collottola, a sfilargli i pantaloni e a fotografarlo, che già contro la loro stessa volontà, diventavano allegri, sorridenti e addirittura chiedevano scusa e cancellavano ogni immagine umiliante. Era davvero inspiegabile!

Fatto sta che, dopo tanti insuccessi, quei bulli si stancarono di fare i bulli. E quando sul giornalino della scuola alla fine dell’anno scolastico, qualcuno scrisse che la II F non era più una classe di bulli, anche Orfeo e Alecu furono contenti, pronti a commentare:

“Veramente teste di legno, eravamo!”


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