di Serena Rossi
La brillante Galleria dell’Associazione Culturale di zona 5 a Milano Circuiti Dinamici in via Giovanola 21/c di cui è Presidente il Professor Lorenzo Argentino presenta dall’11 al 29 maggio 2025 la mostra di arti contemporanee visive dal titolo Affinità con apertura a ingresso gratuito con orario merc.-giov.-venerdì dalle 18 alle 20 e su appuntamento. 14 gli Artisti in mostra con opere che vanno dalla pittura, al video, all’installazione, alla poesia. Nell’insieme i lavori sono molto differenti e offrono parecchi spunti di riflessione sul tema, l’intreccio di colori e forme diversi forma un percorso sensoriale che giova allo spirito e crea una forza espressiva magnifica.
Gli Artisti in mostra sono: Ariberto Badaloni, Rossana Belotti in arte ROSSS, Caterina Ciuffetelli, Luca Fasano in arte 22, Giavoni Stefano, Juffrouw Springtouw in arte Ineke De Meuer, Gianluca Leuzzi, Giuseppe Matrascia, Ester Miri, Daniela Poduti Riganelli, Sabina Romanin, Alex Sala, Bogdan Tzigan, Stefania Zini.
Lettura critica di Sonia Patrizia Catena
L’arte esercita su di noi un fascino misterioso, ci cattura e ci interroga con una forza che
spesso sfugge alla logica. Perché, tra tutte le opere, ce n’è sempre una che ci colpisce più
delle altre, che si imprime nella nostra memoria e risuona dentro di noi? Seguendo le
suggestioni di Affinità. Perché l’arte ci affascina di Brian Dillon, questa mostra intende
esplorare il legame profondo e inspiegabile tra le immagini e le emozioni, tra la percezione
visiva e il vissuto personale.
L’idea di affinità è tanto sfuggente quanto immediata: è una connessione che può essere
culturale ed emotiva, intellettuale e sentimentale, individuale e collettiva. Le opere si
muovono lungo alcune traiettorie, indagando il dialogo tra ciò che è visibile e ciò che si
avverte nel profondo, tra il passato e il presente, tra l’autobiografia e l’immaginario
universale.
Le affinità possono manifestarsi in molteplici forme. Si rivelano nel rimando visivo tra
un’opera contemporanea e un frammento del passato, in quelle risonanze stilistiche che
fanno emergere un filo invisibile tra immagini distanti nel tempo e nello spazio, come
avviene nei ritratti di Francesca Woodman e nelle silhouette sfuggenti di Dora Maar.
Prendono corpo nell’ossessione per un tema ricorrente, come il mare nelle fotografie di
Rinko Kawauchi, che diventa specchio di un viaggio interiore. Si insinuano nei dettagli
apparentemente insignificanti come una vecchia fotografia di famiglia che si trasforma in
opera d’arte, evocando memorie personali e collettive. Affiorano nel dialogo tra linguaggi
diversi, nell’incontro tra scienza e arte che ha ispirato generazioni di artisti attraverso
illustrazioni anatomiche e naturalistiche. E, a volte, emergono all’improvviso, in
accostamenti inaspettati tra oggetti e immagini che, pur sembrando privi di connessione,
generano una tensione silenziosa, un’attrazione inspiegabile.
La grammatica visiva degli artisti coinvolti in questa esposizione è una sintesi di contrasti e
continuità; ogni opera esplora il concetto di affinità come relazione profonda e
sfaccettata in cui un legame può manifestarsi tra epoche, materiali, memorie o stati
d’animo e articolandosi lungo cinque filoni narrativi che dialogano tra loro e che vanno a
comporre un affresco collettivo, vivo e in trasformazione.
Oltre il tempo
In questa dimensione il tempo non è più lineare ma si scompone, si ripete e si rigenera. Le
opere intrecciano simbologie del passato con visioni contemporanee, evocando civiltà
lontane o riti dimenticati e suggerendo che ogni gesto artistico è parte di un momento
eterno. L’opera di Ariberto Badaloni riflette sul carattere ciclico del tempo, sulla sua
disgregazione e ricomposizione attraverso tecniche, segni e riferimenti storici. Unisce l’arte
classica e contemporanea tracciando un ponte tra diverse tensioni culturali mediante una
ricerca eclettica in continuità con i grandi maestri del passato. Giuseppe Matrascia, con
Un armonico inganno , esplora la complessità dell’identità come un intreccio tra reale e
simbolico, dove la memoria e la percezione si fondono in una tensione emotiva che
trasforma l’inganno in verità, rivelando un dialogo profondo tra passato e presente. Un
tempo sospeso anche per Gianluca Leuzzi che nelle sue fotografie intraprende un’indagine silenziosa sulla fragilità umana. I suoi scatti catturano istanti di profonda
intimità e vulnerabilità, mettendo in scena una condizione di abbandono emotivo e fisico
che coinvolge lo spettatore in una riflessione raccolta. Un progetto dedicato all’indagine
dei sentimenti più profondi e personali, dove il corpo e l’ambiente circostante diventano
risonanze visive del nostro lato più fragile e nascosto.
Identità in relazione
L’arte diventa specchio e spazio interattivo in cui le opere riflettono e coinvolgono
direttamente il pubblico, interrogando la costruzione dell’identità personale e collettiva. Chi
guarda è anche guardato. Le superfici specchianti, le strutture attraversabili e i simboli
tattili creano un dialogo diretto tra il sé e l’altro, tra il corpo e lo spazio. Qui l’identità non è
mai fissa, ma si costruisce nel riflesso, nel contatto e nell’esperienza condivisa. Rossana
Belotti in arte ROSSS, con L’arte riflette l’arte #3 , trasforma il quadro in un palcoscenico
interattivo in cui l’uso degli specchietti non è solo un espediente formale, ma diventa una
metafora della meditazione interiore. L’interazione tattile e il coinvolgimento emotivo
nel l’installazione Sulla stessa pelle di Ester Miri ricorda quanto sia profondo il legame tra
arte e sensazioni corporee. La struttura a forma di cubo in legno d’abete, intessuto di
cordoncini rossi ispirati al mito del filo rosso del destino, invita lo spettatore a toccare e
attraversare fisicamente quella rete sottile che unisce le nostre storie. In contraltare,
l’opera Perno di Stefania Zini, con la sua drammatica presenza del chiodo e della cornice,
esplora la tensione tra ancoraggio e liberazione, invitando il pubblico a riflettere sul
rapporto tra passato e futuro. Il chiodo e la cornice sono elementi simbolici che incarnano
l’idea di un’arte che, pur ancorata a supporti concreti, è in perpetua oscillazione tra
un’identità prestabilita e un mutamento insolito. La poesia – che accompagna l’opera –
evoca uno stato di sospensione percettiva, in cui il corpo e la mente si muovono in uno
spazio liminale, alla ricerca di un centro da cui osservare, resistere e rinegoziare i margini
della rappresentazione.
Il gesto che unisce
Cucire, ricamare e intrecciare sono gesti antichi, lenti e meditativi. Il filo conduce lo
sguardo e lega le storie, i ricordi e le forme, rendendo visibile ciò che spesso rimane
celato come l’emozione e la cura. Caterina Ciuffetelli con la sua ricerca di una geometria
morbida e vibrante, attraverso il filo di cotone su carta intelata, propone un gesto
meditativo che diventa segno del pensiero in ascolto. Le sue opere cercano un dialogo
con chi guarda, ma non chiedono risposte bensì propongono uno spazio in cui riflettersi,
ascoltarsi e forse riconoscersi. Stefano Giavoni riattiva il ricordo tramite cuciture su
oggetti vissuti e fotografie d’epoca, recuperando memorie e restituendole in forme nuove,
scrive una poesia visiva che non chiude, ma accoglie, lasciando entrare l’eco di un tempo
meditativo. Il lavoro di Giavoni testimonia un’intensa attenzione al gesto che, lento e quasi
rituale, serve a “riportare in vita” una traccia passata per creare quella connessione
affettiva che, una volta risvegliata, non può più essere dimenticata. Sabina Romanin , con
Diversi sguardi, utilizza la tecnica del ricamo — sia manuale che a macchina — per
tessere una trama di incontri e sguardi, collegando il presente all’eredità del tempo andato
ed evocando l’arte dei maestri tardo rinascimentali con l’intento di creare un ponte tra
epoche differenti.
Ambiguità e simbolismo
A volte l’affinità non si manifesta con chiarezza ma si nasconde, si traveste, si fa tensione
sottile tra attrazione e distanza. Vi sono opere in mostra che indagano la dimensione
simbolica e onirica del legame, aprendo spazi di ambiguità e possibilità.
È l’arte che lascia domande sospese, che seduce con ciò che non si può del tutto afferrare
e che invita a esplorare il mistero dell’incontro. Daniela Poduti Riganelli , con Looking for
freedom, trasforma lo sguardo in un invito alla liberazione, accostando il desiderio di
emancipazione all’affinità nel sogno di libertà. Attraverso tecniche miste, simboli quasi
onirici, colori, glitter e gesti rapidi, l’artista costruisce una danza visiva che esprime
speranza e ribellione contro le catene della convenzionalità, alla ricerca di un’identità
autentica. Bogdan Tzigan si inserisce in questa narrazione proponendo una riflessione
sull’attrazione per il bello e per ciò che rimane nascosto, sottolineando la relatività e la
variabilità dei legami affettivi e simbolici. La sua ricerca apre uno spiraglio di ambiguità,
laddove il fascino e l’intensità del desiderio sono posti in luce come componenti essenziali
della condizione umana; l’affinità si fa variabile, suscettibile alle tensioni del desiderio e del
passato mai del tutto svelato. I materiali vissuti per Juffrouw Springtouw servono per
evocare la resilienza e la lotta interiore. Con l’opera Memories – Inner struggle , oltre ad
integrare la dimensione fisica del ricordo, ci propone un dialogo silenzioso tra fragilità e
forza in cui il ricorso ad elementi materici, che portano le tracce del tempo, diventa un inno
alla capacità di ripresa emotiva.
Viaggio interiore e trasformazione
Chiude la mostra una serie di opere che parlano di cammino, di ricerca interiore e di
passaggio, e che hanno l’obiettivo di esplorare il tema della trasformazione intesa come
processo continuo di mutamento interiore, spirituale o identitario. Gli artisti si interrogano
su come il tempo, il corpo e l’esperienza plasmino l’essere umano restituendoci una
visione sedimentata e mutevole dell’identità. Luca Fasano in arte 22 con The child is
father of the man indaga il duplice volto dell’essere umano, laddove l’infanzia persiste nel
presente e si riflette nell’adulto dando forma a un’identità intergenerazionale stratificata. La
sua arte diventa metafora del ciclo infinito della vita, ogni fase riecheggia nell’altra e ogni
esperienza infantile costituisce la base su cui si costruisce l’essere. Alex Sala con la
videoperformance Verso un luogo risplendente propone la narrazione di un viaggio inteso
non solo come spostamento fisico, ma come trasformazione interiore. Il fluire dell’acqua e
la musica di Davide Macaluso, che accompagna il percorso, si fondono in un’esperienza
sinestetica, simbolo ultimo della ricerca di un contatto diretto con il sacro e con il divino.
L’artista invita a riflettere sulla semplicità e sulla ricerca di un equilibrio interiore offrendo
una critica sottile alla complessità della vita moderna.



