Musa° balla da solo In memoria di Wael Zuater e Taufik Zaiad, poeti palestinesi
di Maurizio Nocera
Da un’idea del regista Salvatore Solida.
Musa bambino
Musa è un bambino dalla pelle olivastra e dagli occhi nerissimi come la pelle delle olive. Corre per le strade del suo quartiere dietro un trabiccolo che il padre falegname gli ha costruito con delle frattaglie di legno. Insomma una sorta di monopattino che, al posto delle rotelle, ha due palle di legno più duro, una davanti e l’altra dietro. È un bambino spensierato. Tranquillo. Non ha paura delle forze della Natura. Quando d’estate, coi genitori, va sulla spiaggia, prospicente la città, non viene sgridato se si allontana dalla vista della mamma. Ma poi, non è che si allontani tanto, giusto quella decina di metri per non farsi vedere quel che egli fa. E Musa, lontano da occhi indiscreti, che fa? Balla da solo. Preferi- bilmente in cerchio. È piccolo. Non conosce la geometria. Tuttavia si costruisce mentalmente un cerchio ideale e ci gira in tondo. Sì, è vero, egli balla da solo, ma non è solo in assoluto. C’è sempre la voce del Vento e quella della Risacca che lo accompagnano. Quella volta che cominciò per la prima volta a ballare da solo, il Vento, che sferzava dolcemente la spiaggia, gli fece arrivare la sua voce. Limpida e chiara come le acque della sorgente di montagna: «Musa, che fai, balli da solo?». La voce del Vento gli giunse alle orecchie come quella della sua mamma quando gli cantava le nenie per farlo dormire: «Nanna oh, nanna oh, bimbo bello che a chi lo do?». E lui, perché bambino innocente, si addor- mentava sognando la spiaggia, il mare, le onde che, anch’esse, rovesciandosi sulla battigia, biascicavano una sorta di voce, appunto quella della Risacca, che anch’essa gli diceva: «Musa, che fai, balli da solo?». Anche la voce della Risacca gli giunse chiara e limpida, come quella del Vento, per cui rispose ad entrambe:
«Sì, è vero, ballo da solo, perché gli altri bimbi non sanno ballare». Ballando Musa era felice. La felicità di un bimbo che non conosce ancora le sofferenze della vita, le negazioni, i tormenti, gli abbattimenti. Insomma non conosce la disperazione della vita. Per questo è felice.
Musa adolescente
Erano passati alcuni anni e Musa aveva finito le scuole primarie. Ora era diventato un bel ragazzo, sempre dalla pelle olivastra e dai lucidissimi occhi. Nell’apprendimento era senz’altro bravo e riusciva a memorizzare bene quel che leggeva e ascoltava, ma la sua qualità migliore era scrivere poesie. Piccole poesie sui sommovimenti sentimentali. I suoi erano versi adolescenziali, per lo
più rivolti agli sguardi di qualche bella ragazza, che non sempre corrispondeva. Un po’ Musa si dispiaceva, ma poi ci passava sopra. Così ritornava a sorridere e a sognare ad occhi aperti osservando cieli celesti e mari azzurrissimi. Non aveva mai abbandonato la spiaggia prospicente la città. Qualche volta si recava ancora coi genitori, ma spesso ci andava da solo. La casa dei suoi genitori era piccola ma confortevole. Tuttavia, in essa egli, assieme ai suoi due fratelli, aveva una stanzetta tutta per loro e, per ognuno, c’era uno spazio di vita. E poi, essa si trovava a 200 metri dalla spiaggia. Per lui, se era estate, quando si trovava a non avere altre incombenze con il resto della vita, indossava il costume da bagno e si precipitava a odorare la sabbia e il mare. Musa non sempre faceva il bagno, ma di sicuro con un bastone disegnava un cerchio sulla sabbia e cominciava a girarci intorno. Il Vento e la Risacca lo accompagnavano con la loro voce. Dice- vano: «Musa che fai, balli da solo?». Quelle voci erano dolci, per niente impe- rative. Piuttosto concilianti come la voce della mamma, che spesso lo esortava a mangiare per rinforzare il suo gracile corpo di gazawi in divenire. Anche il Vento e la Risacca glielo ricordavano, dicendogli: «Musa mangia perché devi diventare forte. Davanti a te si profila una lunga resistenza contro gli infamanti sionisti che hanno occupato la tua terra». Musa capiva quasi tutte le parole pronunciate dalla mamma, dal Vento e dalla Risacca Musa. Però non capiva le parole «resistenza»,
«infamanti», «sionisti». Comunque, per non lasciarsi dire che era musone, rispondeva: «Va bene, mangerò».
Musa maggiorenne
Non appena Musa divenne maggiorenne, continuò a studiare e a scrivere poesie. Entrò pure a far parte di un Fronte rivoluzionario per la liberazione della sua terra. Così cominciò a capire la parola Resistenza. I suoi genitori, ma anche i suoi docenti gli avevano insegnato ad amare Gaza, ad amare la Palestina. Ed egli non finiva mai di cercare con gli sguardi e col cuore quel che gli interessava di quella sua terra. Sapeva bene che la terra e tutto ciò che essa contiene non appartiene a nessuno. È di tutti gli esseri viventi. Tuttavia egli usava quel «sua» per stare vicino ad essa quanto più poteva. Spesso, quando al mattino si alzava dal letto, e dalla finestra guardava il mare e la «sua» spiaggia, non mancava mai di inchinarsi e di baciare il pavimento sterrato che aveva sotto i piedi. Qualche volta accadeva pure di essere visto dalla mamma, che gli diceva: «Musa che fai?» ed egli rispondeva: «Mamma, bacio la nostra terra perché la amo. Un po’ è come se baciassi te, che ti amo immensamente perché mi hai dato la vita. Anzi adesso ti bacio». Così diceva Musa e così la mamma gli faceva una carezza sulla guancia dicendogli: «Musa, sono contenta di te, perché stai diventando sempre più forte. Così, quando verrà il momento di difendere la tua casa e la tua terra dagli infamanti sionisti, saprai come fare». Musa annuiva con la testa, baciava la mamma sulla fronte, inforcava lo zainetto sulle spalle, e partiva verso il piccolo
campo sportivo della città, dove quella mattina, assieme ad altri giovani come lui, avrebbe fatto le esercitazioni con fucili di legno che suo padre stesso aveva costruito. Tuttavia, nonostante che avesse chiesto in giro il significato di quelle due parole – «infamanti sionisti» – e cercato la loro definizione su alcuni dizio- nari, ancora gli sfuggiva il significato profondo.
Musa adulto
Quando Musa divenne adulto era già un soldato difensore della sua terra. Aveva studiato l’arte della guerra e soprattutto aveva letto il Diario del Che Guevara, il leggendario rivoluzionario antimperialista latinoamericano. Aveva pure partecipato ad alcune azioni partigiane contro gli «infamanti sionisti» che occupavano la sua terra appoggiati dall’Occidente colonialista-imperialista. Ora, delle due parole, aveva cominciato a sapere qualcosa in più su chi fossero i «sionisti». Aveva capito che la loro ideologia era velenosa e terroristica e che era alla base della fondazione dello Stato sionista di Israele, creato nel 1948 con un complotto ingannatore della Gran Bretagna in combutta con altri Stati, soprattutto gli Stati Uniti. La sua terra, l’amata Palestina era stata occupata dai sionisti. Sulle carte geografiche di tutto il mondo era scomparso il nome Pale- stina ed ora appariva solo il nome dello Stato sionista. La parola «infamante» non aveva capito bene a cosa si riferisse. Come lavoro adesso Musa aiutava il padre in falegnameria, anzi, in un certo senso, era lui che conduceva la bottega. Si era pure sposato con una bella ragazza, gazawa come lui, che gli aveva dato due gagliardi figli. Tuttavia non aveva dimenticato la «sua» spiaggia. Spesso, sia d’estate che d’inverno, ritornava al suo posto di sempre, disegnava sulla sabbia il cerchio, ora divenuto più largo, così cominciava a girargli intorno canticchiando qualche canzoncina appresa dai vecchi gazawi del suo quartiere. La voce del Vento e della Risacca la sentiva ancora: «Musa che fai, balli da solo?». Rispon- deva: «Sì, è vero: ballo da solo. Sento che così facendo lenisco le mie pene per la mia patria, l’amata Palestina».
Musa maturo
Adesso Musa era divenuto ormai un uomo maturo. Comandava un piccolo drappello di partigiani gazawi e con loro faceva azioni di resistenza contro gli
«infamanti sionisti». Stava attento a non farsi riconoscere come uno dei capi della resistenza palestinese e metteva massima attenzione a che i suoi uomini non venissero scoperti e arrestati. Continuava ad andare alla «sua» spiaggia e ballare in cerchio. Canticchiare e parlare col Vento e con la Risacca gli dava sollievo. Ora era sempre lui a parlare a loro: «Mio caro Vento e mia cara Risacca aiutatemi a liberare la mia terra. Voi siete potenti, Signore e Signora della Natura, ditemi cosa posso fare per la mia amata Palestina». Intanto girava e saltellava
sulla linea del suo cerchio, divenuto ora molto ampio, a tal punto che lambiva il margine esterno della spiaggia. Un giorno, terminato il suo rito danzante, dive- nuto ormai quasi quotidiano, accadde che, nel ritornare a casa, quella che un tempo era stata dei suoi genitori e che ora era divenuta sua, senti un lontano boato di bombe. Si affrettò per raggiungere casa. Il cuore gli batteva come uno stantuffo. Arrivò che sua moglie e i bambini si stavano abbracciando. Fece loro delle carezze con gli occhi bagnati di lacrime. Indossò velocemente la divisa della sua formazione armata, poi dissotterrò il kalasnikov che teneva nascosto in un punto del patio. Sorrise ancora una volta alla famiglia e uscì di fretta. È sicuro che quel giorno combatté sul confine della Striscia di Gaza con gli «infamanti sionisti» che occupavano ormai quasi tutta la sua terra. Intanto le bombe sgan- ciate dagli aerei sionisti lanciavano acuti boati di morte. Ognuno di essi era un dolore per le sue orecchie innocenti. Quando arrivò la notte ritornò a casa. Trovò la famiglia ancora abbracciata e piangente. Li rassicurò che tutto sarebbe andato per il meglio. Poi, stanco della battaglia, si addormentò con a fianco la moglie e i figli. Non era ancora arrivata l’alba che si dovette alzare svegliato dai compagni della sua formazione armata. Gli dissero che gli «infamanti sionisti» avevano cominciato a razziare tutti i viveri possibili e immaginabili. Fra qualche giorno tutti i gazawi sarebbero rimasti senza cibo Quindi sarebbero morti di fame e di sete. Nel sonno, Musa aveva percepito l’avvicinarsi dei boati, ma aveva sperato che si trattasse di suoni ancora lontani. Si alzò in fretta e furia, divisa e kala- snikov a posto, e via fuori a combattere contro i carri armati dello Stato terrorista di Israele. Quel giorno la sua formazione armata era riuscita a far saltare in aria col plastico un carro amato sionista. Ma tremenda sorte la sua. Quando tornò a casa non vide più quella che era stata la dimora dei suoi genitori e dopo la loro morte sua. Chiese a qualcuno che si aggirava su quelle povere macerie se aves- sero visto sua moglie e i suoi due figli. Gli risposero che della sua famiglia non si era salvato nessuno. Erano tutti, moglie e figli, scomparsi sotto il crollo della casa. Musa pose il fucile per terra e si accasciò su di esso. Cominciò a piangere un pianto che non finì più. Adesso aveva capito il significato di infamante e quello della morte.
Musa vecchio
Ora Musa era divenuto vecchio. Viveva in una capanna che si era costruito con il legno rimasto tra le macerie della sua falegnameria. Non aveva più occhi per piangere. Si guardava attorno e vedeva che la sua cara città non c’era più. Al suo posto una montagna di macerie. La gente che gli passava accanto gli diceva: «Musa, mettiti in salvo. I sionisti stanno occupando militarmente quel che è rimasto della nostra città. Scappa! Scappa!». Musa ascoltava, ma il suo corpo non rispondeva, il suo cuore non rispondeva, la sua mente era fuori di sé. Non volle scappare. Non sapeva dove andare. I suoi martiri erano ancora
sotto le macerie della sua casa. Voleva infilarsi in esse ed abbracciare ancora una volta, almeno per un’ultima volta, sua moglie e i suoi due figli. Pensò di non avere più altra scelta se non quella di chiedere ai suoi numi tutelari di far finire la sua vita. Così, mentre che pensava e piangeva, perché per i vecchi il pianto è cosa facile, senza volerlo, sentì che i suoi piedi cominciarono a muoversi. Prima lentamente, poi un po’ più speditamente. Direzione: spiaggia. Pensò alla fatica che avrebbe dovuto fare per disegnare sulla sabbia il cerchio ma, stranamente, quando la raggiunse, si accorse che c’era già. Un po’ sbiadito, ma c’era. Abban- donò tutto ciò che era superfluo sul suo corpo e, lentamente, per come è per i vecchi, cominciò a roteare sulla linea di confine del cerchio. Cominciò pure a canticchiare le vecchie canzoni cazawi e a declamare altre poesie palestinesi, tra tutte alcune di Mahmoud Darwish. Più Musa ballava da solo, più sentiva il suo corpo levitare verso il cielo, ora più splendente che mai. In alto, nell’abisso dell’azzurro, vedeva una luce che non aveva mai visto prima. E, tra ammassi di stromatoliti, i volti delle persone amate, primi fra tutti quelli della moglie e dei suoi due figli. Musa ballava da solo e cantava e declamava quando, ad un certo punto, senti le voci amiche delle sue vecchie conoscenze, il Vento e la Risacca. Gli dicevano: «Piangi vecchio Musa, piangi. La tua terra ha avuto finora una brutta sorte. Millenni di costruzione della bellezza della terra di Palestina è stata distrutta in pochi decenni, dal 1948 ad oggi. Piangi Musa, ma non dispe- rarti. Il terrorista sionista di Israele perderà. La Palestina sarà libera. La Palestina vincerà». Musa non ebbe più la forza di rispondere. Continuò a ballare. Da solo. Sentì che il suo corpo lentamente si accasciava sulla sabbia. E sentì pure che il cielo, il suo cielo di Gaza, avvicinarsi sempre più a lui. Dopo giorni e giorni, alcuni vecchi gazawi, che nonostante i sionisti occupanti imperversassero in ogni dove, avevano scelto di rimanere sulla loro terra, trovarono intatto il corpo del vecchio Musa, estremo difensore armato della sua patria Palestina. Era riverso e rigido su se stesso e sulla linea di confine del cerchio inviolato.
° Musa è Gaza, Musa è Palestina.