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Nel ventennale della morte di Mario Luzi (1914-2005)   di Vincenzo Fiaschitello

                  

A venti anni dalla morte (28 febbraio 2005), l’opera poetica di Mario Luzi mantiene tutto lo straordinario potere di attrazione e di fascino che fa di lui uno dei poeti più rappresentativi e originali del panorama letterario del Novecento, non solo per la qualità dei suoi versi, ma anche per la immensa produzione portata avanti fin quasi agli ultimi giorni della sua vita. Resta tuttavia il rammarico per la mancata assegnazione del premio Nobel che avrebbe largamente meritato. Ma si sa purtroppo come funzionano certi “giochi” dei premi letterari. Quel che è certo è che Luzi non ha ricevuto il più prestigioso dei premi letterari per un presunto mancato raggiungimento di un alto livello artistico, ma presumibilmente per un insufficiente sostegno e non adeguata autorevolezza della istituzione culturale che avanzava la sua candidatura.

Esplorare l’eredità poetica di Mario Luzi, che ancora oggi rimane così viva, è una impresa molto complessa, peraltro compiuta da Stefano Verdino, il quale conobbe personalmente il poeta negli ultimi anni della sua vita ed ebbe l’onore della sua fiducia e amicizia.

A cura di Verdino si devono le due pubblicazioni di tutta l’opera poetica di Luzi: la prima è del 1998 con la casa editrice Arnoldo Mondadori, giunta alla ottava edizione (collana I Meridiani); la seconda è della casa editrice Garzanti del 2014: Poesie ultime e ritrovate, pubblicate postume.

Man mano che venivano scovate tra le numerose carte del poeta, dattiloscritte o manoscritte su fogli singoli e su varie agende, Verdino durante le abituali passeggiate ne parlava con Luzi, il quale spesso si meravigliava delle emozioni espresse in quei versi, degli spunti poetici incompleti e appartenenti ad una fase da lungo tempo superata dal suo percorso, sebbene non del tutto abbandonati perché riproposti in liriche successive. In una di quelle conversazioni, Luzi dice: “Si sente che ero molto preso dalla filosofia… Trovo qualche curiosa affinità con quanto oggi mi viene di scrivere, a quasi settant’anni da questi fogli” (Luzi, Poesie ultime e ritrovate, Garzanti, Milano, 2014, pag. 591).

Per questa pubblicazione fu prezioso il ritrovamento nel 2001, presso un antiquario di Firenze, di una busta contenente un centinaio di poesie in parte manoscritte e in parte dattilografate, molte delle quali già presenti nella prima famosa silloge La barca, edita nel 1935. La busta fu acquistata anche con il contributo finanziario del Centro Studi Luziano di Pienza che tuttora tiene vivo il ricordo del grande poeta.

Credo che chiunque si accinga a esplorare quello che è stato definito il suo viaggio nell’Anima e nella Natura, debba farlo con una certa umiltà, consapevole di non potere abbracciare completamente il suo vasto orizzonte. Per parte mia non posso che ricordare questi versi iniziali di una sua poesia: “Oh quanti sono/ che di me non sanno/ ma attraversano il mio campo/ come loro proprietà…(M. Luzi, op.cit., pag.554).

La barca diede subito grande notorietà al poeta. Luzi, già da studente liceale, aveva sperimentato vari tentativi poetici sollecitati soprattutto dalle numerose letture di poeti come Shelley, Leopardi, Pascoli, di scrittori come T. Mann, Proust, Joyce e di filosofi come Gentile e Croce.

All’Università di Firenze ha come docenti di italiano Attilio Momigliano e di filosofia E.P. Lamanna. Frequentando il caffè di via Cavour ha la possibilità di conoscere amici come Leone Traverso che presto diventerà famoso come “germanista” (traduttore di Rilke e amico della poetessa Cristina Campo), Bargellini, Betocchi, Bilenchi, Carlo Bo. Quando nel 1935 viene pubblicata la prima raccolta di poesie La barca e presentata ai suoi amici in gran parte legati all’ermetismo, la corrente poetica che allora suscitava grande interesse, non mancarono gli apprezzamenti per i suoi versi particolarmente eleganti, elaborati e ricchi di immagini metaforiche: “Amici ci aspetta una barca e dondola/ nella luce ove il cielo s’inarca/ e tocca il mare”.

Si prefigura, dunque, un viaggio che si presenta come esplorazione della interiorità dell’uomo e della bellezza della Natura. In questo suo primo approccio alla poesia sono presenti la maggior parte dei temi fondamentali che accompagneranno tutto il suo itinerario poetico: la fragilità della vita, la brevità del tempo, la morte come destino infallibile. C’è tutto un aspetto metafisico che egli ha potuto sperimentare, sia per la fede cristiana trasmessagli dalla madre, alla quale era legato da grande affetto, sia con le sue letture filosofiche a partire dalle Confessioni di Sant’Agostino.

Tale aspetto metafisico che egli stesso riconosce come “pensiero poetante”, si coniuga con l’aspetto fisico, cioè con la riflessione sulla natura, e qui trovano posto elementi come i fiumi, il vento, il borgo, la campagna, ma anche la figura femminile, che Luzi avrà sempre nel cuore. Per mezzo di un lessico sempre elegante, espressamente ricercato, segno più che evidente della sua già consolidata fede letteraria, alimenta il colloquio con l’anima, constata la fragilità del vivere, il destino di sofferenza, la brevità della vita dell’uomo sulla terra, ma anche il mistero dell’amore e il desiderio profondo di bellezza che lo aiutano nel suo viaggio avventuroso, conoscitivo, emotivo e sentimentale. Il paesaggio è quello della sua amata Toscana, la Val d’Orcia, l’Arno, Siena, Firenze.

In questo primo tratto del suo itinerario poetico, Luzi già manifesta il suo interesse per la cultura e letteratura francese: è influenzato dal simbolismo di Mallarmé, di Rimbaud e dal surrealismo di ‘Eluard. Con questa esperienza poetica, egli comincia a distanziarsi dall’ermetismo, la realtà diventa più sfumata, c’è quasi una forma di scontro con le cose: gesti, figure, colori, assumono una presenza avvolta nell’ombra, nell’immaginario del mito. In Avvento notturno e in Un brindisi, infatti,

 Luzi preso quasi da una febbre immaginativa dilata l’esperienza simbolica fino a coinvolgere non solo singoli aspetti dei personaggi (sorrisi, gesti…), ma anche una realtà più ampia, come la città, il mondo della cultura occidentale, il suo impegno civile e morale. Si tenga presente che il poeta scrive in quegli anni del fascismo, di preparazione del conflitto mondiale. La poesia è l’unica possibilità per esprimere il senso di solitudine che il poeta avverte dolorosamente. I suoi versi si

concretizzano mirabilmente in un canto raffinato, che crea una realtà altra da quella presente, così dura e difficile. Parole come tenebre, notte, morte, simboleggiano tutta l’incerta quiete della sua indole, lo sgomento che prova dinanzi agli eventi intrisi di profonda tristezza.

Sotto questo aspetto è indubbio che la situazione spirituale nella quale Luzi si muove, ci fa pensare ad un accostamento a poeti come Mallarmé e Dino Campana. Ma c’è dell’altro.

Se questi primi due libri, La barca e Avvento notturno, che fanno parte de Il giusto della vita, furono subito riconosciuti dalla critica e dai lettori come un ottimo esperimento ermetico, oggi siamo più inclini a dare ragione a Luzi che non gradiva questo giudizio a suo parere troppo restrittivo. E in effetti è così: egli si allontana da quella immagine di viaggio come sogno e desiderio e dalla perfezione espressiva che caratterizza La barca, per avviarsi verso una forma più colloquiale, verso un codice discorsivo e prosastico (Un brindisi, Primizie del deserto), verso una scrittura che si scontra con la realtà dolorosa della guerra.

In un clima di tal genere, Luzi inaugura il “tu”, che gli consente di interrogarsi e di interrogare.

Rivolto a se stesso, vede cambiata la percezione del reale rispetto al lirismo del passato: il presente è come abitato dall’eternità, il tempo è come confluente con l’eterno in direzione della visione agostiniana. Gli cresce quella tensione etica che lo spinge al rinnovamento della sua poesia, a rapportarsi con il messaggio cristiano, elevando nel contempo il suo codice linguistico (tono biblico e latinismi), al punto da procurare ai suoi detrattori una inaspettata sorpresa per la svolta del suo itinerario: costoro, dopo l’esperienza ermetica, credevano infatti ormai concluso il percorso della sua opera poetica.

Rivolto agli altri, il tu gli consente di avvertire lo scorrere di una vena di malinconia che investe la vita quotidiana dell’uomo. Saranno tanti gli eventi che lo turberanno gravemente: la morte della madre, lo sconvolgimento per la perdita della fede cristiana del suo amico Carlo Betocchi durante la malattia negli ultimi anni di vita, il dolore per la triste sorte di giovinette conosciute nell’adolescenza.

Su quest’ultimo aspetto è opportuno ampliare in maniera consistente l’attenzione perché costituisce un punto nodale della sua esperienza

poetica. E’ il femminile che a più riprese lungo tutto il suo percorso appare come l’occhio che guarda alla vita, alla storia, alla natura, con delicatezza, con sorprendente tenerezza, con profonda malinconia per la fugacità della bellezza, per il vivere angoscioso della giovinezza: “ognuna porta il dolore della giovinezza… muto il tempo si avvolge intorno alla vostra bellezza” (Giovinette).

Luzi legge soprattutto nei profili femminili quel senso della vita che è continuità e discontinuità, equazione esistenziale di piacere e dolore, di logos e di caos. A questo punto del suo itinerario poetico assistiamo ad una sorta di sintesi spirituale, non certo semplicemente estetica e formale, tra ciò che gli vive dentro e il fuori. Grazie a quel tu amoroso concretizzato in figure femminili, il poeta è pronto a modificare la sua prospettiva di vita in direzione di una verticalità, di una ricerca totale che si fa ascesi, consentendogli l’uscita dalla propria soggettività. Ce ne accorgiamo facilmente dall’intensificarsi del modulo interrogativo presente nei suoi versi.

E’ indubbio che già a partire dalla raccolta Onore dal vero, dopo l’accentuarsi del senso della fragilità della vita attraverso l’esperienza della morte della madre, Luzi avverte il bisogno di curare in modo particolare la sua interiorità che lo induce ad approfondire lo sviluppo verso la trascendenza. Il risultato più evidente è che riflette sulla complessità della vita e coglie, al di là delle perdite, quella confortante continuità tra le due potenti energie dell’amore umano e dell’amore per la natura. Sia nella figura femminile, specialmente della madre, sia nella natura, vede due fonti di vita, la maternità, che si equivalgono. Non è difficile capire, perciò, perché Luzi cominci a mettere in ombra senza rimpianto una certa poesia araldica e letteraria e passi a una poesia più naturale. (Come non pensare per analogia al Carducci della poesia in morte del figlio “Pianto antico”, dopo quasi tutto il suo itinerario poetico e letterario?).

Il tema luziano della continuità e discontinuità della vita non spunta improvvisamente da un giorno all’altro, comincia a manifestarsi in Questa vita, dove appunto il brulichio della vita convive con le scene di caccia che ci fanno pensare, alla sofferenza, allo sterminio, alla morte.

Ma è in particolare nella raccolta Nel magma che questa rinnovata percezione della vita, presente come filo sotterraneo e traccia in precedenti liriche, trova il suo completo sviluppo in Primizie del deserto. Qui l’io non è soltanto l’io lirico, intimo, ma è un io che nasce dalla relazione con una sofferta esistenza: gli incontri in osteria, i girovaghi, le scene dal vero di borghi flagellati dal vento e dalla pioggia, il quotidiano e il rapportarsi continuo con gli altri. Il contatto con l’umanità che soffre, che vive nel disagio, nel dolore, modella il suo io senza tuttavia precipitarlo in quella disperazione, che per esempio attanaglia l’anima di Camillo Sbarbaro. Luzi accetta tale realtà che è compresenza di vita e di morte, appunto di pensiero ordinatorio, organizzativo (logos) e di distruzione, caduta disordinata, morte (caos).

Luzi ci fa intuire il dibattito che si infiamma nella sua anima. Accade in lui una scissione interna che gli dà conferma della insufficienza del suo antico io lirico nell’affrontare la vita umana. Ora anche il suo io sembra un personaggio che si mescola agli altri io, che li affronta e si pone in posizione di ricerca in mezzo a situazioni incerte e problematiche, riguardanti crisi di natura intima come in L’uno e l’altro, In due o in Mènage: “La ricordo ora non più sola, diversa/ nella stanza più interna della casa/…folgora il suo sguardo gioioso/…come offeso/ dalla presenza dell’uomo che la limita e la schiaccia/…Non in questa vita, in un’altra/…sgorgando una luce insostenibile/ lo sguardo di lui che ostenta altri pensieri/ dell’uomo di cui porta e forse li desidera, le carezze e il giogo”; oppure in altre contese politiche come nel caso dei giovani di sinistra che l’accusavano di non aver fatto abbastanza per la Resistenza. Uno del gruppo degli ex partigiani che incontra si ferma e agitando il capo gli dice: “O Mario, ma è terribile, è terribile tu non sia dei nostri/. E piange, e anche io piangerei/ se non fosse che devo mostrarmi uomo…/Non potrai giudicare di quanti anni vissuti a cuore duro/ mi dico, potranno altri in un tempo diverso… (Presso il Bisenzio).

E’ cosi che Nel magma Luzi si muove tra ferite aperte, con la constatazione di una reale inadeguatezza dell’agire umano di fronte agli eventi, ma comunque sempre aperto al segreto richiamo della trascendenza e alla disponibilità a saper captare la bellezza anche nei piccoli e normali gesti quotidiani, come quando osserva quella giovinetta che si toglie il grembiule per la sua ora di libertà: “la via s’accende scaglia a scaglia/ e qui nel bar il giorno ancora pieno/ sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio/ per le ore di libertà”… (Il giudice).

La fede cristiana nei versi di Luzi è presente e viva proprio perché gli ostacoli, le difficoltà della vita quotidiana, le sofferenze sono vissuti evangelicamente, non come premessa di disperazione, ma al contrario come prova, come mezzi per accrescere la speranza e l’amore. Quando l’uomo resta chiuso, quando è prigioniero del suo egoismo e resta lontano dalla luce, guarda al “non-ancora” dell’universo come sofferenza e perdita. E’ la fede che lo salva nel difficile cammino.

Nel magma appare matura, consolidata, una poesia-pensiero in cui anche attraverso l’uso prosastico del linguaggio e il ricorso a dialoghi dal livello non elevato ma piuttosto basso e frammentario, Luzi narra del potere, del fanatismo delle ideologie, dell’andamento della storia, della società, non sempre volta al progresso civile e morale. Questa raccolta, sin dalla sua pubblicazione nei primi anni sessanta del secolo scorso, venne ritenuta come il frutto di una svolta radicale, di un mutamento di prospettiva, tanto che qualche critico parlò di una vera e propria rivoluzione copernicana.

Anche nella successiva raccolta Su fondamenti invisibili continua il dibattito intenso dell’anima con se stesso, nel suo livello di io, di ragione, di coscienza, di desiderio. Il sogno dell’uomo è sempre acceso, l’anima ritrova motivi vivificanti che si confrontano con le sofferenze del mondo nei vari catastrofici eventi. In tale contesto il poeta non può non considerare che sciocchezze, al confronto, certi passatempi della vita, come per esempio il carnevale di Viareggio. Simili eventi di festa, di spensieratezza, di trasgressione, sono sempre accompagnati dalla malinconia. L’alienazione in queste esperienze di disinibizione è vista da Luzi come qualcosa che arreca dolore e sofferenza, per cui si sente distante dal mondo circostante e intende rifugiarsi nella sua arte.

L’intensificarsi del dialogo che si avverte con la moltiplicazione degli interrogativi trova largo spazio nei versi della raccolta Per il battesimo dei nostri frammenti, che inaugura ancora una nuova tappa della sua poesia, non solo per un cambio di passo riguardo alla forma e al ritmo delle parole, ma anche per la presenza dei personaggi. Accanto al suo io, c’è la donna, potenza femminile, e la figura del Cristo.

Così scrive Stefano Verdino: “Gli emittenti infine…lei, io, lui. Lei è l’acme della potenza del femminile nella sua smisurata cangianza (donna, diva, madre, natura, primavera, Siena), lui è il Cristo” (Premessa Per il battesimo dei nostri frammenti, in Luzi, L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2015, pag.1272).

E per quanto riguarda la novità della forma e del ritmo, il critico registra quanto Luzi gli espone nel corso di una passeggiata: “A un certo punto ho sentito come bisogno di scalpellare, di usare più lo scalpello che il pennello… un corpo a corpo con la lingua che induce alla incisività dello scalpello… più che a una certa esteriorità del colore” (ibidem, pag.1273).

Qui dunque appare chiaro che lo sguardo del poeta non ha più la parzialità, la ristrettezza di una osservazione limitata di una umanità, quella del borgo, della campagna, degli amici, della famiglia, ma si è notevolmente allargata fino a diventare cosmico.

In questa raccolta si ha la netta conferma di un pensiero che si fa poesia, di un percorso della mente che, resasi consapevole della sua insufficienza nel cogliere la verità, si affida al cuore di un semplice frammento dell’universo per sentire l’armonia, la musica dell’essere nel suo incessante divenire della vita.

E la femminilità? Si respira in tutto il libro un clima muliebre, un’aria odorosa di donna-testimone di eventi, sia nell’ambito del privato, sia nella sfera pubblica. Circola sorprendentemente un flusso di fecondità, di energia rigeneratrice che, al cospetto del nostro presente, ci lascia sgomenti per via degli innumerevoli femminicidi, per via di una paura della maternità, così diffusa tra le donne delle nuove generazioni. C’è un tasso crescente di sublimità della figura femminile, fino a giungere all’immagine della Madonna, così elevata nel culto a lei dedicato dalla Chiesa cattolica, fortemente criticato e avversato dal monaco Martin Lutero nel Cinquecento.

Nella raccolta dal titolo Frasi e incisi di un canto salutare, si accentua il tema della fede. Il messaggio cristiano fa riferimento alla morte, alla resurrezione, alla pentecoste. Tutto il libro è un canto con al centro la riflessione sul vangelo. Il tema del divino si innesta su quello umano mettendo in luce come gli uomini solo faticosamente si siano aperti al dramma della crocifissione di Cristo. Anche qui c’è una figura femminile, Angelica, che simboleggia la forza rigeneratrice, la forza della seduzione, la forza di maternità e di sofferenza.

Ma è sicuramente nella prodigiosa raccolta intitolata Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini che Luzi esprime quel tono di preghiera così commovente da darci l’impressione di una finale testimonianza e di un congedo dalla vita. E alla domanda circa la veridicità di tale impressione, il poeta conferma: “Devo dire che molti aspetti accessori… mi sono sembrati piuttosto insostenibili se non portavano a certi rendiconti, a certe invocazioni ultime. Forse questo ha dato la piega… come testamento, anche perché è l’ultima stagione di Simone. Ed il viaggio è il nostos, ma non al punto di partenza, e Siena non è più Siena, è un’altra cosa” (ibidem, pag. 1292).

Il nostos non è solo un ritorno, come nel poema per eccellenza del nostos dell’Odissea, non è solo il viaggio ma è soprattutto il moto di ricerca, il senso dell’esilio, della lotta continua che l’uomo deve sostenere dinanzi agli ostacoli, alle rivalità, che il reale presenta. Il cammino qui è rappresentato dalla carovana che accompagna Simone Martini da Avignone a Siena. E’ il viaggio che realmente il pittore senese affrontò nel 1344. Luzi, che aveva una speciale ammirazione e devozione per la luminosità della sua arte pittorica, narrò con lirica immaginazione quel viaggio introducendo una pluralità di personaggi: una duplice figura femminile (Giovanna, la moglie saggia e prolifica e Giovanna, folle e sterile), lo studente di teologia che tornava da Parigi per recarsi a Siena, Donato, fratello di Simone, tutti componenti della carovana.

All’inizio Simone è presentato dormiente, cioè come immerso nel sonno-sogno, dominato dal ritmo blando naturale, in qualche modo onirico. Tutto il viaggio è in realtà, tra narrazione e lirica, l’itinerario spirituale in direzione metafisica di Simone, alter ego di Mario Luzi.

In conclusione, quanto sopra esposto vuole essere un omaggio alla poesia di Luzi, ma al tempo stesso anche un invito a leggere la sua straordinaria opera rivolto soprattutto ai giovani, i quali possono trovarvi il richiamo irresistibile verso la bellezza e anche oltre, poiché essa è corroborata dalla energia illuminante della fede cristiana, punto sicuro di stabilità, di orientamento nel vivere quotidiano e di realizzazione del progetto di vita di ciascuno.

Tra l’altro i versi di Mario Luzi sono tra i più immediati e leggibili dell’ampio panorama poetico italiano.

Bibliografia

L’intera opera poetica di M. Luzi è contenuta nei due seguenti volumi:

  1. M. Luzi, L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di Stefano Verdino, Milano, Mondadori, 2015, pp.1908

In questo volume si può consultare la sterminata bibliografia del poeta.

  • M. Luzi, Poesie ultime e ritrovate, a cura di Stefano Verdino, Milano, Garzanti, 2014, pp.770
Mario Luzi