di Paolo Protopapa
La mente dei bambini, diceva Maria Montessori, è (attività) assorbente. Non c’è termine più adeguato per stabilire il nesso tra percezione sensoriale e elaborazione concettuale.
Appena diventiamo più grandi l’assorbimento si attenua, sino a rendere sempre meno assorbente l’immediatezza percettiva delle immagini con il passare del tempo.
Accade, infatti, che, impressioni vecchie, cioè antiche e remote, considerate scomparse, tornino poi, invece, prepotentemente alla luce. Quindi non erano ‘simulacra’ morte, ma ‘eidòla’ solo dormienti.
Anche Karl Marx nella sua ‘Arte greca’ (un paio di paginette che scrisse tra un pensiero scientifico e l’altro nel 1857) parlò di “un’infanzia perenne dell’umanità che si ripete nel bambino”. Egli, in un momento di svago creativo, si riferiva a sé stesso che, con candore quasi emotivo, si riscopriva innamorato degli eroi omerici. In particolare Achille e Ettore. E che raffrontava col suo tempo vivente ormai disincantato e sentimentalmente arido e aggiogato dal demone economico. Questo accenno al bambino, diciamo, innamorato (e ai Greci “bambini normali”, come mi sforzo dopo tanti decenni di citare a memoria!), se riflettiamo, apre tante chiavi interpretative. Ancora più ricche del noto ‘fanciullino’ della poetica pascoliana. Perché è anche in gioco una qualche possibile peculiarità della differenza delle identità tra comunità ed esiti culturali e civili.
Se, dunque, anche noi, come il barbuto genio di Treviri, escludiamo i “bambini ingenui”, da una parte, e i “bambini saputi come vecchietti”, dall’altra parte, ci rimangono, appunto “i bambini normali”, come egli appropriatamente li considera . Perché i Greci (solo loro?) erano bambini normali? E cosa significa attribuire ad un bambino la ‘normalità’?
Significa, a mio parere, consegnare il concetto di “infanzia dell’umanità”, nonostante tutto, ai tempi dell’incantamento aurorale di ogni civiltà. Compresa, soprattutto, la nostra “commozione” (citata così) dinnanzi alla sconfitta degli eroi. E, al contempo, significa anche ricavarne un paradigma ermeneutico per la progressività storica dei popoli.
Quando, nel nostro caso, guardiamo il mondo con gli occhi dei “Greci-bambini normali”, e la loro mente – per dirla con i filosofi post-socratici – è “piena di dei”, allora e solo allora entriamo nel mondo topico della nostalgia. Che, in senso filosofico (e novalisiano) altro non è che nostalgia concepita come “desiderio di sentirsi dappertutto in casa propria”. È qui qui che la casa – anche in senso heideggeriano (‘Hebel. l’amico di casa’) – è il proprio io, intimo e immaginativo, per nulla ancora seriale e aggiogato dalla e alla tecnica debordante del razionalismo imperante. E probabilmente è una casa perduta che si vuole tornare ad abitare, pur riconoscendone l’impossibilità fattuale.
Nella mente dell’adulto ‘ancora’ bambino normale resiste, pertanto, non l’infanzia ridicola (in quanto patetica) del ‘pensiero ingenuo’ su cui lavorano egregiamente gli antropologi presuntuosi, bensì la libertà creativa su cui riflette l’arte della poesia. Che se è ‘poiesis’, non può non essere anche e fortemente filosofia.
In fondo – come compresero Nietzsche e i suoi migliori critici – solo la sapienza ci salverà. E sapienza è il lungo, arrotolato e ingarbugliato, formidabile filo di immagini della mente che tentiamo di srotolare. Da quella infanzia dell’umanità sino ad oltre. Quando l’oltre potrebbe farci approdare ad una più adulta infanzia, nonostante la vetustà di un Occidente affaticato e forse disperatamente esausto.
Paolo Protopapa.