Poesie liberamente ispirate ai miti ellenici di Lidia Caputo

Adone-e-Venere-di-Paolo-Veronesi-olio-su-tela

Adone
Quando Ares possente,
ostile al tuo idillio
con la sposa sua, Afrodite,
per sempre ti costrinse
nell’ Ade,
non dell’amata Cipride
o delle vergini danzanti
nei fioriti equinozi
serbasti memoria….
Anelavi invece
al radioso padre Sole,
ai frutti dorati,
la mela e il melone,
umile prole
della terra e del cielo divino[1].
20 ottobre 2020 Lidia Caputo
[1] Cfr. Prassilla, fr. 1 Edmonds.

Alcesti
“Per il volgere
di dodici lune
non risuonino
nella città di Fere
di flauto melodie
o di cetra”[1].
Tale fu l’editto di Admeto,
lo sposo tuo diletto,
inclito re di Tessaglia,
quando Ade ti strappò
ai tuoi teneri affetti,
intrepida Alcesti.
Al posto del consorte,
avevi offerto la vita,
il tuo giovane sangue,
sacrificio supremo,
che né il padre di Admeto,
né la madre, già consunti
dai senili affanni,
cuore ebbero di affrontare
per salvare l’unico figlio.
Varcando la soglia ferale,
di armille e preziose sete
rifulgevi, come il sole,
ma nel cuore ti struggevi
per la precoce fine
che tu stessa avevi abbracciato.
Trafitta dall’angoscia,
la provvida Estìa[2],
non per te imploravi,
ma per i teneri figli
orfani della mamma,
nella sventura inermi.
Lacrime ardenti
per lo sposo effondevi
sul talamo, dove il cinto
sciogliesti di vergine
e ora proprio per lui
la vita abbandonavi
e le nuziali gioie.
Come in sogno vedesti
l’ignaro Eracle raggiugere
nel fatale giorno
la reggia di Fere,
ospitalità impetrando,
prima dell’ardua impresa
di aggiogare e ricondurre
al re tirinzio i puledri
da Diomede rapiti.
Liberale accoglienza
ebbe il prode figlio di Zeus,
da Admeto straziato
da cocente rimorso
per averti perduta,
con l’ospite sacro munifico.
Sdegnò il possente Eracle
il sontuoso banchetto,
appena la tua cruda fine apprese.
Senza indugio l’alcmeonide
negl’inferi discese
e con braccio vigoroso
domò Thanatos
che ti ghermiva,
strappandoti al giogo fatale.
Velata e stranita,
ti riportò Eracle
tra le braccia dello sposo
incredulo come te,
per l’inatteso,
prodigioso evento.
Con inni agli dei
Admeto, la reggia,
l’intera Tessaglia,
il tuo ritorno alla vita
celebravano, acclamando
la vittoria sull’Ade :
più forte della morte
è un eroe riconoscente,
della morte più potente
d’ una tenera donna l’amore .
Camigliatello Silano, 27 ottobre 2020 Lidia Caputo
[1] Cfr. Euripide, Alcesti, a cura di G. Paduano, vv. 343 sgg., p. 82, Ed. Bur, Milano, 1998.
[2] Dea del focolare domestico come la romana Vesta.

Prometeo
Eterno moto
di astri e pianeti
nell’universo,
impetuoso fluire di acque
verso oceani palpitanti di vita,
lungo ameni declivi
trotterellare di bimbi,
planare di gabbiani
su tramonti marini :
“πάντα ῥεῖ”,
tutto si muove sotto
l’arco teso del cosmo!
Io solo, Prometeo,
di Giapeto titanica prole,
degli uomini artefice
con la creta e il fuoco vitale,
sto, immoto e inchiodato,
per tutte le membra
della desolata Scizia
alla rupe fatale.
Innocente e amabile dio
fui crocifisso da un dio,
da Zeus eccelso,
furente con me
per avergli sottratto
e ai mortali elargito
la scintilla del fuoco,
luce della mente e calore
nelle algide notti.
Prosciugato dai raggi
dell’implacabile Elios
dalle tempeste squassato,
urla il mio corpo:
Come osi, Cronide,
proclamarti inclito
Signore di Giustizia,
tu ingiusto, vendicativo,
ingrato contro me,
che i titani piegando,
vittorioso ti insediai
sul tuo trono di sangue ?
Ogni limite di brutale
violenza superasti,
del padre Crono assassino,
quando la tua aquila
ogni giorno inviasti da me,
alla rupe incatenato,
per dilaniarmi
il fegato che nel notturno
stellato ricresceva.
Giorno verrà che i mortali
scaglieranno via dai templi
gli dei falsi e malvagi come te…
Da remote contrade giungerà
Eracle Alcmeonide,
alla solinga rocca
per liberare le membra mie
da Zeus straziate.
Tra danze e cori festosi
sarò salutato eroico padre
degli oppressi, iniziatore
di un’era nuova
di concordia e amore.
Lecce, 4 novembre 2020 Lidia Caputo
Riflessione sulle poesie ispirate ai miti ellenici
Dall’ infanzia ho subito il fascino dei miti ellenici, leggendo i testi antologici di Omero, Esiodo, dei poeti lirici, presenti nella ricca biblioteca di mia madre, docente di lettere, e di mio padre cultore di letteratura e poesia di ogni epoca e latitudine.
Ho ereditato la vena poetica da mio padre, Erminio Giulio Caputo, considerato da Giacinto Spagnoletti, Oreste Macrì, Mario Dell’Arco, Donato Valli ed altri illustri critici, uno dei maggiori poeti contemporanei in vernacolo salentino, insieme a Nicola De Donno e Pietro Gatti.
Ho scritto poesie fin dall’adolescenza e ho continuato, tranne qualche intervallo, a comporne fino ad oggi, ottenendo numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Ungaretti, il Premio Voci d’Europa con pubblicazione sull’omonima antologia e il Marengo d’ Oro durante il Concorso Letterario di Sestri Levante del 2004. Oltre alle mie liriche comparse sull’antologia Todariana, ho dato alle stampe il dramma storico, Gerusalemme, il giardino di Miriam e Salman, La Mongolfiera, 2003.
Durante gli anni di studio presso il Liceo Classico Palmieri e il corso di laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Lecce, ho maturato una grande passione per la civiltà e la letteratura greca. Ho conseguito la laurea cum laude, discutendo una tesi sull’Elena di Euripide.
Ritengo che anche oggi, in questo drammatico snodo della storia mondiale , il mito e la tragedia greca siano di fondamentale importanza per comprendere il significato di tanti eventi che suscitano in noi timore e angoscia, ma che possono essere interpretati alla luce della sapienza degli antichi Elleni.
Lecce, 08/11/2020 Lidia Caputo