Presentazione del libro “Rapsodie dal cielo” di Gabriella Colletti, l’8 luglio ore 19 presso la Biblioteca Bernardini di Lecce a cura di APSEC-LECCE

di Pompeo Maritati

Rapsodie dal cielo di Gabriella Colletti si presenta come un’opera poetica sospesa tra sogno e rivelazione, un itinerario dell’anima che si snoda attraverso visioni, memorie e presenze silenziose che abitano la parola. La raccolta si configura come un insieme di frammenti lirici che non seguono una linearità narrativa, ma si offrono come lampi, istanti, percezioni, ognuna delle quali carica di una forza evocativa che scaturisce dal cuore più profondo della scrittura.
Fin dalle prime pagine, la poesia si impone come atto necessario, come confessione e apertura verso un altrove, come attraversamento di quella soglia fragile tra il visibile e l’invisibile. Il lessico si modella su registri sensoriali e metafisici, in cui i colori, e in particolare il blu si fanno significato, sostanza, forma mentale. Il blu non è solo il colore dominante, ma la cifra interiore dell’intera raccolta: è il segno di una condizione esistenziale che non si radica nel presente, ma che continuamente tende verso un’altra dimensione. È il blu di chi, pur vivendo in questo mondo, ne coglie le trasparenze dell’oltre.
Le rapsodie, come suggerisce il titolo, non si impongono come componimenti chiusi, ma come movimenti liberi, intensi, musicali, capaci di fondere emozioni e immagini in una partitura senza tempo. Il ritmo interno dei testi è spesso scandito da pause, ripetizioni, spezzature, in cui ogni parola sembra sostare prima di trovare il suo posto definitivo. Colletti adotta uno stile che non indulge mai nell’enfasi, cercando nella rarefazione e nella leggerezza la forza della sua espressione.
Molte liriche si dispiegano come piccoli quadri impressionisti, capaci di catturare la fugacità dell’attimo: “Una fetta di limone / la luna in una tazza di tè nero” è immagine che riassume in sé il gesto quotidiano e l’apertura cosmica, l’intimità domestica e il simbolo universale. La scrittura diventa così pittura, alchimia, e il mondo che ne emerge è al tempo stesso concreto e visionario.
Tra i temi ricorrenti, la memoria assume un ruolo centrale. I versi evocano figure che non sono più visibili, ma continuano a esistere nel ricordo e nella parola: i genitori, gli animali amati, le presenze perdute che restano saldamente ancorate nell’interiorità. Le assenze si fanno presenze tangibili, come se la poesia riuscisse a trattenere ciò che la vita reale inevitabilmente dissolve. Si legge, ad esempio: “Anche le ombre son fatte di luce”, a indicare come la perdita non sia mai assoluta, ma sempre abitata da una traccia viva, da un riflesso persistente.
Il Gatto blu, Tito, le mani della madre, il sorriso del padre, sono immagini che ritornano e si trasformano, divenendo emblemi di un amore che attraversa il tempo e resiste alla morte. Le rapsodie si fanno così canto della resilienza affettiva, del legame che continua a sussistere anche nell’assenza, e la poesia diventa l’unico spazio possibile dove custodire l’invisibile.
Gabriella Colletti dimostra in ogni verso una padronanza consapevole dell’equilibrio tra immagine e pensiero. Non cerca mai l’effetto, ma lavora in profondità, scavando nella parola per raggiungere il nucleo emotivo più autentico. Alcune poesie sembrano scaturire da uno stato di contemplazione estatica, altre da una ferita ancora aperta. Tutto il libro è percorso da una tensione verso la luce, anche quando si sofferma sul dolore, sul silenzio, sulla perdita. L’ora blu, che ricorre in più testi, si configura come il tempo simbolico in cui tutto si sospende, in cui anche la sofferenza sembra assumere una forma lieve, quasi consolatoria.
Il paesaggio interiore si intreccia spesso con il paesaggio naturale. Le città, i mari, i cieli, i ponti, le piazze, diventano teatro simbolico in cui si proietta l’esperienza personale. Ortigia, San Pietroburgo, il Danubio, la Neva, diventano più che luoghi geografici: sono spazi del sentire, luoghi dell’anima. Così come accade con i dettagli più minuti, una piuma, un fiore, un frutto che si caricano di significati esistenziali e spirituali.
L’ultima parte della silloge si apre a riflessioni di respiro esistenziale e universale. Il legame tra amore e morte, il senso dell’attesa, il valore dell’istante, vengono affrontati con una leggerezza apparente che nasconde una profondità filosofica. La poesia si fa interrogazione, ma anche risposta.
Gabriella Colletti, in Rapsodie dal cielo, non si limita a offrire un libro di versi, ma costruisce un universo poetico coerente e suggestivo, in cui ogni parola è scelta con cura, ogni immagine nasce da un’urgenza espressiva autentica. È una poesia che non si impone, ma accompagna; che non afferma, ma accoglie; che non spiega, ma fa sentire.
Si avverte, leggendo, che l’autrice vive la poesia non come esercizio letterario, ma come forma di esistenza, come modo di abitare il mondo. Una poesia che custodisce, consola, illumina. Che non teme di dire il dolore, ma sa anche restituire bellezza. Una poesia che, come scrive lei stessa, ha il coraggio di affermare:
“Non temere di morire per vivere. / Vivi. / Ascolta. / Taci. / Canta”.
È questa la voce che resta, alla fine della lettura. Una voce limpida, sincera, necessaria. Una voce che, nel suo azzurro silenzio, continua a cantare.
Pompeo Maritati
Gabriella Colletti è nata a Milano nel 1967, vive a Novara dove insegna materie letterarie in un istituto superiore.
Pubblica testi di critica, narrativa e poesia dal 1998. Collabora con varie riviste.
Nel catalogo Manni, del 2014, il romanzo La nostalgia dei girasoli.