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Primo Maggio: una data da non dimenticare

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Per i cento anni della festa del lavoro

Per i cento anni della festa del lavoro

Di Maurizio Nocera.

«Il mio Maggio//A tutti,/ a quanti, spossati dalle macchine,/ si sono riversati per le/ strade,/ a tutti,/ alle schiene sfinite dalla terra/ e che invocano una festa,/ il Primo Maggio!/ Al primo fra tutti i maggi/ andiamo incontro, compagni,/ con la voce affratellata nel canto./ È mio il mondo con le sue primavere./ Sciogliti in sole, neve!/ Io sono operaio,/ è mio questo Maggio!/ Io sono contadino,/ questo Maggio è mio!/ A tutti./ A quelli che, scatenata/ l’ira delle trincee,/ si sono appostati in agguati omicidi,/ a tutti,/ a quelli che dalle corazzate/ sui fratelli/ hanno puntato le torri coi cannoni,/ il Primo Maggio!/ Al primo fra tutti i Maggio/ andiamo incontro,/ allacciando le mani disgiunte dalla guerra./ Taci, ululato del fucile!/ Chetati, abbaiare della mitragliatrice!/ Sono marinaio,/ è mio questo Maggio!/ Sono soldato,/ questo Maggio è mio!/ A tutte/ le case,/ le piazze/ le strade,/ strette dall’inverno di ghiaccio,/ a tutte/ le fameliche/ steppe,/ alle foreste,/ alle messi,/ il Primo Maggio!/ Salutate/ il Primo fra tutti i Maggi/ con una piena/ di fertilità, di primavere,/ di uomini!/ Verde dei campi, canta!/ Urlo delle sirene, innalzati!/ Sono il ferro,/ è mio questo Maggio!/ Sono la terra,/ questo Maggio è mio!».

Questi che abbiamo letto, sono i versi inconfondibili del grande poeta russo Vladimir Majakovskij che, il Primo Maggio 1922, li scrisse per onorare la Festa dei lavoratori di ogni parte del mondo.

Festa del primo maggio del 1901

Ma che cosa vuole significare questa data? Nella storia sociale dell’Ottocento, il Primo Maggio nasce dalla lotta dei lavoratori per la limitazione del tempo di lavoro. Prima di questa presa di coscienza degli operai non c’erano limiti di tempo al lavoro manuale, soprattutto subito dopo la generalizzazione dei processi di produzione sul modello capitalistico.

La presa di coscienza avvenne per gradi. Nel 1856 i coloni australiani avevano scelto una data, il 21 aprile, da dedicare ad alcune manifestazioni per la rivendicazione delle 8 ore lavorative e nel 1866, negli Stati Uniti, a Baltimora, un congresso del sindacato aveva approvato una mozione in cui si affermava:

            «La prima e grande necessità del presente per liberare il lavoro di questo paese dalla schiavitù capitalistica è la promulgazione di una legge per la quale otto ore devono costituire la giornata lavorativa normale in tutti gli Stati dell’Unione Americana. Noi siamo decisi a impegnare tutta la nostra forza fino a che sarà raggiunto questo glorioso risultato».

Anche in Europa le manifestazioni per le 8 ore lavorative erano numerose e molto partecipate. Tanto che, nel 1866, alla riunione plenaria della Prima Internazionale, i rappresentanti dei lavoratori approvarono questo deliberato:

            «Consideriamo la riduzione delle ore di lavoro una condizione preliminare senza la quale ogni altro tentativo di miglioramento e di emancipazione è destinato al fallimento. Occorre ridare energia e salute alle classi lavoratrici, nucleo vitale della Nazione. Ugualmente importante è assicurare loro possibilità di sviluppo intellettuale, di relazioni sociali e di attività politica. […] Proponiamo 8 ore di lavoro come limite legale della giornata lavorativa».

In quella stessa riunione fu fissata la divisione del tempo di lavoro di una giornata di un operaio: 8 ore da destinare al lavoro, 8 ore allo svago e all’istruzione, 8 ore al sonno. I primi paesi nei quali fu possibile raggiungere alcuni parziali risultati di questa decisione, a iniziare dalla riduzione della giornata lavorativa a 10 ore al giorno, furono l’Inghilterra e gli Stati Uniti. In quest’ultimo paese le lotte degli operai si erano protratte per decenni fino ad arrivare alla conquista delle 8 ore lavorative nel 1868, allorquando una legge federale istituì la giornata di lavoro in tutti gli enti pubblici e per tutti i lavori direttamente eseguiti o commissionati per conto dello Stato. Non tutti però rispettarono la legge, anzi, ci fu chi non ne tenne minimamente conto, per cui le lotte continuarono fino al 1884 quando, al IV congresso dell’American Federation of Labor, svoltosi a Chicago, venne assunta la mozione seguente:

            «Otto ore costituiranno la durata legale della giornata di lavoro a partire dall’1 maggio 1886, e noi raccomandiamo alle organizzazioni sindacali di questo paese di fare promulgare delle leggi conformi a questa risoluzione, a iniziare dalla data convenuta».

Era dunque il Primo Maggio 1886. Una data storica e ciò accadde negli Stati Uniti d’America. Ciò significa che venne data valenza simbolica ad un giorno particolare che negli USA coincideva con il giorno in cui le aziende e i lavoratori solitamente andavano a firmare i contratti d’ingaggio. Ma non ci fu solo questo, perché nella data del Primo Maggio americano c’erano anche motivazioni folcloriche legate alla storia del “nuovo” continente come, ad esempio, il già avvenuto ingresso della primavera e la rinascita dei nuovi cicli naturali.

Ovviamente non tutto filò liscio come l’olio, perché ci furono molte resistenze alle nuove norme, tanto che il sindacato, in quella stessa data del Primo Maggio 1886, si vide costretto a indire uno sciopero generale e contemporaneo nelle maggiori città statunitensi per il rispetto delle 8 ore di lavoro. Quel Primo Maggio negli Stati Uniti scioperarono 340.000 operai che in corteo sfilarono per le strade di New York, Pittsburg, Baltimora, Saint-Luis, Luisvelle, Washington e Chicago. La parola d’ordine di tutti fu:

            «A partire da oggi – Primo Maggio 1886 – nessun operaio dovrà lavorare per più di otto ore al giorno! / Otto ore di lavoro! / Otto di riposo! / Otto ore d’educazione!».

Nella città di Chicago, dove le reazioni dei datori di lavoro si mostrarono più dure, le agitazioni continuarono oltre lo stesso Primo Maggio. Il 2 più di 40.000 operai manifestavano ancora per le vie cittadine.

In tutta la città c’era un clima molto teso, particolarmente teso era il contrasto operai-padroni alla fabbrica di macchine agricole “Mac Cormik”, dove la risposta padronale fu il licenziamento in tronco (motivazione: aver partecipato agli scioperi) di 12.000 operai e impiegati e la loro sostituzione con dei “sostituti” raccolti qui e lì nella città. Gli operai licenziati, che non volevano perdere il posto di lavoro continuarono a manifestare nei dintorni della fabbrica. Il 3 maggio una folla di 8.000 scioperanti continuò a protestare davanti ai cancelli dalla fabbrica quando fu caricata dalla polizia che sparò all’impazzata ad altezza d’uomo. Sei scioperanti caddero immediatamente uccisi, mentre 50 furono i feriti. Questo eccidio accese ancor più gli animi dei manifestanti tanto che i sindacati protrassero lo sciopero per il giorno successivo. Il 4 maggio, 15.000 operai si concentrarono ad Haymarket Square per ascoltare i comizi sindacali presidiati da ingenti forze di polizia. Alla fine della manifestazione, quando tutti stavano per ritornare nelle proprie abitazioni, una bomba esplose tra i reparti della polizia uccidendo 2 poliziotti. La reazione fu feroce. I poliziotti rimasti indenni cominciarono a sparare sulla gente che rincasava. Fu un massacro: quasi 50 morti e numerosissimi feriti. La polizia e le autorità cittadine se la presero con gli anarchici, considerati gli organizzatori degli scioperi e delle manifestazioni. Sette di loro vennero arrestati, processati sommariamente e condannati a morte. A quattro di loro l’impiccagione fu eseguita subito, uno si suicidò, agli altri la pena venne commutata in carcere. Tutta la tragedia passò alla storia del Primo Maggio come la storia dei “Martiri di Chicago”.

Ma lo sviluppo delle lotte per l’ottenimento delle 8 ore lavorative continuò ancora, fino a quando, l’American Federation of Labor indisse nuovamente una giornata di sciopero e di cortei per il Primo Maggio 1890 chiedendo, questa volta, la solidarietà delle altre organizzazioni sindacali europee. Era questo un primo segno di internazionalismo dei lavoratori, che si ripropose ancora per molte altre volte. A sancire l’adesione formale alle manifestazioni del Primo Maggio in ogni città d’Europa e degli Stati Uniti fu il congresso mondiale di tutti i sindacati allora conosciuti tenuto a Parigi il 20 luglio 1889. Fu questa una data storica. Nei mesi successivi al congresso sindacale ci furono dibattiti, prese di posizione, mozioni, ordini del giorno, fino a che non si arrivò al Primo Maggio 1890, che in Europa e negli Stati Uniti ebbe un grande successo. Da quella storica data il Primo Maggio appartiene ai lavoratori di ogni parte del mondo.

Nel 1891 la Festa dei lavoratori divenne permanente in tutto il mondo con una solenne decisione assunta al II° congresso dell’Internazionale, riunito a Bruxelles.

In Italia, durante il fascismo (1922-1945), Mussolini decise la soppressione del Primo Maggio, ma i lavoratori del nostro Paese continuarono ugualmente a manifestare la loro adesione alla festa dei lavoratori con varie forme di dimostrazioni simboliche. Chi metteva all’occhiello della giacca un garofano rosso – come fu il caso di mio nonno anarchico Vincenzo Cacciapaglia, ucciso poi dai fascisti nel 1936 -, chi scriveva sui muri “Viva il Primo Maggio”, chi si passava da mano a mano volantini o altro materiale propagandistico.

Nel 1945, con la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, il primo governo democratico e popolare reintrodusse la festa del Primo Maggio, subito dopo il 25 Aprile.

Oggi, in tempo di Covid-2019, la maledetta peste che sta uccidendo tanta gente in ogni parte del pianeta, impedirà un Primo Maggio con concentramenti di massa dei lavoratori. Tuttavia lo si festeggerà ugualmente attraverso servizi televisivi e altre interventi sui social e sulla carta stampata.  

C’era una volta il 1° Maggio… è il titolo di una bellissima canzone di Lucio Dalla, dedicata appunto alla Festa dei Lavoratori, e noi, sulle note del grande cantautore recentemente scomparso, lo festeggiamo, sia pure in quarantena, ma con grande partecipazione ideale.

Viva il Primo Maggio 2020 di lotta e Resistenza al coronavirus!

Maurizio Nocera

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