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Quando la creatività è Fabrika. Visita nell’atelier di Luigi Cannone

Opera di Luigi Cannone

Opera di Luigi Cannone

Di Paolo Vincenti

Opera di Luigi Cannone
Opera di Luigi Cannone

Lecce. In un vicolo ritorto della città vecchia si trova la bottega atelier di Luigi Cannone pittore. E lì mi porta la mia irrefrenabile curiosità, in un piccolo spazio che oltre allo studio del pittore ospita l’associazione  H24 Fabrìka, guidata dalla combattiva operatrice culturale Rosanna Gesualdo,  trait d’union fra me e l’artista Cannone.  Luigi è persona modesta e non molto loquace che lascia parlare le proprie opere, in questo avamposto urbano di passione e creatività, fumo e cultura, vino e arte, incontri e convivialità, che è il piccolo contenitore culturale che mi accoglie, in vico Dietro Spedale Pellegrini, 29/a.

Luigi, non so se per calcolata scelta o per l’istinto del momento, ha deciso di farmi ammirare due cicli pittorici: quello delle sirene e quello delle torture. Sistema le sue opere sulle panchine di pietra e nelle rientranze delle pareti della bottega a formare quasi un tondo, un semicerchio magico nel quale sarei rinchiuso se non fosse per una parete, quella dov’è la porta, rimasta aperta e dove intanto Rosanna conversa con altri avventori, ospiti dello studio. 

Luigi Cannone, leccese, classe 1955, ha iniziato a dipingere giovanissimo. E’ docente di Arte e Immagine nelle suole medie e, tra personali e collettive, vanta oltre quaranta esposizioni, tenutesi in giro per l’Italia. Nella sua pittura dominano i colori azzurro e blu e le tematiche trattate sono le più varie ma in particolare colpiscono il tema erotico e quello onirico-fiabesco. Appassionato di fotografia e anche di arte antica, in particolare bizantina, so che realizza ottime icone con tecniche tradizionali. Veniamo alle sirene. Mi sembra una tipica pittura d’ispirazione preraffaellita, con venature romantiche. In queste pitture, i colori vertono sul binomio blu- arancio oppure sul viola-giallo, il gioco luci -ombre è suggestivo e attraente.

Cannone si serve dei miti classici per calare nella nostra contemporaneità un messaggio che potrebbe avere del simbolico, come potrebbe essere messaggio sociale-civile; ma potrebbe anche essere, la sua, totale resa all’estetismo puro, alla Ruskin,  senza alcuno scopo precostituito, come dire  “l’arte per l’arte”, per usare un’espressione di Oscar Wilde simbolo di quel movimento artistico del secondo Ottocento.  Il mito delle sirene affascina gli uomini fin dalla notte dei tempi. 

Figure femminili metà donna e metà uccello: così si presentavano nelle antichissime mitologie pre-greche, e in questa forma appaiono nell’ “Odissea” di Omero ad Ulisse che, grazie ai consigli ricevuti dalla maga Circe, riesce ad attraversare indenne quel tratto di mare insidiato dalla loro presenza. Figlie del dio fluviale Acheloo, infatti, queste sirene erano esseri pericolosi per i naviganti i quali, allettati dal loro canto, perdevano il controllo delle navi ed andavano a sbattere sugli scogli dove venivano divorati dalle voraci creature. Ulisse riesce però con un abile stratagemma a superare il loro  pericolo, come testimonia l’ immagine raffigurata su un vaso attico di Vulci risalente alla metà del IV secolo a.C., in cui si vedono Ulisse legato all’albero della nave e questi uccelli dalla testa di donna precipitare irrimediabilmente in mare (ma potrei citare anche il dipinto di J.W. Waterhouse, del 1891, che riporta lo stesso episodio, tanto per rimanere nella tradizione preraffaellita nella quale mi è piaciuto inscrivere Cannone).

Secondo la leggenda, è proprio in seguito a questo episodio che le sirene (che comparivano già nel mito degli “Argonauti”, poi ripreso da Apollonio Rodio), da esseri a forma di uccello assumono la forma di pesci, forma nella quale siamo abituati a conoscerle e della quale si è impossessata tutta la cinematografia contemporanea nei numerosi film alle sirene dedicati. Nei bestiari medievali, le sirene sono rappresentate sempre come esseri metà donne metà pesce  ( in questa forma ittimorfa sono raffigurate nel celebre episodio dell’Odissea da un altro pittore preraffaellita, H.J. Draper, nel 1909). Nella letteratura moderna, da esseri demoniaci, simili ad arpie, queste dee assumono infinite connotazioni, in primis quella sensuale, e significati aggiunti.

Guadagnano quindi valenza benefica, positiva, come nella celebre fiaba di Andersen, “La sirenetta”, del 1836. Ma le sirene sono anche legate al nostro Salento. Infatti secondo un’altra tradizione, riportata da Licòfrone di Calcide (IV-III sec. a. C.) nel suo poema “Alessandra”, dopo essere state sconfitte da Ulisse, le tre sirene incantatrici, Partenope, Leucasia e Ligea, terminarono la loro vita nelle acque del Tirreno, mutando la loro natura prima di morire e dando così origine a tre diverse città. Partenope diede origine a Napoli, Leucasia, naufragando nel profondo Salento, diede origine alla nostra Leuca, Ligea invece andò a naufragare nel golfo di Santa Eufemia in Calabria. Questa versione del mito risponde alla tradizione orfica del katapontismòs, secondo cui il tuffo avrebbe trasformato le strane creature in rupi.

Le sirene di Cannone sono figure simboliche, rappresentano l’archetipo femminile primordiale e, per il pittore, simboleggiano l’attrazione fatale, con il loro canto ammaliatore, il piacere dietro cui si nascondono tante insidie. La scelta è fra restare attaccati alla ragione, come all’albero della nave, Ulisse, oppure seguire il loro desiderio e lasciarsi andare alla perdizione. Seguire la propria fantasia, l’immaginazione erotica sottesa ai dipinti di Cannone, può voler dire infatti diventare vittima dell’inganno delle passioni. Il rischio è alto, commisurato alla posta in gioco.

Leggo diversi giudizi critici sull’arte di Cannone, a firma di Ivan Serra, Silvia Cazzato, Rosanna Gesualdo, Alfredo Noccia.

Il secondo tema trattato è quello delle torture, con tante donne nude, dalle giunoniche forme, tutte legate da sottili fili di nastro rosa o azzurro a far da leit motiv fra le opere. Ma questa tematica, se non fosse per quella galleria di strumenti da tortura non a caso relegati in un apposito dipinto, mi sembra vicina al fetish o al bondage e alle pratiche sadomaso, con gli espliciti riferimenti erotici che quelle carni voluttuose suggeriscono, piuttosto che a torture vere e proprie (penso al ciclo di Abu Ghraib di Botero, per restare ad un contemporaneo). Mentre mi aggiro nel semicerchio magico e fotografo le opere, Rosanna Gesualdo, protettrice delle arti e promotrice della pittura di Cannone, sembra benedire il nostro incontro. Ma intanto il negramaro nei bicchieri è finito e così anche il mio tempo di questa recensione.

PAOLO VINCENTI

La creatività è Fabrika. Visita nell’atelier di Luigi Cannone,

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