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RASPUTIN – Le grandi figure della storia di Eliano Bellanova

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Rasputin al centro con la barba

Grigorij Efimovič Rasputin era un mugik, un contadino russo, che, dotato di una personalità magnetica ed originale, influì sui destini della Russia zarista di Nicola II.

Era un uomo di quarant’anni quando ebbe accesso alla Corte russa.

Di corporatura asciutta ed atletica, spalle larghe, era un uomo vigoroso e forte, dall’incredibile resistenza fisica, capace di sollevare pesi enormi e di percorrere molti chilometri a piedi al giorno. Sapeva cavalcare, usare la spada e la lancia e duellare con ogni arma.

Il suo viso era rozzo e grossolano, abbastanza brutto nei lineamenti. La testa era grossa, i capelli castano-scuri, mal curati, la pettinatura approssimativa con una scriminatura che divideva la folta chioma in due parti irregolari. La sua fronte era solcata da una grossa cicatrice, che ne sfigurava l’aspetto. Sul viso erano ancora evidenti i segni del vaiolo, particolarmente a livello della regione nasale, sotto cui le labbra sottili e dal pallido colore erano circoscritte da baffi mal curati. Gli occhi infossati ed i sopraccigli sporgenti gli conferivano un’aria grottesca, accentuata da una verruca gialla, che deformava l’occhio destro. La pelle era “cotta” dal sole, come in tutti i mugiki, scura, dalle rughe pronunciate, a mala pena coperte da una barba ispida, bruna e maleodorante per trascuratezza igienica.

Accreditato di eccezionale resistenza sessuale, era ambito dalle donne, anche dell’alta società… quelle donne che, sotto la loro delicatezza, nascondevano sottili ed inconfessabili appetiti. Le Corti europee – è storicamente accertato – erano alcove dove si consumavano tradimenti ed orge dall’alto contenuto erotico, con conseguenze che talvolta sfociavano in duelli, omicidi ed occultamenti. Nihil sub sole novum.

E siccome “nemo propheta acceptus est in patria sua”, Rasputin emigrò anch’egli, come tanti uomini eccezionali, ma anche come tanti uomini particolari, che, senza essere propriamente grandi, godono, tuttavia, di una personalità originale.

Non sappiamo se Rasputin fosse un grande. Certamente era un uomo non comune, dall’elevato carisma e dalla spiccata personalità, capace di incidere sulle persone con cui avesse contatti stabili od occasionali.

Il “santo”, il “taumaturgo”, il “mistico”, “l’uomo di Dio”, come egli era chiamato, era originario di Prokrowskoje (posto ad 80 km ad oriente di Tijumen nella provincia di Tobol’sk, nella Siberia sud-occidentale) dove era nato il 21 gennaio 1869, esattamente un secolo dopo Napoleone I.

La data di nascita è però contestata da alcuni storici e l’incertezza resta. Il padre era Efim Jakovlevič Vilkin e la madre Anna Vasil’evna Paršukova.

Egli era stato preceduto da quattro fratelli, morti tutti poco dopo il parto. Contestata è anche l’esistenza dell’ultima sorella, Feodosija, che sarebbe giunta ad età adulta.

Colpito da bambino, all’età di otto anni, da una polmonite, dovuta alla caduta in un fiumicello insieme con il cugino Dimitri, di due anni maggiore di lui, riuscì a sopravvivere, al contrario di quest’ultimo, che soccombette.

Come tutti i contadini russi (e non solo) si cimentò nei lavori di campagna e nell’allevamento di bestiame, per poi svolgere l’attività di vetturino.

Era giovane ed incolto quando abbandonò il suo villaggio per essere accolto nel monastero di Verhoturje, dove conobbe lo starec Makarij, che gli insegnò i rudimenti del leggere e dello scrivere ed anche un po’ di religione.

Nel 1887 si sposa con Praskovia Feodorovna Dubrovina, dalla quale ha ben sette figli: Michael (1888-1893), i gemelli Georgy e Anna (1894-1896) deceduti per pertosse o broncopolmonite, Dimitri (1895-1937), Matryona (1898-1977), Varvara (1900-1925) e Praskovaya (nata nel 1903 e morta a settantasei giorni di pertosse o broncopolmonite).

I suoi pellegrinaggi iniziano nel 1905 e lo conducono fino al Monte Athos. In quegli anni aderisce alla setta dei Khlvsti (uomini di Dio), un’associazione dedita a riti orgiastici, che critica l’ortodossia religiosa russa, motivo per cui essa resta confinata nella clandestinità.

Poco dopo aderisce al “Movimento Nazionalista dei Veri Russi”, in cui si esalta con scritti e relazioni, che taluni storici attribuiscono ad alte personalità operanti dietro le quinte.

Circonfuso di fama “sciamanica”, Rasputin è introdotto dalla contessa Ignatieff nel suo salotto, dove non raramente apparivano personaggi stravaganti e bizzarri.

Saluta i presenti stringendo le loro mani fra le sue callose e dure e fissandoli negli occhi in modo interrogativo e sufficiente, tanto da incutere timore e rispetto.

Non riscuote, tuttavia, particolari apprezzamenti. Sembra uno di quei tanti contadini più emancipati della massa, che, con il loro linguaggio ampolloso e prolisso, da predicatori di campagna, danno ad intendere di saperla lunga. Una donna altolocata esprime, conversando con l’ambasciatore francese, parole poco lusinghiere verso Rasputin: “Ha le mani sporche ed unte, le unghie nere e lunghe, la barba poco pulita. Fa schifo”, benché, poco dopo dovesse sostenere: “E’ impossibile restare indifferenti di fronte al suo sguardo, ai suoi sfolgoranti, imperscrutabili cambiamenti dello sguardo, dei gesti e delle sue parole”.

Quando entra in contatto con l’ambasciatore francese, Mr. Paléologue, erede dell’ultima dinastia dell’Impero Romano d’Oriente, il quale ha soltanto usufruito dei rapporti negativi su di lui da parte dei suoi collaboratori, Rasputin ha già una fama leggendaria. E Paléologue non può che soffermarsi attentamente sulla sua personalità singolare e già celebrata, tant’è che sostiene che “i suoi occhi sono infantili e penetranti, franchi e astuti nello stesso tempo, ed erranti nello spazio. Quando il suo discorso si fa più animato, si potrebbe dire che le sue pupille siano cariche di forza magnetica”.

Stessa sorte tocca a Mr. Gilliard, istitutore del Granduca ereditario, che prima ha disprezzato “quel ciarlatano pacifista ed odioso”. Quando si guardano negli occhi, Gilliard deve abbassare il suo sguardo certo di trovarsi al cospetto di “un uomo potente e pericoloso”.

Il Principe Jussupov, da parte sua, odia Rasputin e ne prepara la fine. Malgrado ciò, si sottrae volentieri alla sua forza magnetica e lo evita per non trovarsi in difficoltà.

Intanto la Russia zarista è scossa dai fremiti rivoluzionari del 1905, successivi alla sconfitta riportata in Estremo Oriente contro il Giappone.

Intanto il piccolo Alexej, creatura imperiale afflitta da emofilia, genera apprensioni paurose a Corte ed in Russia.

Alessandra Feodorowna, sposa dello Zar Nicola II, è portatrice sana del terribile male che si trasmette per via diaginica, appunto l’emofilia.

Alexej soffre di questo male che provocando una lesione genica del cromosoma X, colpisce i maschi, avendosi quindi femmine conduttrici o portatrici e maschi emofiliaci.

Esistono due varietà:

  1. l’emofilia A, dovuta al deficit di fattore VIII, detto anche globulina antiemofilica. Essa è la forma più ricorrente e più grave.
  2. L’emofilia B, detta anche malattia di Christmas (che fu il primo paziente su cui fu constatata). Essa è legata al deficit del fattore IX.

Ai fattori VIII e IX compete l’attività antiemorragica, per cui chi è affetto da emofilia dovrà sottoporsi a trasfusioni di sangue o plasma al fine di ovviare all’inconveniente dei tempi lunghi nella coagulazione, con relative emorragie.

Le deficienze di altri fattori plasmatici della coagulazione costituivano le emofilie secondarie o paraemofilie (deficit di fattore V) e l’ipoconvertinemia (deficit del fattore VII).

Quadri complessi si associavano ai vari tipi di emofilia, sicché chi ne fosse stato affetto era in costante pericolo emorragico per la più insignificante ferita.

Oggi la malattia si tiene sotto controllo e, grazie alla riduzione delle unioni fra consanguinei (che tanto afflissero le Corti europee, dalla Germania alla Russia, dall’Inghilterra alla Spagna; ma anche i nobili più modesti, che, sempre per preservare ed accrescere il patrimonio materiale, sposavano consanguinei) è in fase di recessione costante.

Lo Zarevich Alexej (unico erede maschio dello Zar Nicola II) traeva la sua malattia dalla madre Maria Alice d’Assia-Darmstadt, che, sposata allo Zar di tutte le Russie, assunse il nome di Alessandra.

Ai suoi tempi la cura della sua malattia (emofilia A) era del tutto empirica e la Zarina – forse perché sentiva in sé un certo senso di colpa per avergliela trasmessa – non trascurava occasione per consultare esperti di settori, maghi e stregoni.

L’affetto materno e i sensi di colpa concorrono nell’affettuosa ed apprensiva cura che Alessandra prodiga a favore del figliolo.

Il giovane erede al trono gode di cure affettuose e continue, è nutrito in modo razionale e delicato, mangia frutta e verdura in quantità, beve latte di mucca e di capra, ma ciò non è sufficiente per preservarlo da sgradite sorprese.

I medici, convocati da un disperato Imperatore, si succedono incessantemente e si prodigano in una serie scarsamente produttiva di rimedi.

Alexej è solito giocare nel parco del Palazzo Imperiale con il figlio del guardiano. E proprio in una di queste circostanze si produce un’abrasione, che, se insignificante in un soggetto normale, è foriera di pericoli in un soggetto malato come lui.

La bambinaia Wischnjakowa lo segue con attenzione e lo osserva in ogni movimento. Lo segue anche in questa circostanza, lo preleva da terra smunto e pallido e lo pone sulle braccia di un marinaio subito accorso. Nicola II chiama al suo capezzale i migliori medici dell’epoca, che si prodigano senza soluzione di continuità. Consulti, cure empiriche, impacchi, erbe miracolose… l’Imperatrice è disperata, si inginocchia e piange, impetrando la grazia divina per alleggerire le sofferenze dello sfortunato Zarevich. Nemmeno le erbe miracolose preparate appositamente da Badmajev, un tibetano accreditato di grandi virtù curative, riescono ad arrestare l’improvvisa emorragia.

Non resta che la mano divina, ma, in questa circostanza, sembra che anche Dio si sia preso una pausa o si sia eclissato.

Le parole strazianti di Alexej colpiscono anche lo Zar: “Papà, quando sarò morto, fammi seppellire nel parco”. Sì, in quel parco che lo vedeva gioire per pochi istanti e sempre nell’incombenza di un pericolo immanente e crudele…

L’Imperatore abbraccia il figlio teneramente, piange calde lacrime e quindi si libera teneramente per correre dalla consorte che singhiozza. Alessandra, pia e religiosa, ha smesso di pregare ed ha ceduto al pianto. I suoi occhi sono rossi, la sua espressione assente.

Proprio in questo momento di disperazione entrano la granduchessa Stana, al secolo Anastasia Nikolajevna, e la sorella Militza, che recano parole di conforto, che sono balsamo per le piaghe morali della coppia imperiale.

Militza assicura di conoscere un personaggio dotato di intuito non comune, di forza eccezionale, di poteri taumaturgici e magici, dall’intelligenza superiore a quella dell’erborista Mr. Philippe e del dr. Badmajeff.

La notizia della comparsa di Rasputin nel salotto della signora Ignatieff era giunta fino a Corte, in onore al verso virgiliano: “E’ questa fama un mal / di cui null’altro è più veloce / e com’ più va più cresce / e maggior forza acquista”.

Il dr. Badmajeff, professionista preparato, apprezzato e di grandissima cultura, tante volte ha fatto spallucce ed è sembrato arrendersi al peggio.

La signora Militza ha un asso nella manica: Rasputin, il monaco dotato di poteri eccezionali.

Correva voce che Rasputin disponesse, oltre che di poteri straordinari, di virtù salutifere, al punto da condurre a guarigione anche i pazienti affetti da mali incurabili.

Egli frequenta Stana, Militza e Peter Nikolajevich, tutti e tre grandi confidenti di Corte.

Costoro introducono di fatto l’ormai celebre monaco a Corte, e, del resto, Alessandra non vedeva l’ora di conoscerlo ed incontrarlo, forse in onore al detto latino, probabilmente di Sant’Agostino, “credo quia absurdum”.

La Corte russa, da parte sua, è un centro di spie e ciarlatani, di baroni, conti e granduchi, invidiosi gli uni degli altri, e, certamente, non apprezzano le “trame” della Contessa Militza.

Grigori Jefimovich, un contadino nemmeno dirozzato a sufficienza, a Corte? E perché? Che poteri ha? Di quali capacità è accreditato?

La Corte russa è forse la “meretrice che mai da l’ospizio di Cesare / non torse li occhi putti”?

Lo spionaggio tedesco infiltra in essa spie e personaggi ambigui con lo scopo di mettere fuori combattimento il “gigante dai piedi di argilla” in caso di conflitto, sicché allo scoppio della Prima Guerra Mondiale il tedesco è una lingua “più ufficiale” di quella russa. Dall’Imperatrice Caterina il flusso di tedeschi era stato continuo e costante, al punto che a Corte la lingua ufficiale era quella tedesca. E Rennenkampf non era forse baltico-tedesco? Ed Estonia, Lettonia e Lituania non erano forse filotedesche? E lo spionaggio tedesco non trovava forse in quelle terre alimento costante per i suoi piani?

Quando Rasputin, il vilipeso e temuto contadino siberiano, varca la soglia della Corte russa l’apprensione per la salute dello Zarevich è al massimo grado.

Messi da parte tutti gli alti dignitari e perfino lo Zar e la Zarina, Rasputin, cipiglio altero e sguardo sicuro, si reca al capezzale di Alexej, al quale si rivolge con le parole:

“Non aver paura, Alescha, adesso andrà tutto bene”. Fa un gesto sapiente e continua: “Vedi Alescha, ora ho scacciato tutti i brutti dolori! Adesso nulla ti fa più male, e così domani sarai guarito. E vedrai che bei giochi divertenti faremo insieme”. Così dicendo accarezza a lungo il nobile giovanetto, che sembra aver recuperato parte delle sue forze e soggiunge: “Quando sarai guarito ti condurrò in Siberia con me e ti farò vedere tante belle cose”.

Estasiato, Alexej segue le parole e mostra la gamba ferita nell’incidente di gioco. Quindi si siede e mostra attenzione ai fantastici racconti dell’uomo del destino.

Dopo un po’ esce ed esorta l’affranta Zarina: “Credi nella forza delle mie preghiere, e tuo figlio vivrà”.

Da quel giorno Rasputin diviene assiduo della Corte russa, nella quale è temuto, amato, odiato, rispettato, disprezzato e vituperato. E non sono forse gli uomini grandi a godere di analoghi “trattamenti”?

I medici russi avevano puntato sui poteri dell’aspirina (perfettamente impotente contro l’emofilia), mentre Rasputin ha fatto perno sui suoi poteri eccezionali.

Rasputin si trova Carskoje Selo nella casa di famiglia degli Imperatori. Pare che in quell’occasione egli faccia ricorso al potere dell’ipnosi, riuscendo a rallentare le pulsazioni cardiache riducendo il dolore e contenendo le crisi emolitiche.

Il 12 ottobre 1912 tuttavia lo Zarevich è preda di una grave crisi emorragica e Rasputin si trova in Siberia quando riceve da Pietrogrado (la città che ha subito tanti cambi di nome, cessando poi di essere Capitale) un telegramma imperiale: “I medici sono disperati. Le vostre preghiere sono la nostra ultima speranza”.

Rasputin si immerge in preghiera, cade in trance e lo Zarevich si riprende. Ha curato a distanza, anticipando la telematica, con la forza del pensiero. Ma forse è leggenda.

Nel 1914 la Prima Guerra Mondiale coinvolge la Russia. Rasputin è pacifista convinto e ciò gli procura ulteriori nemici, ma anche tanti amici.

Il 19 luglio 1914, successivo all’attentato del 28 giugno a Francesco Ferdinando e Sofia Choteck, scrive allo Zar: “Credo, spero nella pace. Stanno preparando un orribile misfatto, ma noi non ne siamo partecipi”.

I tentativi di giungere ad una soluzione pacifica compiuti dallo Zar non ottengono effetti. La mobilitazione russa, voluta dai militari, induce la Germania a mobilitare. Lo Zar e il Kaiser sono cugini, ma le parentele nella vecchia Europa sono state più cause di conflitti che di coesistenza pacifica. Così va a vuoto il telegramma a Guglielmo II, a sua volta spinto dai militari all’intransigenza.

Rasputin si trova in una condizione imbarazzante. In pratica è in minoranza. È l’inizio della fine.

L’esercito austroungarico si esaurisce nella grande offensiva di Leopoli, in cui in pratica distrugge il nerbo delle unità combattenti, senza più speranza di recuperarle. All’entrata in guerra l’Austria dispone di un esercito poderoso, che la tattica di Conrad logora in dispendiosi attacchi e contrattacchi. A Leopoli la Russia riesce a contenere, sia pure a costo di gravissime perdite, l’offensiva austriaca. Da quel momento l’Austria dovrà fare ricorso a giovani poco addestrati ed a riservisti, più adatti alla guerra di posizione che a spostamenti strategici e rapide avanzate. Il peso della guerra passerà sulle spalle della Germania, che, nelle battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri, nei pressi della stazione di Osterode, battono le Armate russe di Samsonov (che si suiciderà) e Rennenkampf, il Generale baltico-tedesco accusato di intelligenza con la Germania.

Rasputin è a conoscenza di molte trame della Corte russa ed informa lo Zar. Il contadino siberiano non manca di buon senso, malgrado le accuse rivoltegli contro dalla nobiltà di Corte, certamente allarmata dall’influenza di un mugik.

Il veleno propinatogli a pranzo dai cortigiani ed il pugnale di Ionia Gusseva riuscirà a superarli, ma non riuscirà a superare le trame del principe Feliks Feliksovič Jusupov, Dimitrij Pavlovič e del deputato del partito conservatore Wladimir Mitrofanovič Puriškevič.

È in quei giorni di umore gioviale ed allegro, a parere del Principe suo acerrimo nemico. Solo la Zarina comprende che qualcosa non vada per il giusto verso.

Il 17 dicembre 1916 Alessandra scrive al marito, che è al Quartier Generale:

“Noi siamo tutti riuniti e tu non puoi interpretare i nostri sentimenti. Rasputin è scomparso! Ieri Anna è stata ancora da lui, e in tale occasione le ha comunicato di voler andare in quella notte dal Principe Jusupov. Ed effettivamente un’automobile militare con due borghesi è venuta a prenderlo ed egli è partito con loro”.

La lettera prosegue evidenziando che Jusupov dichiari di non averlo visto affatto, ma che non vi siano dubbi sulla sua menzogna. Protopopov – responsabile della Polizia – fa il possibile per rintracciarlo o svelare l’accaduto.

Il 19 dicembre Protopopov comunica di aver ritrovato il corpo esanime di Rasputin. Era stato gettato ancora vivo nel fiume Newa. Le braccia e le gambe erano assicurate da una fune ed il corpo evidenziava segni di ferite di arma da taglio e arma da fuoco.

Da Tschesma il cadavere di Rasputin, composto, è trasportato Zarskoje Selo, dove il professor Kossorotov lo esamina e redige il verbale sulle cause di morte.

Le parole più toccanti sono quelle della Zarina Alessandra, donna di grande sensibilità:

“Mio caro martire, concedimi la tua benedizione affinché m’accompagni nella via del dolore, che io avrò ancora da percorrere quaggiù. Ricordati di noi nelle tue sacre preghiere anche in cielo! Alessandra”.

Il giorno successivo suora Akulina condurrà in auto le spoglie di Rasputin a Zarskoje Selo.

Le autorità prendono parte alla triste cerimonia di commiato, mentre Alessandra piange la scomparsa del caro amico, che ha alleviato le sue pene ed i suoi dolori.

Lo Zar, che non era un uomo forte, propende per una severa punizione per i colpevoli, abbandonando il proposito per l’opposizione di militari e uomini di Corte.

Rasputin, questo personaggio inquietante e magnetico, era rimasto nel cuore dei poveri e dei contadini. In fondo era l’unico rappresentante dei mugiki in quel paradiso di faccendieri senza cuore che era la Corte di Pietrogrado sotto lo Zar Nicola II.

Cui prodest scelus, is fecit (?) (Seneca).

Feliks Yussupov

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