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Recensione critica alla poesia “Ode ai traditori dei propri ideali” di Zornas Greco

ode ai traditori

Mariella Totani

“Ode ai traditori dei propri ideali” è un componimento che si presenta come un grido di rabbia lucida e corrosiva, rivolto contro coloro che – appartenenti alla generazione del Sessantotto – hanno tradito i principi che un tempo dichiaravano di difendere: pace, libertà, giustizia sociale. La poesia è articolata in quattordici sestine di endecasillabi a rima regolare (ABABCC), scelta metrica classica che contrasta efficacemente con il tono provocatorio e dissacrante dei contenuti, generando una tensione espressiva tra forma e sostanza.

Il testo si muove con passo solenne ma furente, e accusa senza esitazione coloro che furono protagonisti di una stagione rivoluzionaria ormai degradata a simulacro. I versi sono carichi di immagini forti e metafore impietose: il “garofano infilato nei fucili” si trasforma in “medaglie del disonore”, le mani che stringevano libri ora “sporche di profitto”, mentre la parola un tempo usata per costruire speranze è oggi ridotta a “falso diritto”.

La forza del componimento sta nel tono: un lirismo indignato e drammatico che scava nelle pieghe della memoria collettiva e svela, senza timori né indulgenze, la contraddizione tra ideologia e potere, tra giovinezza idealista e maturità compromessa. L’autore non concede sconti: i sessantottini sono ormai “macellai vecchi”, “santi con i cuori distorti”, “peste che illuse le masse”. È una poesia che non cerca la riconciliazione, ma la denuncia; non la nostalgia, ma la resa dei conti.

La struttura metrica ben curata, con endecasillabi che mantengono fluidità e incisività, evita la tentazione del facile slogan, pur rimanendo vicina al ritmo del discorso politico o del pamphlet. La coerenza stilistica tra le strofe rafforza la forza polemica, e il lessico – semplice ma mai banale – colpisce con la secchezza delle sentenze e l’amarezza delle verità negate.

Dal punto di vista contenutistico, la poesia si inserisce in un solco ben preciso: la letteratura della disillusione post-utopica. È un canto amaro e furente che potrebbe affiancare, per temi, certi testi di Pasolini o la saggistica civile di Marco Revelli. Il senso profondo dell’“Ode” è la tragedia del tradimento generazionale: coloro che avrebbero dovuto cambiare il mondo, ne sono divenuti i nuovi padroni, spesso peggiori dei precedenti. La retorica della democrazia viene smascherata come maschera del dominio, le guerre “umanitarie” come nuove crociate del profitto.

Non mancano tuttavia alcune forzature espressive, come certi passaggi lievemente ridondanti (“i vostri eroi? Manager ben pagati”, “il vostro ’68… è un paravento per i delinquenti”), che rischiano di appiattire l’effetto drammatico in slogan già noti. Ma nel complesso queste cadute sono rare e non intaccano la potenza d’insieme.

Il verso conclusivo – “Siete il rimorso d’un futuro onesto” – rappresenta una chiusa memorabile, dove si condensa tutta la portata etica e storica del poema: un’accusa rivolta non solo a individui, ma a un’intera generazione che, dopo aver inneggiato alla libertà, ha alimentato il conformismo, l’avidità, il tradimento della speranza.

In definitiva, “Ode ai traditori dei propri ideali” è una poesia di forte impatto civile, che denuncia, interroga, disturba e obbliga a riflettere. È un testo che non cerca consolazione ma verità, per quanto scomoda e dolorosa. Una voce che, nel panorama spesso anestetizzato della poesia contemporanea, osa ancora parlare al cuore e alla coscienza con parole taglienti e autentiche.

ODE AI TRADITORI DEI PROPRI IDEALI di Zornas Greco

Voi che cantaste pace e libertà,
con i garofani infilati nei fucili,
che urlavate “no” alla crudeltà,
oggi firmate guerre e nuovi stili,
vestiti in giacca, i cuori ormai di pece,
voi siete il volto cupo della fece.

Gridaste amore, e sputavate il re,
ma il tempo vi ha ridotti a farne il trono,
in nome d’un progresso senza dono.
I vostri slogan? Echo di menzogna:
la vostra gloria è la più vile fogna.

Sessantottini, profeti del domani,
vi siete arresi al canto dell’inganno,
con le bandiere strette tra le mani,
oggi brandite il ferro, e fate danno.
Quel che urlaste in piazza, con passione,
è morto sotto il peso dell’ambizione.

Sfidaste Dio, la patria e il capitale,
ora bevete il sangue degli oppressi,
e alzate calici in cristallo,
mentre vendete i popoli più fessi.
Democrazia? È un marchio da esportare,
coperto da missili da far volare.

Avevate le chitarre e la poesia,
ora contate i morti nei deserti,
parlate in nome della democrazia,
ma armate mani cieche e cuori ottusi.
Avete perso l’anima e l’onore,
tradendo ogni più nobile clamore.

Cantaste Guccini, De André, l’amore,
e ora intonate inni alla NATO in coro,
firmate patti, gesti di terrore,
e vi coprite con un manto d’oro.
Che razza d’uomini vi siete fatti?
Macellai vecchi, con gli ideali sfatti.

Portaste i libri come spade in petto,
sognaste un mondo giusto, equo, pulito,
oggi siete voi il male più perfetto,
che schiaccia il debole, senza alcun rispetto.
Le vostre mani, sporche di profitto,
scrivono ancora un falso diritto.

Dov’è la lotta? È nei vostri discorsi,
dov’è la pace? È nei vostri contratti,
le vostre guerre? Appalti ben nascosti,
i vostri eroi.
Il vostro ’68, al banco dei potenti,
è un paravento per i delinquenti.

Le vostre giacche odorano di morte,
le vostre tasche pesano di sangue,
ogni trattato è una menzogna
sulla pelle dell’innocente che langue.
E intanto intonate il vostro vecchio canto,
ma è muto ormai, ridicolo, e stanco.

Ricordate le notti nelle strade,
le mani nude, i cuori incandescenti?
Ora vendete bombe alle contrade
che un tempo amaste come giovani e dissidenti.

I vostri libri, pieni d’ideali,
servon soltanto a giustificare i mali.

Le vostre lotte? Un trampolino d’oro.
Le vostre idee? Travestimenti usati.
Ma il mondo vi ricorda
come chi prima lotta, e poi s’accorda.

Siete la peste che illuse le masse,
siete il veleno in bocca ai giusti morti,
siete lo specchio d’ogni fede lassa.

Avete profanato ogni preghiera,
facendone una merce da fiera.

Ma il tempo, il tempo vi verrà a cercare,
e riderà di voi, come di una burla.
La Storia non perdona chi, per mare,
vende la vela e poi la nave affonda.
Siete la croce che nessuno ha chiesto,
siete il rimorso d’un futuro onesto.


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