di Paolo Protopapa
Alla luce dei risultati dell’odierno Referendum popolare mi pare che il Paese non sia quello che abbiamo in testa noi, anziani militanti di sinistra. Sono, altresì convinto, tuttavia, che i nostri rappresentanti apicali non abbiano sbagliato nell’avere politicizzato il Referendum (accostandolo, tra l’altro, scientemente, alla manifestazione per la Palestina), nella presunzione che si potesse tentare un ribaltone o un grave danno al governo Meloni. L’ingenuità del variegato schieramento promotore, semmai, è stato quello di non aver apprestato i dovuti accorgimenti per esorcizzare un flop tutt’altro che imprevedibile. In politica è, forse, arditamente giusto che sia così, altrimenti rischieremmo la stagnazione. Nessuno è cappuccetto rosso. Ma…, c’è un ma.
Contare chi va a votare, e sapendo che il voto è tra il Sì e il No, è già probabilmente sbagliato. Guai a sottovalutare, infatti, che sul tema-lavoro c’era stato Matteo Renzi, ricordiamolo; il quale allora allora era la sinistra al governo. Inoltre tra i 5 quesiti di oggi c’erano i 5 anni al posto dei 10 anni per la cittadinanza agli stranieri, su cui i 5 Stelle, reduci dai malaugurati decreti anti-extracomunitari ideati con Salvini, hanno lasciato ambiguamente libertà di coscienza. Una ignominia per chi pensa che la sinistra sia sinistra, non populismo ex-grillino che ha ingenerato confusione e gravi incoerenze nel futuro di una prospettiva politica popolare, non populista e trasformista.
Maurizio Landini – e qui entriamo su un fronte piu politico – segretario della CGIL, è a sinistra un protagonista di rilievo, ma non è il protagonista solitario. Anche perché il sindacato e il partito politico, nella tradizione delle forze progressive, costituiscono un binomio fondamentale per costruire l’Italia futura del lavoro e della lotta sociale di massa. E, quindi, questo connubio, non è né vecchio operaismo, né collateralismo ideologico anacronistico e obsoleto, tantomeno una guerra simulata tra leaderschip contrastanti. La nostra è, invece, una società complessa, aperta sia a bisogni inediti, sia a nuovi soggetti sociali e culturali, con aspettative e stili di vita affatto sperimentati e con visioni e progetti politici limpidi e alternativi al recente passato.
I giovani, prima di tutto (e di tutti) hanno un ruolo essenziale e per nulla trascurabile entro un programma di governo di sinistra. Il lavoro e i giovani non sono, pertanto, uno slogan strumentale a fini propagandistici, bensì la nuova alleanza per cambiare l’Italia e costruire la ‘società delle culture e dei lavori’. Si tratta, allora, di concepire la cultura al plurale (le culture), vale a dire lavorare ad una concezione di una ‘intelligenza sociale’ articolata e innervata dei saperi che animano il nostro tempo delle competenze diffuse. E, simmetricamente, del lavoro al plurale (i lavori) come apertura alle energie proiettate in un futuro ispirato da attività e modelli operativi, ricchi di originali stili di pensiero e di efficaci attività produttive, tipiche di una comunità inclusiva. Bisogna guardare, insomma, ad un numero enorme, di professionisti, giovani laureati, precari e richiedenti occupazione che attende da decenni una svolta da parte di politici e di schieramenti capaci, intelligenti e alternativi ai mediocri attori di questo difficile momento storico. Proprio perché non è vero che tutti stanno bene e che la destra soddisfi oggi questa capillare, formidabile fame di giustizia sociale e di dignità civile.
Forse un Referendum, anche perso (e occorre ammettere che è perso), può essere un segnale. Addirittura un segnale forte perché, comunque, una mobilitazione nazionale diffusa – pure poco curata in senso organizzativo – incide nel possibile risveglio di idee e di valori da tempo dormienti, ma che vanno recuperati all’impegno dello spirito civico di una moderna cittadinanza e di solidarietà sociale. Questa grande occasione di battaglia politica democratica ha espresso – specie nel cuore dei dinamici centri urbani metropolitani del Paese – un senso alto di prospettiva culturale e morale. Se partiamo da qui e sappiamo lavorare efficacemente sulle contraddizioni della peggiore destra che potesse governare l’Italia costituzionale e antifascista, una sinistra seria potrà risorgere e operare nell’interesse Comune. Naturalmente un tale obbiettivo dovrà giovarsi di un gruppo dirigente ad ogni livello, sia politico nazionale, sia amministrativo autonomistico locale, fortemente innovativo. Ispirato e formato alla lotta contro i populismi di una tendenza settaria e ideologicamente assistenzialistica, incompatibile con i principî di e della sinistra europea, fisiologicamente nemica degli sprechi e del dilettantismo politico dissimulato in forme consociative.
Nella storia del movimento operaio – adopero il termine desueto con cui una volta si identificava il fronte progressivo delle risorse politiche rivoluzionarie – e che oggi possiamo definire semplicemente delle forze avanzate e costituzionalmente sensibili al cambiamento, anche una sconfitta può propiziare un nuovo orizzonte di speranza. Purché se ne abbia consapevolezza e coraggioso spirito di servizio.