Qualche settimana fa, sulla nostra rivista «Pensiero Mediterraneo», è apparso un avviso in cui si annunciava che, mercoledì 16 aprile 2025, in occasione dell’80° Anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, si sarebbe allestita una Mostra fotografica sulla Resistenza tedesca (c/o Biblioteca Provinciale “N. Bernardini”), patrocinata dalla Provincia di Lecce “Salento d’amare”, e organizzata dal Circolo operaio internazionalista, dal Centro “Filippo Buonarroti” di Milano e patrocinata anche dall’Anpi provinciale di Lecce.
Nell’invito c’è scritto: «La mostra ripropone il contenuto dell’esposizione «Basta con Hitler – Mettere fine alla guerra! L’organizzazione Saefkow – Jacob – Bästlein», presentata a Milano nel 2015, in occasione del 70° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo nella versione originaria in lingua tedesca. Ora, per la prima volta anche a Lecce, nella nuova edizione in lingua italiana, curata dal Centro culturale “Filippo Buonarroti” di Milano. Uno degli obiettivi della mostra è sottolineare come la Resistenza sia stata un fenomeno europeo e, pur nell’ambito dei condizionamenti della seconda guerra mondiale imperialista, abbia comunque avuto in diverse situazioni forti contenuti classisti e internazionalisti».
Io, in quanto vecchio (1981) componente della Società di Storia Patria per la Puglia, ma anche come iscritto all’ANPI di Gallipoli (mia prima tessera 1978) ho partecipato all’evento. Con me sono intervenuti anche: Alessio Formica (Circolo operaio internazionalista di Bari), Lorenzo Tarantino (Circolo operaio internazionalista di Lecce), Amidou Kone (volontario Circolo operaio di Lecce), Paolo Migone (Centro Studi “Filippo Buonarroti”).
La mostra Resistenza operaia a Berlino 1942-1945 è veramente qualcosa di straordinario tanto che è lo stesso Centro “Filippo Buonarroti” che, nella Presentazione al pubblico italiano (Milano, settembre 2018), scrive:
«L’importanza di questa mostra è talmente evidente da non richiedere grandi parole: conoscendo bene la storia ed in particolare la storia del movimento operaio tedesco abbiamo sempre combattuto la tesi di coloro che hanno sostenuto l’identità tra nazismo e popolo tedesco […] Sono tesi che, oltre ad essere storicamente false, rendono uno straordinario favore al nazismo di ieri e di oggi. Sappiamo bene che le prime vittime del nazismo sono stati i lavoratori tedeschi ed in particolare i militanti politici e sindacali: così come sappiamo bene che nei dodici anni del regime, milioni di tedeschi si sono opposti ad Hitler e centinaia di migliaia di questi coraggiosi oppositori hanno pagato con la vita la loro battaglia contro il nazifascismo. Anche nella Resistenza italiana ci sono stati molti esempi di soldati tedeschi che sono passati con i partigiani, pagando spesso con la vita la loro scelta di campo» (v. Resistenza Operaia a Berlino 1942-1945. “Basta con Hitler – Mettere fine alla guerra”. L’organizzazione Saefkow-Jacob-Bästlein, Centro Filippo Buonarroti, Milano 2024, p. 5).
«Anton Saefkow (22.7.1903 – 18.9.1944). Meccanico qualificato, aveva agito fino al 1933 per conto del KPD [Partico comunista tedesco] a Berlino, sua città natale, a Dresda, Essen e Amburgo. Alla fine del 1942 iniziò, insieme a Franz Jacob, a costruire a Berlino e nel Brandeburgo una organizzazione resistenziale dalle ampie ramificazioni. Dalla primavera del 1944 li affiancò Bernard Bästlein. Il loro obiettivo era l’unione di tutti gli oppositori di Hitler. Anton Saefkow stabilì contatti nelle fabbriche e nell’esercito e si dedicò con grande determinazione all’obiettivo di collegare tra loro questi gruppi. Arrestato il 4 luglio 1944, Anton Saefkow venne condannato a morte il 5 settembre dalla Corte popolare di Giustizia e giustiziato [ucciso è il termine più adatto] il 18 settembre nel penitenziario di Brandeburg-Görden. Era sposato con Aenne Saefkow e lasciò una figlia» (Catalogo citato, p. 13).
«Franz Jacob (9.8.1906 – 18.9.1944). Fuggì nell’ottobre 1942 dalla sua città natale, Amburgo, a Berlino, per sottrarsi a un’altra carcerazione. Meccanico qualificato, fu attivo nel KPD [Partito comunista tedesco] ad Amburgo, Brema e Berlino. Dopo sette anni di prigionia in diversi penitenziari e nel campo di concentramento di Sachsenhausen, a partire dal 1940, insieme a Bernard Bästlein e Robert Abshagen, costruì gruppi di resistenza in fabbriche amburghesi. Nel 1942 entrò in clandestinità a Berlino, dove, assieme a Anton Saefkow, intraprese la ricostruzione di una organizzazione di resistenza. La forza particolare di Franz Jacob si esprimeva in ambito teorico. Elaborò le prime idee per una Germania libera e socialista, scrisse volantini e lettere per i soldati. Il 4 luglio 1944 Franz Jacob fu nuovamente arrestato, il 5 settembre condannato a morte dalla Corte popolare di Giustizia e il 18 settembre giustiziato [ucciso è il termine più adatto] nel penitenziario di Brandeburg-Görden. Era sposato con Katharina Jacob e lasciò una figlia» (Catalogo citato, p. 13).
«Bernard Bästlein (3.12.1894 – 18.9.1944). Aderì agli inizi del 1944 all’organizzazione di Anton Saefkow e Franz Jacob. Amburghese di nascita, nel 1920, si iscrisse al KPD [Partito comunista tedesco], per il quale fu eletto consigliere comunale lo stesso anno nel Comune di Amburgo. Dal 1923 al 1931 fu redattore di quotidiani comunisti. Nel 1932 entrò nel parlamento prussiano e nel marzo 1933 nel parlamento del Reich. Dal maggio 1933 fino al 1940 Bernard Bästlein rimase in prigione. Dopo la scarcerazione, fondò con Franz Jacob e Robert Abshagen, ad Amburgo vari gruppi di resistenza nelle fabbriche. Dal 1942 nuovamente imprigionato, il 29 gennaio 1944 riuscì ad evadere dal carcere di Berlin-Plötzensee. Entrò in contatto con l’organizzazione di Saefkow e Jacob e fu cooptato nella direzione. Arrestato il 30 maggio 1944, il 5 settembre fu condannato a morte e il 18 settembre giustiziato [ucciso è il termine più adatto] nel penitenziario di Brandeburg-Görden. Era sposato con Hanna Bästlein e lasciò una figlia» (Catalogo citato, p. 13).
La Mostra è accompagnata da un Catalogo, nel quale è narrata la storia di questa pagina eroica della Resistenza del popolo tedesco, praticamente finora sconosciuta, quanto meno a noi italiani. Nell’appendice, La pagina nascosta della Resistenza tedesca (pp. 99-103), i curatori del Catalogo scrivono:
«Il 30 gennaio 1933 si forma in Germania il nuovo partito guidato da Adolf Hitler. Il 7 febbraio seguente, in un comizio nella piazza di Lustgarten a Berlino, il presidente della SPD [Partito socialdemocratico] Otto Wels sostiene a gran voce che Hitler “non governerà a lungo”, e il giorno dopo, il giornale del partito Vorwärt afferma: “Berlino non è Roma. Hitler non è Mussolini. Berlino non diventerà mai la capitale di una destra fascista. Berlino resta rossa!”. Ma il 28 febbraio, subito dopo l’incendio del Reichstag, viene emanato il decreto “per la protezione del popolo e dello Stato” che stabilisce “restrizioni delle libertà personali, del diritto di libera espressione delle opinioni, compresa la libertà di stampa, del diritto di riunione e di associazione; violazioni del segreto nelle comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche private; mandati di perquisizione, ordini di confisca e restrizioni della proprietà sono permessi anche al di là dei limiti legali in vigore./ Con un atto di un governo “liberamente” eletto dal parlamento, ha inizio una delle più violente fasi di repressione della storia delle lotte tra le classi. Alle elezioni successive del 5 marzo, il partito nazista ottiene il 43,9% dei voti e due settimane dopo il parlamento affida i pieni poteri a Hitler con 441 sì e 94 no. […] Il 21 marzo 1933, su un quotidiano di Monaco compare il seguente annuncio: “Mercoledì 22 marzo sarà aperto nei dintorni di Dachau il primo campo di concentramento che potrà contenere 5 mila uomini. Abbiamo preso questa decisione trascurando ogni considerazione meschina, persuasi di agire per la pacificazione nazionale e secondo i desideri della popolazione: Heinrich Himmler”./ Nel giro di pochi mesi, nell’autunno, sono già in funzione 45 campi con 40 mila detenuti tra cui 311 ex parlamentari, mentre 43 ex membri del Reichstag sono stati già assassinati./ Si apre così la pagina sanguinosa del Widerstand – la resistenza tedesca al nazismo – che, secondo lo storico francese Jacques Noblecourt, vede passare nelle galere, nei campi di concentramento e per le mani del boia circa un milione di persone [tutte tedesche]. […] Secondo la nuova versione dell’indagine storica sul KPD [Partito comunista tedesco] dei 300 mila membri del partito del 1932 ben 150 mila sono arrestati almeno una volta sino al 1945 e 20 mila sono uccisi, di cui ben duemila nei soli primi due anni del regime. […] In una serie di articoli dei primi anni ’80, Roberto Casella ha già analizzato questa “pagina tenuta nascosta”, rilevando in particolare come in Italia, “nonostante i temi resistenziali facciano parte del costume politico e delle ricorrenze celebrative dello Stato, l’opposizione tedesca al nazismo è pressocché sconosciuta. Al contrario, viene diffusa l’idea che tutto il popolo tedesco si sia identificato nel nazismo”./ Si tratta di una considerazione valida ancora oggi. In Italia, infatti, salvo alcuni lavori sui complotti militari per assassinare il Führer o sui movimenti cattolici, non esiste una vera bibliografia sulla resistenza operai tedesca al nazismo e men che mai su quella comunista. L’unico contributo di un certo livello è il libro che raccoglie le relazioni del convegno organizzato nel 1987 dal “Goethe Institut” di Roma e dall’università “La Sapienza”, nel quale Jens Petersen, vicedirettore dell’Istituto storico germanico di Roma sino al 1999, lamenta proprio la “netta chiusura e quasi un rigetto del Widerstand in quasi tutta la sinistra italiana antifascista” e sottolinea che “nessuna delle opere fondamentali in questo campo … è stata tradotta in italiano. […] Tra i membri del gruppo Saefkow-Jacob-Bästlein merita una particolare menzione Rudolf Seiffert, nato nel 1908 […] operaio comunista della Siemens, membro della Resistenza, arrestato e decapitato nel penitenziario di Brandeburgo il 20 gennaio 1945. […] Le ultime lettere di Rudolf Seiffert, nascoste nella protesi della gamba riconsegnata alla famiglia, sono state pubblicate in diverse lingue, e in Italia nella raccolta Lettere di condannati della Resistenza europea. […] A quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale imperialista, sono ancora molte le “pagine nascoste” della Resistenza del movimento operaio internazionale. Portarle alla luce, come nel caso di questo contributo, è un compito che crediamo vada proseguito con impegno e passione. Sono le tessere della storia collettiva dei tanti che, in tanti paesi, lottarono sino alla morte perché, assieme al nazismo e al fascismo, fossero bandite per sempre la barbarie e l’oppressione dell’uomo sull’uomo».
Personalmente, dopo una vita spesa nella lotta per la libertà, la democrazia e il socialismo, e dopo avere letto e riletto questo prezioso Catalogo sulla Resistenza antinazista tedesca, non trovo altre parole per concludere, se non con alcune frasi del condannato a morte Rudolf Seiffert (Berlino, 11 luglio 1908 – «combattente della resistenza in Germania e giustiziato [ucciso piuttosto che giustiziato] nel penitenziario di Brandeburgo il 29 gennaio 1945», il cui figlio – Bernhard – ha scritto una commovente biografia del padre (Op. cit., pp. 104-107). Ecco qui un estratto:
«Penitenziario di Brandeburgo, gennaio 1945.// Nella cella della morte. Giorno e notte sono ammanettato, le mani l’una sull’altra, libere solo nell’ora dei pasti. Attraverso la finestra a un solo vetro soffia l’aria gelida dell’inverno. Il termosifone della cella funziona solo per qualche ora. Durante il giorno la temperatura è al massimo 10°. Il corpo si ribella al freddo con tutte le sue forze, ma inutilmente, manca calore interno, la fame rode gli intestini. Sempre fame, sempre freddo. Di notte, con una coperta sul pagliericcio, è peggio ancora. Ti arricci come un embrione, la coperta sulla testa, e cerchi di procurarti un po’ di calore con il tuo fiato. Quando al mattino ti alzi congelato e speri di poterti riscaldare con un po’ di caffè, generalmente ti accorgi che è freddo. La crosta di pane secco basta giusto per la cavità del dente, cena e pranzo sono assolutamente insufficienti. La fame aumenta di giorno in giorno. Questa è la civiltà del Terzo Reich. Di trattamento umanitario nemmeno una traccia. Così un giorno dopo l’altro. Stai qui e aspetti, settimana dopo settimana, che vengano a prelevarti per ammazzarti. Non hai nessuna notizia se la tua domanda di grazia sia stata respinta, quando sarà l’esecuzione. Niente, niente. Tu aspetti e aspetti, come il bestiame sul luogo del macello. Il macello degli uomini avviene così. Un giorno, in genere il lunedì, la porta della cella si apre, il tuo nome viene chiamato. L’impiegato domanda: “Avete fatto il vostro testamento?”. E poco dopo non sei più vivo. Così, come pratiche d’ufficio, si trattano le vite umane. È forse questa la civiltà? E così un lunedì dopo l’altro, una settimana dopo l’altra, un mese dopo l’altro, 25 pezzi ogni lunedì, sì, pezzi! Questo è il linguaggio ufficiale per designare le vite umane. Un lotto di duecento condannati a morte riempie qui il penitenziario di Brandeburgo. Un continuo arrivare e partire verso il nulla./ Ma tutti, uno dopo l’altro, sono diritti e decisi e così vanno al patibolo perché sanno che il loro sacrificio non è stato vano. S’aprono i tempi nuovi. Cara Hilla, parecchi bravi compagni hanno lasciato la cella prima di me, così come ho detto. Compagni con i quali ci si era familiarizzati, compagni con i quali si sarebbe potuto trasformare il mondo. Sì, cara Hilla, così anch’io attendo che venga chiamato il mio nome: diritto e deciso. State dunque tutti bene, voi che mi foste cari.//
Penitenziario di Brandeburgo, gennaio 1945.// Cara Hilla, cari bambini, si affacciano tempi grandiosi. Una nuova era della storia sta per irrompere sull’Europa. La conseguenza della guerra, che porta a una nuova ripartizione del mondo, è il socialismo. La Germania vuole difendersi da una necessità storica./ Più tardi. Quando un tratto di questa via, penso, sarà percorso, dì ai nostri figli che il loro padre è stato giustiziato [ucciso] per questo. Da un sistema brutale che si oppone al progresso con tutte le sue forze. Da un sistema che non stimava la vita umana ma solo le leggi del profitto. Quando i nostri figli saranno più grandi e in grado di pensare da soli, capiranno che il mio sacrificio non è stato vano. Quando le bandiere del proletariato vittorioso sventoleranno sulla Germania, allora il passo verso il socialismo sarà una realtà. E il passo non è più lontano. I nostri figli potranno poi costruire un mondo quale il loro padre aveva immaginato nella lotta. E anche questa sarà una dura lotta, dalla dittatura del proletariato all’ordinamento socialista della società. È il più grande compito che mai si sia porto l’umanità. Che cos’è la vita di un uomo di fronte al raggiungimento di un fine così grandioso? Così mi avvio alla ghigliottina diritto e sereno./ il vostro padre» (v. Op. Cit., pp. 108-109).
Nel testo precedente ho messo in neretto la dichiarazione dei redattori del Catalogo Resistenza Operaia a Berlino 1942-1945, perché l’ho citata nell’intervento fatto durante l’inaugurazione della Mostra alla Biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce. Dati che oggi non pochi governi, quasi tutti antidemocratici, esistenti in diversi paesi del pianeta, non ci resta che continuare ad impegnarci nella lotta per debellare queste mostruosità del passato. Sconfiggere il nostalgico fascismo mussoliniano, come pure quello hitleriano, e ancor più questo pericolosissimo movimento neo-nazifascista di oggi, che monta (ha già preso il potere) in alcuni Paesi d’Europa, negli Stati Uniti e in non pochi altri paesi del mondo, per gli antifascisti, per gli autentici democratici e per tutti coloro che si sentono essere uomini e donne liberi e di buona volontà, diventa un imperativo primario, perché, diceva il Che Guevara: «alla fine si vedrà chi vincerà».
