IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Rivelazioni dal romanzo “La luce segreta del Salento” di Maurizio Mazzotta

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Un libro di Maurizio Mazzotta

Un libro di Maurizio Mazzotta

Più tardi, dopo aver ispezionato l’uliveto, dove le barbatelle sono guardate a vista e tenute a bada con l’aiuto di alcuni contadini, sono seduti sotto la folta ombra della robinia sul muretto della pista da ballo. Non fa molto caldo, è ancora presto per il pranzo e sta piacendo a tutti e tre riposare qualche minuto prima di rientrare a casa, e Federica, senza averlo deciso, lascia tracimare il suo fiume a lungo trattenuto nell’alveo angusto in cui lei stessa lo ha costretto. Come se il fiume si fosse gonfiato all’improvviso, perché questo è il momento di spandersi e Federica non può rafforzare gli argini, non sa nemmeno lei il motivo dell’urgenza, non sa di non saperlo, è come se Federica non esistesse più: esiste soltanto il suo fiume.

«Quindici anni fa ho perso mia madre. Eravamo noi due sole a Lecce. Eravamo molto unite. Quel giorno eravamo in banca, mia madre ed io e…ci fu una rapina. Mia madre fu presa da uno dei rapinatori», chiude gli occhi, fa uno sforzo: il fiume è nel momento critico di superamento degli argini.

«Le puntava una pistola alla tempia. Altri due si facevano dare i soldi. Non si sa cosa accadde, forse un impiegato li ha innervositi, ha innervosito quello che aveva mia madre. Ha sparato.»

Fa grande fatica a raccontare, non perché il fiume abbia perso d’impeto, ma perché la sta sommergendo. «Poi hanno sparato tutti. Alla fine c’erano tanti morti, i tre rapinatori, due impiegati e mia madre. C’era pure un poliziotto ferito, perché era sopraggiunta la polizia, una sparatoria senza fine, io raggomitolata sotto un tavolo, ma questi particolari, questo del tavolo dove mi avevano spinto o forse c’ero andata, mi viene in mente ora per la prima volta.»

Federica ha gli occhi colmi di lacrime. Cominciano a scivolare lungo le guance; Irene e Diego le fissano impotenti e atterriti, bloccati dal buio e dal silenzio calati d’improvviso nei loro animi. Un minuto un secolo imprigionato nel tempo, poi finalmente la mano di Diego scivola verso quella di Irene che le va incontro e si stringono fino a farsi male.

«Mi rendo conto che è la prima volta che racconto a qualcuno questa mia storia», riprende Federica con una voce che da un momento all’altro può frantumarsi. La sua vicenda sta passando a Irene e a Diego attraverso i tremiti del corpo, i rivoli che sgorgano copiosi, le mani serrate alle ginocchia. La voglia di parlare proprio a loro è forte, per questo serve a tutti una pausa: cogliere un refolo di vento che si è sollevato, chissà residuo o foriero di nuova burrasca, intanto per ora mano fresca sulle emozioni.

«Mi succede da un po’ di avere delle immagini, no un’immagine. Qualunque cosa stia facendo mi attraversa la mente… è il volto di mia madre e del suo assassino che le punta la pistola alla tempia. Non so perché adesso dopo tanti anni, forse perché sono diventata troppo sensibile a tutto ciò che accade, voglio dire a tutte le forme di violenza. Mi chiedo se è così… è così che dobbiamo vivere?» È proprio un interrogativo disperato che rivolge ai due che non rispondono se non con l’intensità dello sguardo, con gli occhi fissi nei suoi, coi corpi immobili che dicono intanto la cosa più importante: noi siamo qua.

La giovane riprende: «L’altra notte non riuscivo a dormire. Ero aggredita dalle immagini di tutto ciò che l’uomo distrugge. Mi sono messa a piangere. Non credo di aver pianto così allora. Ho pianto come avrei forse dovuto o voluto piangere tanto tempo fa. Comunque non è sufficiente. Continuo a chiedermi: perché tanta brutalità? Una domanda che non viene dal cervello, il cervello conosce la risposta, forse sono proprio io tutta quanta, lo stomaco i muscoli la pelle le unghie i capelli non capiscono e conti- nuano a chiedere. Non perché sia stata uccisa mia madre, ma perché l’uomo distrugge ogni cosa con voglia, voglia di distruggere.»

Gli occhi riversano così tante lacrime che lei non riesce ad asciugarli con le dita. Irene è ipnotizzata da quelle lacrime e Diego che lo sa senza averla guardata guida la mano di lei verso quella di Federica. Federica risponde. A questo punto Irene cerca il pacchetto di fazzoletti nella tasca della gonna.

E Diego? Diego, che avrebbe voluto abbracciare e stringere a se quella bambina e cullarla e proteggerla, si assume invece con sofferta consapevolezza il compito meno adatto: parlare. Perché è il contatto, il corpo, la risposta attesa e lui cerca di dire il meno possibile.

«Il cervello conosce la risposta, ma non l’accettiamo. Tu vuoi dare un senso alla vita, ecco il senso è proprio ciò che sta accadendo qui in questi momenti.»

Irene finalmente le dà ciò che cerca, si accosta e l’abbraccia forte e lascia che torni a piangere. Le lacrime di ciascuna scivolano sul collo dell’altra. Federica solleva il volto devastato verso Diego e un fiocco di serenità affiora nel suo sguardo. Le braccia di Irene, la voce di lui, che non è passata per la testa, è andata dritta al cuore, ed è come se avesse parlato chissà quanto, le stanno dando quella certezza di cui aveva bisogno: di essere arrivata sulla spiaggia dopo un naufragio.

È un quadro, una foto. Per chi osserva dall’esterno. Un uomo una donna una ragazza seduti su un muretto, sotto una robinia generosa d’ombra e un glicine che gli dà co- lore. Immobili. Un gazebo che ha per sfondo una pineta. L’impressione è di un momento sigillato, tutto ciò che è accaduto è serrato, contratto. Soltanto una impressione. Chi è qui, come me, per spiare ciò che succede e lo comprende totalmente, discerne al di là dell’apparenza di staticità una fusione di vertigini. Diego ha detto qualcosa di importante. Il meglio dell’uomo sta in questa capacità di incontro. Il meglio affiora quando ci sono incontri reali, dove ti mostri come sei ed è tutto il corpo un fascio di bisogni che si apre e si distende. La vita acquista senso in questi momenti. Il meglio dell’umanità sta proprio nella capacità degli esseri umani di incontrarsi e di passarsi la loro vita interiore. Il che indubbiamente crea una vertigine, ma l’uomo ha bisogno di questa vertigine. Non d’altro.

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